Creato da maddablog il 23/12/2012
come sopravvivere in cucina (per single)

Dice il Saggio

Linda: "Ma tu ti cuoci solo cibi surgelati?" Allen: "Cuocerli? E chi li cuoce! Io neanche li scongelo. Li succhio come se fossero ghiaccioli!" (Woody Allen)

 

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Luna Bassa

Post n°22 pubblicato il 28 Febbraio 2024 da maddablog
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LUNA BASSA

 

La notte che le rane impazzirono, forse per amore, passavo vicino al canalone che costeggia la strada maestra, nei pressi dell'argine di Riva.

Non facevo quasi mai quella strada, troppo contorta e stretta, troppo piegata al volere degli uomini e del fiume, innaturalmente naturale.

La via dell'argine era un luogo nascosto della memoria che tiravo fuori solo quando la voglia di passare vicino alla casa rossa si faceva più forte.

Quella era una di quelle volte.

-       Perchè vai di qui?-

-       Guarda che luna bassa, fa una luce che sembra zucchero filato-

Il mio nuovo compagno non comprendeva la mia lingua e si limitò a un sorriso copiaeincolla.

Chi abitava nella casa rossa, invece, avrebbe capito al volo e avrebbe risposto:

- Se mi procuri una bacchetta te ne avvolgo un po' – poi mi avrebbe dato un bacio a stampo, per metà fratello e per metà amante.

Fu in quel momento che le rane impazzirono, fermando i miei ricordi. Saltavano da una parte del canale per arrivare all'altra, inspiegabilmente. Pensai alle piage d'Egitto mentre sotto le ruote si sentiva un suono viscido, ma le ammirai per quel coraggio cieco e un po' folle che io non avevo più.

 

 
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Singletudine

Post n°21 pubblicato il 12 Gennaio 2020 da maddablog
Foto di maddablog

 

Ci sono persone che si sposano per un colpo di fulmine ed altre che rimangono single per un colpo di genio. (Snoopy)

Un approccio troppo personale a questo argomento rischierebbe la pateticità di un “avrei voluto, ma non ho potuto”, mentre la mia personale singletudine è più uno spazio metafisico in cui mi sono agevolmente mossa conducendo a vista l'esistenza. In effetti a volte essere single non è sempre scelta degli altri, ma vera e propria visione di sé con annessi, connessi, rischi, soddisfazioni e delusioni, magari con l'optional di sostitutivi affettivi, nella fattispecie cani e/o gatti. Andando a vivere da sola, senza il solito lasciapassare matrimoniale, ho raccolto il mio nubilato e l'ho coltivato per più di metà della mia vita, senza grossi traumi.

Sono stata, secondo le ultime statistiche, una antesignana del mio stato civile, definito libero per legge ormai da 20 anni, grazie a quella piccola rivoluzione burocratica che ha cancellato anche l'orrendo termine figliastro da qualsiasi tipo di certificato. D'altra parte ho seguito una strada già segnata dal momento che in un solo decennio il numero di persone senza un legame di coppia è cresciuto in Italia del 46%, da 5,5 a 8,8 milioni; il dato emerge da una indagine realizzata dal portale SpeedDate.it.

La lunga strada verso la libertà si è però arenata per questi single davanti alle spese da sostenere: quasi 1/3 vive ancora a casa con i genitori e per la maggior parte sono uomini, mentre le donne sono più indipendenti. A questi si aggiungono i single di ritorno a causa delle separazioni e dei divorzi, quasi raddoppiati negli ultimi anni e, date le spese di mantenimento per le ex famiglie, non è poi così strano che siano gli uomini a ritornare da mammà.

Le famiglie mononucleari mostrano una condizione di vita che coinvolge tutte le fasce d'età e non è solo l'esito degli anni che avanzano o di coppie che scoppiano. Il «single di ritorno» per SpeedDate.it ha un'età media di 42 anni, un lavoro stabile e una relazione importante ormai finita, sia esso un matrimonio o un fidanzamento pluriennale. Quasi 2 single su 3, invece, non sono mai stati a lungo in coppia e abitano per lo più al Centro e Nord Italia.

Dalla ricerca è poi emersa una nuova tipologia: i “single attivi”: sempre alla caccia dell'anima gemella, i single attivi partecipano assiduamente a vacanze per single, eventi ad hoc, speed date e ovviamente frequentano i siti di dating on line.

Nonostante i risultati qui sopra elencati, pare che, oltre a non essere un Paese né per giovani né per vecchi, l'Italia non sia neppure il luogo più propizio per scapoli o zitelle o, comunque, per persone che devono/vogliono vivere da sole.

Single non è bello o, perlomeno, è sicuramente più caro. Sulla base dei dati Istat, secondo Coldiretti la vita single ha un costo medio superiore del 64 % rispetto alla spesa media di ogni componente di una famiglia tipo.

Anche se il marketing si sta adeguando e sempre più spesso vediamo sugli scaffali dei supermercati monodosi dei più svariati alimenti, questi risultano comunque più cari rispetto a quelli tradizionali.

Il costo della “beata solitudo, sola beatitudo” aumenta in modo esponenziale se sotto lo stesso tetto ci sei tu e te stesso a pagare affitto e tasse sulla casa: chi vive da solo paga comunque per due (il 98% in più, cfr. dati Istat)

 

 

 

 
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Vite fragili

Post n°20 pubblicato il 08 Giugno 2016 da maddablog

 

«La gioventù di oggi è corrotta nell’anima, è malvagia, empia, infingarda. Non potrà mai essere ciò che era la gioventù di una volta e non potrà mai conservare la nostra cultura» (iscrizione su tavoletta assiro-babilonese 1000 AC)

 

Se è vero, com'è vero, che il linguaggio non veicola solamente i messaggi, ma è segno di cultura, ci si potrebbe domandare quale deriva ci aspetta se ci basiamo sulla comunicazione utilizzata dai ragazzi di oggi, uomini di domani. Tra di loro si capiscono perfettamente, pur se provenienti da paesi diversi e da altri vissuti: il minimo comune multiplo è la musica, la play station e tutto ciò che fa “immagine”, ma il rapporto con gli adulti è tutta un'altra storia.

Dice un proverbio arabo: “Ogni parola, prima di essere pronunciata, dovrebbe passare da tre porte. Sull'arco della prima porta dovrebbe esserci scritto: "È vera?" Sulla seconda campeggiare la domanda: " È necessaria?" Sulla terza essere scolpita l'ultima richiesta: "È gentile?". Se si analizzasse il linguaggio dei nostri ragazzi da punto di vista semiologico, verrebbe da dire che, se applicate, le regole del proverbio arabo determinerebbero un assordante silenzio.

Il “gap generazionale” sta allontanando le sue sponde: la distanza che c'era tra i miei pensieri e quelli di mio padre, durante la mia adolescenza, mi sembra ora un'inezia rispetto alla distanza siderale, tra un quarantenne di oggi e suo figlio, a meno che non condividano FIFA 20015 sulla PSP4, o abbiano lo stesso gusto per lo shopping ma, anche in quel caso, è una lingua che non scava nel profondo.

Ciò che comporta la metamorfosi della giovinezza: dai brufoli agli ormoni in subbuglio, dalla voce che va e viene, al seno che non sboccia, rimane segno di un cambiamento sempre uguale a se stesso, ciò che pare davvero cambiato è il senso di inadeguatezza che i genitori dichiarano, arrendendosi davanti a comportamenti inspiegabili e rinunciando a capire le oscure motivazioni dei loro eredi.

Nei figli, i genitori non riconoscono più gli adolescenti che sono stati un tempo, mentre i ragazzi, sguardo fisso sugli smartphone e auricolari cementati nelle orecchie, li guardano senza vederli, li sentono, senza ascoltarli: il grado zero della parola tra giovani ed adulti assume così la sua massima espressione.

Che gli adolescenti vivano vite fragili è assodato dalla letteratura pedagogica universale, ma la vera fragilità è il crescente disagio degli adulti nei loro confronti. I genitori hanno deposto le armi, non più coercitivi come nel secolo scorso, ma neppure accondiscendenti come nel nuovo millennio, stanno a metà strada, indecisi se ritirare il cellulare o denunciare il professore che ha dato una nota disciplinare, confusi nei tempi e nei ruoli, troppo distanti ormai anche per giocare la carta del genitore-amico, ricordo ormai sdrucito degli anni '90. La metamorfosi di mamma e papà sta andando verso il genitore “no limit”: “...noi ti amiamo, ti conosciamo bene ed abbiamo piena fiducia in te, tu sai quello che devi fare e saprai fare le scelte giuste, sei libero di agire e noi non ti controlleremo....” (cit. “I nostri ragazzi” film di Ivano de Matteo del 2014). Attraverso questa nuova pedagogia familiare, gli adolescenti non potranno altro che confondersi ancora di più, oscillando tra il senso di onnipotenza e quello di abbandono.

 

 

 

 

 
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Affamati e Folli

Post n°19 pubblicato il 01 Novembre 2014 da maddablog
 
Tag: lavoro
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È già capitato di parlare di follia legata al lavoro, o meglio alla mancanza di lavoro. Dopo gli ultimi risultati economici che ci vedono sempre in coda nel Vecchio Mondo arrancante sotto i colpi della globalizzazione, ci troviamo per l’ennesima volta stupiti della nostra inconsapevolezza nei confronti della crisi, come lo struzzo che si guarda attorno cavando la testa dalla sabbia. A volte lo smarrimento si trasforma in abisso, perché, benché tutti siano stressati dal lavoro quando c’è, nel momento in cui lo si perde, ci si perde assieme a lui.

Articolo 18, flessibilità, “8 ore di lavoro, 8 di svago e 8 per dormire”, lavoro per tutti e disoccupazione di massa. Oscilliamo tra l’intenzione di avere un posto fisso e la certezza che ciò non potrà più essere, tra le colpe di padri con pensioni che i figli non riusciranno più a garantire, tra troppi diritti acquisiti e spesso abusati e fragilissime garanzie per chi cerca nuova occupazione.

Il concetto di domanda ed offerta si è ormai completamente ribaltato: nella nostra economia stantia la deflazione offre troppo e chiede poco, ma come spesso accade quando non si hanno proposte concrete da chi ci governa, scatta la creatività, l’arte di arrangiarsi, l’apparente follia.

Al di là del recupero di “vecchi mestieri”: dalla sarta al ciabattino, dall’arrotino al pastore, la crisi ha messo in moto anche la voglia di percorrere nuove strade.

Il benessere e l’etica “dell’usa-e-getta” hanno incentivato l’iperproduzione di oggetti, quindi il “recupero” è diventato un dovere. I mercatini del riuso fioriscono e appassiscono nel giro di una giornata. Si recuperano mobili, magari trasformandoli “shabby chic”, così la cassapanca logora appare raffinata con due pennellate imprecise ed un vasetto di lavanda sopra. Si ricuciono abiti svecchiandoli con qualche strass o trasformandoli secondo il re-fashion: prendo una maglietta e ne faccio una borsetta.

Se la produzione ormai tira a campare, il settore dei servizi, fino a che ci sarà qualcosa da vendere, scambiare, comprare o affittare sembra possa avere ancora un po’ di respiro. Accanto alle nuove professioni legate al web* e al commercio online: copywriter, app designer, web server administrator, web security manager, ecc. ecc, esiste un web-mondo parallelo dove praticamente si replicano le figure commerciali e amministrative del mondo reale, dal marketing manager all’advertising manager, magari senza scrivania e a tempo, ma pur sempre occupabili. Se poi vogliamo dare un respiro internazionale alle nostre attività lavorative, possiamo diventare parte della homestay community ed ospitare in casa nostra ospiti da tutto il mondo, noleggiando loro un po’ del nostro tempo e dei nostri spazi.

Per i ricchi sempre più ricchi si creano servizi che i poveri sempre più poveri neanche possono immaginare per quanto sembrano futili. Giusto per fare alcuni esempi: il life stylist cura riunioni ed eventi fuori dal matrimonio, mentre il wedding planner proprio quelli del matrimonio; il personal shopper, dietro congruo compenso, sa cosa ci serve dentro l’armadio, mentre l’home shopper l’armadio lo compera per noi, mettendolo in armonia con il resto del nostro arredamento. Se poi pensiamo di vendere casa e non ci riusciamo, gli home stager possono darci una mano facendo il make up alle nostre abitazioni, rendendole così più appetibili.

Banalmente, per reinventarsi un lavoro, si dovrebbe partire da tre concetti fondamentali: la voglia di lavorare che l’opulenza del dopoguerra ha assopito; la necessità di lavorare, come completamento di sé che ogni uomo ed ogni donna dovrebbe avere e che, invece, potrebbe sottostare alla perdita del sussidio di disoccupazione, oppure al bisogno di curare i figli o i genitori o al non ritenere “adeguata” l’offerta lavorativa; la possibilità di mettersi in gioco e su questo aspetto il sistema scolastico italiano dovrebbe assumersi qualche responsabilità.

In una scuola omologante come la nostra i ragazzi non crescono né affamati né folli come li avrebbe voluti Jobs, le diverse modalità di apprendimento non vengono testate se non in modo marginale o casuale e la creatività viene spesso castrata da poca inventiva e modalità di insegnamento che non fanno percepire quanto, attorno a noi, il mondo stia cambiando, ma soprattutto quanto ognuno di noi possa mettere a frutto i propri talenti.

*mi scuso per l’utilizzo esagerato di termini inglesi, ma davvero sarebbe stato complicatissimo e soprattutto poco funzionale,  tradurre i corrispondenti in italiano.

 

 
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Post N° 18

Post n°18 pubblicato il 03 Settembre 2014 da maddablog
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La Dolce Vendetta

 

Emanuelle, nonostante il nome ispirato da pornofilm anni settanta, aveva curve da commedia anni cinquanta e anche un po' di più. Peraltro i problemi di peso non erano un peso per la ragazza che aveva fatto della sua inclinazione per il cibo una vera religione, completa di precise liturgie.

Gran sacerdotessa dell'educazione sentimental-culinaria di Emanuelle era stata sua nonna, un donnone più simile alla nipote che alla figlia; Nerea amava la piccola liberamente e senza riserve e la compensava largamente del disamore materno acerbo ed egoista, critico e così crudele.

La madre di Emanuelle si era trovata troppo presto a lievitare come una ciambella e l'enorme, sgraziato bignè che aveva sfornato le era sempre stato indigesto. Si era ben guardata dal risparmiare alla figlia battute pepate e salate, sia nell'infanzia, sia nell'adolescenza, ma, incredibilmente, ciò era stato un bene per la ragazza. L'aceto materno le aveva colato addosso una glassa spessa sulla quale  facilmente scivolavano i soprannomi e gli scherzi che i compagni le facevano mandar giù giornalmente.

Per queste e per mille altre ragioni Emanuelle si rifugiava nella cucina di Nerea, oltre all'affetto e alla cannella, al calore e alla pasta tirata a mano, assieme alle verdure ripiene e all'arrosto della domenica mattina, la bimba ci respirava anche la voglia di essere quello che voleva.

Verso la maggiore età Emanuelle aveva aggiunto al pane il vino, ma senza eccedere mai, dal momento che preferiva comunque l'estasi del lievito all'ebbrezza dell'alcol. Nonostante ciò era affascinata dal dolce retrogusto di raccolta tardiva di alcuni chardonnay o dal sentore di violetta di un barolo generoso. Le note secche dei bianchi o gli umori di bosco dei rossi accompagnavano spesso la creazione di nuovi piatti, perchè alla morte di nonna Nerea, un calice di vino pieno a metà posato sul tavolo aveva assicurato ad Emanuelle quasi la sua stessa compagnia complice.

Profonda conoscitrice dell'anima e del palato, la ragazza aveva trasformato la sua forte inclinazione per la pasticceria in un lavoro piuttosto redditizio, dapprima vendendo torte e pasticcini alle amiche della madre, poi lavorando presso il fornaio del suo quartiere ed infine aprendo il "BonBon", piccolo punto vendita profumato alla vaniglia.

Nel retrobottega aveva allestito una cantinetta per vini esclusivamente dolci ed assaggi particolari. Chi aveva sperimentato i suoi abbinamenti raccontava di una rara esperienza di gusto, un'alchimia di piacere che santificava non solo la gola, ma anche l'anima, corrompendola un po'.

La cantinetta era riservata esclusivamente agli excompagni dalla lingua lunga e dal cuore stretto e agli amici falsi come il cibo precotto. Per queste vittime consenzienti c'era stata un'esistenza prima del retrobottega e dopo il retrobottega, di certo quello che era rimasta appiccicata loro addosso era un'irrefrenabile, insaziabile fame di zucchero di canna e limone candito. Nella speranza di essere ancora invitati dietro la tenda di damasco pesante, tutti diventavano giornalieri clienti del BonBon con un aumento medio del loro peso di un chilo al mese e del fatturato del negozietto di una buona, adeguata, percentuale.

Emanuelle non sapeva se fosse più eccitante creare quella malìa di sapori ed odori inediti per ognuno dei suoi clienti particolari o vedere come tutti abboccassero alle sue gustose esche. Forse non era così importante darsi una risposta, dal momento che la sua vendetta, benchè dolce,  ingrassava solo il suo spirito e  non il suo corpo.

 
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