Creato da smittino il 22/10/2006
Il lato oscuro dell'economia

Area personale

 

FACEBOOK

 
 

FACEBOOK

 
 

Archivio messaggi

 
 << Giugno 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
          1 2
3 4 5 6 7 8 9
10 11 12 13 14 15 16
17 18 19 20 21 22 23
24 25 26 27 28 29 30
 
 

il fatto del giorno 2

17/10/2011
Contnua l'altalena delle borse.

11/10/2011
Strano: le agenzie di rating declassano i debiti, sovrani e non, e le borse salgono. Non dovrebbe essere il contrario?
Macché: si tratta dei giochini della speculazione. Tutto quello che si scrive sulla correlazione negativa o positiva fra valutazioni dei rating e andamento delle borse è acqua fresca.

10/10/2011
Ieri Kenneth Rogof (Harward) ha scritto che la c.d. tobin tax sulle transazioni finanziarie è deletaria perché oltre a a produrre un calo del gettito, cioè un calo delle transzioni di borsa, eroderebbbe il volume dei capitali, e gli stessi lavoratori finirebbero per patirne le conseuenze. Io ne dubito. Sulla prima tesi mi chiedo cosa dovrebbero farci gli investitori con i fondi che continuano a detenere dopo la tassa? Circa la seconda, dieci parole: il capitale non è determinato dalle tasse sul suo impego.

22/5/2011
Anche l'Italia è sotto osservazione delle agenzie di rating. Temo che sia il preludio di un prossimo attacco speculativo.

2/5/2011
Ieri primo maggio di negozi aperti e di santi, mentre la disoccipazione giovanile è al 29%. 

11/4/2011
Le Banche troppo grandi non possono fallire, perché il loro fallimento sarebbe di sistema. Se hanno problmi sono soccorse dagli Stati. Ma è proprio questa certezza la causa che spinge queste banche ad assumere rischi altissimi. Per cui il loro possibile fallimento è sempre in agguato.

21/3/2011
Comunque finisca, la guerra libica avrà conseguenze negative per l'Italia: se Gheddafi resterà in sella, si farà baciare anche i piedi; se cadrà dovremo vedercela con gli immigrati e, probabilmente, con il terrorismo.

16/3/2011
I giapponesi hanno i mezzi e forse ce la faranno a ricostruire. Ma in occidente non si pagherà nessun prezzo? Ne dubito.

3/3/2011
Ho l'impresione che il mondo occidentale, in nome della rel-politic, (leggi petrolio), stia abbandonando gli insorti libici al proprio destino di oppressi. Se sarà verificato, sarà un massacro.

 

 

Ultime visite al Blog

molteni.luigiasmittinoinfonews1Estempobeppe_dinvernotimesnewromanric.pappalardojlegendmarcotosellinmary.dark35robi19700letizia_arcuricaty.montanogiaccaglia.marco
 

Il fatto del giorno 1

24/2/2011
Il giornale tedesco BILD ha scritto qualche giorno fa: Mario Draghi non deve essere il nuovo governatore della Banca Centrale Europea; quando lui era il vice presidente, della banca Goldman Sachs, questa ha coadiuvato la Grecia a costruire il pateracchio del suo debito pubblico che tutta l'Europa sta ora pagando.

15/2/2011
Un signore, che è Presidente del Consiglio dei Ministri, è stato rinviato a giudizio per gravi reati. Mi sarebbe piaciuto che le due circostanze non fossero state contemporanee.

13/2/2010
Il popolo egiziano s'è svegliato ed ha conquistato la libertà. Mi ha ricordato l'Ode a Walt Whitman di F.G.Lorca che si conclude con questi due versi: "...si sveglia ogni cen'anni/quando il popolo si sveglia".

3/2/2010
Stamattina il TG1 ha fatto dire al presidente del Consiglio: presenteremo un piano per far crescere il paese del 3% e forse anche del 4%, in 5/a. Tralasciando il futuro del verbo 'presentare', c'è qualche economista che ritiene che il piano sia credibile?

27/1/201
L'EFSF ha lanciato con successo la prima emissione di titoli propri, per reperire i fondi di soccorso all'Irlanda: per 5 mln richiesti c'è stata una domanda maggiore di circa quattro volte. Speriamo che sia così anche nel caso di prossime, probabili emissioni.

4/1/2001
Il sole 24 Ore oggi titola: "Dalle PMI (Piccole e Medie Imprese) una spinta al PIL".
Meno male, visto che quello legato alla finanza è come 'il raggio verde': quando si vede è un'illusione.

1/1/2011 
Gli interessi sui titoli italiani aumentano. Sembra una buona notizia, ma non lo è. Quando gli interessi salgono, significa che i compratori, temendo un default, pretendono di più.

20/1/2011 
Pagano le proprietà o le utilità, i risparmi o le spese?

7/1/2011 
Il banchiere è uno che vi presta l'omrello quando c'é il sole e lo rivuole indietro appena incomincia a piovere (Mark Twain).

 

 

 

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti possono pubblicare commenti.
 
 

 

due dati preoccupanti.

Post n°68 pubblicato il 23 Agosto 2009 da smittino

In questi giorni sono stati resi noti due dati:
  gli stati del mondo hanno accumulato debito pubblico per 2.200 mld. di dollari e 300 mld di euro per frenare gli effetti della crisi;
  gli enti locali italiani hanno accumulato debiti per 110 mld. per finanziare investimenti.
Al di là di ogni altra considerazione, queste cifre da capogiro sono preoccupanti.
I debiti pubblici prima, o poi, dovrebbero essere restituiti. Per essere restituiti, i bilanci pubblici dovrebbero contabilizzare avanzi primari (differenza fra entrate e spese al netto degli interessi sul debito). Fino ad ora i bilanci pubblici non solo non hanno avuto avanzi primari, ma sono stati in deficit. E niente ci dice che le cose cambieranno, non appena ci sarà la ripresa di cui, ormai, tanto si parla. Quindi gli stati dovranno contrarre altri prestiti, e lo potranno fare solo aumentando i tassi d’interesse. Ciò significa che, nel tempo, i tassi d’interesse saranno al rialzo, cosa che non farà bene all’economia: non ci sarà credito a tassi ragionevoli, non ci saranno nuovi investimenti, non ci sarà nuova occupazione, non ci saranno aumenti di consumi e sarà…nuovamente crisi.
In Italia il fenomeno sarà aggravato dal fatto che, al maggiore debito pubblico dello stato, bisognerà aggiungere i maggiori  debiti degli enti locali, perché nessuno, nel frattempo, li avrà pagati, e, in Italia,  gli enti che non pagano i debiti non vanno in bancarotta, come, per esempio, sta succedendo, attualmente, negli USA. Pagherà lo stato. Cioè, noi.

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

I nuovi strani consumi.

Post n°67 pubblicato il 18 Agosto 2009 da smittino

1.La grande crisi ha gelato i consumi. Confindustria stima che a fine anno 2009 si registrerà un calo medio dell’1,9%. La gente non lavora, o ha pochi soldi e quindi non può spendere, o spende di meno.
Ma dobbiamo fermarci alla notizia? Purtroppo no.
Il dato della caduta dei consumi di cui parla Confindustria è un dato medio, ed è il risultato del calo degli acquisti di beni materiali per la famiglia (abbigliamento, cibo, arredamento, trasporti, cultura) e dell’aumento di quelli per servizi (igiene della casa, medicinali, servizi social, telefoni cellulari), con un’impennata di questi ultimi del 189,5%.
A mio avviso, siamo in presenza di un fenomeno del tutto nuovo e preoccupante: la nuova povertà, genera nella gente comportamenti miserevoli. La quale, anziché contenere quelli che un tempo erano considerati consumi di lusso, limita quelli essenziali, pur di corrispondere agli effimeri stili di vita di una società in declino, che non sa, non può, ma io penso, non vuole offrire altro.

 Speriamo che qualcuno si renda conto che ‘consumando’ solo telefoni cellulari non si va da nessuna parte. Tra l’altro, non li produciamo nemmeno.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Come volevasi dimostrare.

Post n°66 pubblicato il 17 Agosto 2009 da smittino

1.Stamattina mi aveva rallegrato il titolo di un giornale: è in atto una lenta ripresa trainata da Usa e Bric (Brasile, Russia, India e Cina). Leggendo, l’allegria è passata: la ripresa di cui si parla è quella dei mercati finanziari, mentre l’economia reale è sempre alle corde. Lo dice il presidente americano un articolo apparso oggi sui più importanti quotidiani mondiali, in cui sono spiegate le ragioni del perché negli Usa è necessaria una riforma sanitaria: tanti americani muoiono, o non possono curarsi perché non hanno i soldi per pagarsi un’assicurazione, mentre le assicurazioni fanno notevoli affari in borsa. Lo dice il presidente della Banca Centrale Europea, quando mette in guardia i benpensanti che ritengono che la crisi sia alle nostre spalle. Lo dice il presidente della Confindustria italiana, quando afferma che in autunno molte piccole e medie imprese non riapriranno i battenti.


2.Non ci sono G8, 20, 30 —  e chi più ne ha più ne metta —  che tengano. Se non si capirà che la ripresa ci sarà solo quando si creeranno le condizioni perché i disoccupati tornino al lavoro, resteremo in crisi prenne.

3.E, naturalmente, la borsa continuerà "lentamente" a salire.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Htf, un nuovo mostro s'aggira...

Post n°65 pubblicato il 27 Luglio 2009 da smittino

1. La crisi finanziaria è finita. Quella economica è ancora senza scadenza. Roba da non credere? Roba da credere, invece. I giornali di oggi parlano di un nuovo ‘boom di profitti’ realizzati in borsa, ovviamente dalle banche. E ai giornali bisogna credere. Che sta succedendo?

2. Sta succedendo che, a seguito del disastro dell’anno scorso, tutti i governi  dei paesi interessati dalla crisi, con soldi pubblici, hanno rifinanziato le banche, perché ripristinassero il circuito virtuoso del credito interrotto.  Rimpinguati i bilanci, le banche, anziché fornire credito all’industria, come era stato loro richiesto, hanno ripreso ad investire in borsa ed hanno ripreso a farlo con le forme e le modalità speculative di sempre. Forti ora, di nuovi e sofisticati sistemi di trading automatico, la cui liceità è ancora tutta da accertare.
Uno di essi reca l’ennesima, immaginifica, denominazione di: ‘Htf’ (High trading frequency). Si tratta di uno o più algoritmi, capace/i di realizzare automaticamente e contemporaneamente una quantità infinita di scambi, alcuni dei quali contraddittori, che mettono alla prova le quotazioni dei listini, con ordini intenzionalmente fasulli e impossibile da rintracciare, al fine di valutarne in anticipo il grado di attendibilità, e su questa calibrare le transazioni.
Secondo alcuni ‘critici’ siamo in presenza di una sorta di sofisticata scienza occulta con la quale si possono sfruttare ‘le zone grigie delle regole e del funzionamento dei mercati’, per danneggiare meglio, ove ve ne fosse bisogno, gli ‘investitori normali’… di un euro il giorno, cioè, noi. (Il Sole 24 Ore di oggi p.18).

3 E noi in attesa che finisca la crisi.    

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Il gomitolo di primavera.

Post n°64 pubblicato il 06 Luglio 2009 da smittino
Foto di smittino

1. ‘Il Sole 24 Ore’, il più autorevole quotidiano economico italiano, ha promosso un dibattito fra esperti sui seguenti interrogativi: “Chi e che cosa hanno innescato la turbolenza prima su borse e banche, poi nella vita di tutti noi? Quali regole e quali riforme sono necessarie agli istituti finanziari, alle banche centrali ed ai paesi perché la tempesta perfetta non si ripeta?”. Il primo ad intervere è stato Guido Tabellini, rettore dell’Università ‘Bocconi’ di Milano ( articolo del  7 maggio 2009);  gli altri,  non meno autorevoli, (Stiglitz, Fitoussi, Greenspan, Alesina, ma ancora tanti altri noti e meno noti delle Università di tutto il mondo e dell’imprenditoria) sono intervenuti  nei giorni successivi.
Il logo del dibattito è stato quello che si vede nella foto: un gomitolo. Come dire: esperti, trovate il bandolo.

2. Desideroso di sapere se veramente ci sono risposte utili ai quesiti posti in discussione,  ho ho letto tutti gli interventi. A lettura ultimata ho concluso che il dibattito è stato poco più di un’esercitazione accademica. Nella quale ognuno ha esposto il proprio pensiero, e non tanto sulla crisi e su come se ne esce, quanto sul funzionamento del sistema capitalistico tout-court:  tante singole lezioni, che raramente hanno assunto e discusso tesi di altri e dalle quali è difficile estrarre idee da considerare condivise e, pertanto, convincenti. Con un  risultato, quanto meno prevedibile: una contrapposizione fra liberisti (Rubini, Geenspan, Alesina) e liberalisti (stiglitz, Fitoussi). I primi, convinti che la crisi è stata generata dal mancato rispetto delle regole di mercato da parte della politica e che il mercato la risolverà con le sue forze; i secondi, sostenitori della tesi che la crisi è stata generata da un uso distorto (truffaldino?) delle regole di mercato e che, per uscirne, occorrono un massiccio intervento degli stati e regole meno aggirabili.

3. Nessuno di loro ha pensato che forse la crisi che ancora non ci ha lasciati - e quelle precedenti  -  possano essere proprie del sistema capitalistico, cioè del sistema di mercato e che, perciò, possano essere sempre in agguato. E, di conseguenza, nessuno di loro ha pensato  che per ‘uscire dalle crisi’, occorra un ‘intervento nel sistema’.  Io, senza essere un grande esperto, lo penso e voglio affermarlo:  per scongiurare nuove crisi economiche, più o meno devastanti, bisogna dotare i mercati di regole che li rendano capaci di produrre  e impiegare la liquidità necessaria per suo funzionamento all’interno del processo produttivo. Il che equivale a dire che la liquidità deve divntare una variabile endogena del sistema e non più un gioco speculativo ‘a latere’, senza fini e confini. Fino a quando la liquidità non diventerà l’ancella dell’economia reale, ogni qual volta interferirà con essa, lo farà senza regole, senza, cioè, precisi meccanismi di integrazione. E finirà per distruggerla. Come è successo nel 2008.
4. Ma tant’è. Se è vero che adesso è pubblicato il volume dal titolo: “Lezioni per il futuro” e sottotitolo “Le idee per battere la crisi” – Edizioni Il Sole 24 Ore, che contiene gli interventi del dibattito.  Evidentemente si ritiene che per le crisi basta la pubblicazione di atti di un'esercitazione accademica, senza che nessuno indichi precise misure risolutive.
In attesa della crisi prossima ventura.

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Produttività e salari.

Post n°63 pubblicato il 28 Giugno 2009 da smittino

1. Come m'ero ripromesso, provo a spiegare meglio la conclusione del messaggio precedente. E lo faccio con un ragionamento che ipotizza ‘parità di condizioni’: ‘ceteris paribus’, come si dice in linguaggio tecnico-economico.
Supponiamo - semplificando al massimo -  che una impresa del settore ‘beni e/o servizi’, alla fine dell’esercizio ‘n’ presenti la seguente situazione patrimoniale:

1.Cap. fisso

1.000,00

4.Debiti

2.000,00

2.Cap. circol.

2.000,00

5.Capitale Netto

1.000,00

3.Totale

3.000,00

6.Totale

3.000,00

ed il seguente conto economico:

1. Costi

1.000,00

4.Ricavi

2.000,00

2. Utile

1.000,00

 

 

3.Totale

2.000,00

5.Totale

2.000,00

Che spazio c'è per accogliere rivendicazioni salariali?
L'interrogativo s'inserisce nella questione più generale dell'impiego dell'utile d'impresa.  

2. Tralasciando il caso di un investimento in borsa (economia finanziaria)  - del quale, magari, ci occuperemo in un prossimo messaggio - nel campo della economia reale ci sono tre possibilità:
a) destinare metà utile in pagamento di debiti e metà in aumento del Capitale circolante). Questa  opzione sarebbe quella preferita  dagli  imprenditori;
b) destinare l’intero utile ad aumento dei salari. Questa opzione sarebbe auspicata dai lavoratori;
c) destinare l’utile in parte come in a) ed in parte ad aumento dei salari, secondo un rapporto legato a diversi fattori, fra i quali si indicano:
- la capacità di contrattazione dei salari da parte dei lavoratori  (difesa dei salari);
- la capacità di resistenza dell’impresa (difesa del profitto).
La terza opzione è quella suggerita dagli esperti. I quali, però, la legano al livello di produttività dell’azienda. (I salari possono aumentare solo se aumenta la produttività e, di conseguenza, il prodotto. Con linguaggio ameno affermano: “Solo se aumenta la torta, possono crescere le porzioni”; “Con l’alta marea, galleggiano tutte le barche”).
Sembra l’uovo di colombo e, invece, è una tesi fuorviante: un aumento dei salari, semplicemente legato alla produttività, non porta alcun vantaggio ai salari. Cercherò di dimostrare questa tesi.

3. Per produttività si intende il rapporto fra il risultato (output) di un processo produttivo e la somma dei fattori produttivi impiegati (input), è può essere espressa con la seguente formula:

p = P/aC+bL

dove P è il valore del prodotto, C  il Capitale impiegato, L  l’ammontare dei salari,  a e b  le quantità (parametri), rispettivamente di C ed L.;  la somma aC+bL  (combinazione dei fattori produttivi) nel linguaggio tecnico-economico è detta ‘tecnologia produttiva’.
Prima questione. Nell’aridità dei numeri,la formula dice  che un aumento di p è possibile se, a parità di denominatore, aumenta il numeratore, o se, a parità di numeratore, diminuisce  il denominatore.
Seconda questione. Con altra lettura, (valutazione separata della produttività di aC e bL), di cui si purtroppo si parla poco, è acquisito alla scienza economica, che p può aumentare semplicemente:
-  se si cambia la tecnologia produttiva (p.e. variando aC, o bL, o entrambe e, magari, lasciando invariato il valore aC+bL (innovazione di processo);
- se invece di P, si produce P1 (stesso prodotto con nuove caratteristiche),
capace di creare nuova domanda (innovazione di prodotto).
Terza questione. La vulgata odierna è che per fare aumentare p si deve agire sul denominatore. Senzo affermarlo esolicitamente, si ritiene necessario abbassare bL (abbassando i salari, o licenziando). Essa sconta una tesi estranea alla scienza economica di libero mercato e, cioè, che aC , che in sostanza è l’investimento, deve essere deciso al di fuori del processo produttivo, e, cioè, dalle condizioni offerte dal mercato dei capitali. In altri termini, nel processo produttivo, aC  deve essere la variabile indipendente (in gergo, 'esogena').

4. Ma ritorniamo alla nostra impresa.
Per quanto riguarda la nostra impresa, P è dato dall’utile, aC  è dato  dalle  quote di capitale fisso e variabile impiegate nella produzione (ammortamenti, materie prime, altri costi)) e  bL, è dato dall’ammontare dei salari. Ne deriva che la produttività della stessa è 1, come segue:

 p. = 1000,00/1000,00 = 1                     

Supponiamo ora che nel tempo, a prescindere dalla sua produttività, e solo in base alle relazioni aziendali esistenti (contratto), l’impresa ripartisca l’utile con un 20% a profitto e un 80% a salari; il profitto annuo sarà di 200,00 ed i salari totali  di 800,00, in un rapporto salari/profitti 800,00/200,00, pari a 4.
Supponiamo ancora che questi risultati non soddisfano:
a) i lavoratori, perché secondo loro i salari non sono adeguati al costo della vita, e chiedono aumenti;
b) l’imprenditore, perché secondo lui, la quota di profitto, che già non consente la copertura dei costi, non dà margini per aumenti salariali: solo un aumento di produttività può permetterli.
Supponiamo, infine, che i lavoratori accettino questa l’impostazione e contrattino  una ‘riorganizzazione del lavoro’ capace di far aumentare la produttività da 1 a 2.
Con questa operazione il prodotto P da 1.000,00 lievita a 2.000,00, come segue:

P = 2(aC+bL) = 2x1.000,00 = 2.000,00

Se l’incremento di P continuerà ad essere ripartito fra salari e profitti nelle percentuali di prima (80% a salari e 20% a profitto) è vero che i salari raddoppieranno e anche il  profitto raddoppierà, ma il rapporto salari/ profitti resterà immutato  e, cioè, sarà sempre 4 (1.600,00/400,00); di conseguenza, le doglianze sia dei lavoratori, che dell’imprenditore rimarranno immutate.
Dov’è l’inghippo?
Eccolo.
L’incremento di profitto che l’imprenditore realizza grazie alla crescita della produttività, lo spingerà a fare nuovi investimenti.
L’aumento dei salari spingerà i lavoratori a consumare di più.
I due comportamenti faranno aumentare, da un lato, la domanda dei beni d’investimento e, da un altro, la domanda dei beni di consumo; faranno cioè, come si dice in gergo, aumentare la ‘domanda aggregata’.
L’aumento della domanda aggregata, produrrà un aumento tendenziale dei prezzi dei due tipi di beni, di talché  le ragioni di scambio profitti/investimenti e salari/consumi, (ciascuno dei quali, ‘a modo suo’, potere d’acquisto) pur posizionandosi ad un livello nominale più elevato, avranno un ‘valore reale tendenzialmente identico’ a quello che si aveva prima dell'aumento di produttività. (Attenzione: i valori reali dei due rapporti saranno coincidenti, quando i prezzi che si determineranno a seguito dell’aumento della domanda aggregata, saranno prezzi di equilibrio.

5. In definitiva: sostenere che l’aumento salariale non può che essere legato ad un aumento della produttività è una tesi valida per ciò che attiene ai salari nominali e per il breve periodo. Per il periodo lungo, non dando risposte in tema di aumento reale stabile dei salari, essa è ingannevole. A meno qualcuno non pensa che i lavoratori siano perennemente disponibili a forme di relazioni sindacali, che abbiano come finalità l’aumento della produttività, e l’aumento della produttività non abbia limiti.
Perchè un aumento salariale sia veramente vantaggioso per i lavoratori è necessario modificare il rapporto salari/profitti (quando c'è un aumento della torta, magari grazie ad un aumento di produttività, bisogna che  la fetta dei lavoratori sia relativamente maggiore di quella dell'imprenditore).

6. In assenza di questa scelta, dire che i salari possono aumentare solo se aumenta la produttività non porta lontano.   

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

A che punto è la crisi?

Post n°62 pubblicato il 06 Maggio 2009 da smittino

1. Da tempo il blog - che, come è evidente, si occupa di economia - è muto per due ragioni. La prima è che dopo il G20, di cui al  precedente messaggio, non ci sono stati fatti nuovi significativi che inducessero riflessioni nuove. La seconda è che sono stato occupato da vicende familiari importanti.

2. Da quello che ho potuto leggiucchiare qua e là m'è parso di capire che la crisi economica è ancora seria, ma ha rallentato il suo cammino. Almeno nella sua dimensione finanziaria. In problema residuo è di riavviare l'economia reale. Per farlo, si reputa sia necessaria una massiccia ripresa del credito alle imprese, affinché ricomincino ad investire.
Io penso che non basta. Ammesso che si mettessero in pristino tutte le condizioni migliori perché le imprese trovassero il credito di cui hanno bisogno, che fine farebbe la produzione? Chi la comprerebbe, se i redditi da lavoro (dipendente e autonomo) sono stazionari e, nel loro ammontare totale, causa la disoccupazione, addirittura in calo?
Penso, piuttosto, che sia giunto il momento di fare del lavoro e dei redditi da lavoro la nuova leva per la ripresa. Solo l'aumento di questi redditi - in termini reali, ovviamente - provocherà l'aumento dei consumi necessari per la ripresa. Il discorso di agganciare la crescita dei redditi all'aumento della produttività è fuorviante: se cresce la produttività e, quindi il prodotto, chiaro che aumentano profitti e redditi da lavoro insieme. Ma se la distribuzione relativa degli stessi resta immutata, l'aumento dei redditi da lavoro non darà luogo a quel robusto aumento dei consumi, che, come si diceva, è la condizione necessaria per ripresa, crescita, e sviluppo.

3. Mi rendo conto che questo aspetto, che non è proprio uno dei più semplici, va spiegato meglio. Lo farò in un prossimo messaggio. 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Crisi economica: siamo ad una svolta.

Post n°61 pubblicato il 05 Aprile 2009 da smittino

1. Secondo i responsabili di alcune autorità monetarie, (per tutti, il governatore della Banca d’Italia), la crisi economico—finanziaria sta rallentando la corsa. Con un pizzico di ottimismo, in fondo al tunnel già si può intravedere la luce. Probabilmente è così. D’altronde la storia insegna che prima o poi le crisi finiscono. E, tuttavia, per uscire alla luce che si intravede ci vorrà ancora del tempo. Si pensa che un cambiamento vero, percettibile da lavoratori e pensionati, non si vedrà prima del prossimo anno.

2. Ma, al di là delle spiegazioni  tecniche che in tanti hanno dato —  alle quali ho cercato di dare un modesto contributo — quali sono state le cause di questa crisi, quali le conseguenze, e quali rimedi sono stati adottati?
Un tentativo di risposta.

3. Le cause della crisi, specifiche nelle loro manifestazioni, possono essere ricondotte tutte ad una matrice unica: l’esasperata finanziarizzazione dell’attività economica, cioè, la concentrazione degli affari sulla finanza, piuttosto che sull’industria. Quando la finanza (banche, borsa, hedge found, private equity) è crollata, ha trascinato con sé l’industria (imprese produttrici).
Le conseguenze ormai abbiamo imparato a conoscerle: distruzione del risparmio delle famiglia, credit crunch (sparizione del credito), fallimenti e disoccupazione.
I rimedi, se si riveleranno efficaci, possono riassumersi nei massici interventi operati dagli stati e dalle loro banche centrali, tesi a fornire al sistema la liquidità (“soldi veri”) necessaria ad evitare che la crisi si trasformasse in depressione, con possibile default (insolvenza) degli stati stessi.

4. Da quanto è emerso dalla recente riunione del c.d. G20 (gruppo delle più importanti economie planetarie) di Londra, allo stato, sullo scacchiere internazionale, si fronteggiano due visioni, quasi opposte, circa il modo di rafforzare gli interventi pubblici: da un lato, L’Europa è convinta che occorrono nuove regole di funzionamento della finanza, e, soprattutto, più controllo; da un altro, gli USA ed i suoi banchieri (con qualche nota dissonante del presidente Obama) ritengono che gli interventi pubblici devono mirare subito a rimettere in piedi il sistema come era  prima della crisi; solo successivamente si potrà pensare a cambiarne le regole.
La soluzione definitiva è attesa per la prossima riunione del G7 (stesso gruppo di cui sopra, ristretto però alle principali potenze mondiali).
Personalmente, propendo per la soluzione europea. Vedremo.

5. Ma a questo punto, una curiosità. A cavallo del 19° e 20° secolo, alcuni erano dell’idea che il sistema capitalistico fosse destinato al fallimento, proprio per la sua tendenza a trasformarsi da capitale industriale in capitale finanziario. Si trattava di Marx ed Engels (Il manifesto del partito comunista) e di Lenin (L’imperialismo, fase suprema del capitalismo).

Che avessero ragione loro?

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Senza parole 2

Post n°60 pubblicato il 12 Marzo 2009 da smittino
Foto di smittino

Ancora Altan: passerà questa crisi?

(cliccare per leggere meglio)

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Senza parole.

Post n°59 pubblicato il 01 Marzo 2009 da smittino
Foto di smittino

E' una delle vignette di Altan. Secondo voi si riferisce alla crisi economica?

(Cliccare per leggere meglio).

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Il totem

Post n°58 pubblicato il 21 Febbraio 2009 da smittino

1. Sulla crisi finanziaria ed economica internazionale, parallelamente agli interventi statali (pragmatici, per dirla con il presidente degli USA, cioè scevri da ideologia), si svolge un dibattito teorico/politico, incentrato su una questione di fondo:  che ruolo assegnare al ‘mercato’, mentre si interviene su di esso e quando si ritornerà a normalità.

2. Alcuni  commentatori,  ripetendo acriticamente idee pseudo-liberiste, dichiarano apertamente che il mercato non si tocca nemmeno quando è al collasso, perché ha in sé gli anticorpi necessari per correggere i propri errori. Inoltre, essendo, per loro, l’unico strumento capace di assicurare sviluppo, una volta usciti dalla crisi, va conservato così com'é. Perciò, sono contrari ad interventi, statali e non, e quanto chiedono per il futuro è di aver fiducia nel mercato.
Altri, pur non dichiarando teorie di riferimento e accettando misure anticrisi, ne confutano l’efficacia con tesi ancora allo stato di idee, e che mal celano la stessa convinzione dei primi. Secondo loro, le misure anticresi che si prospettano, non rispettano il mercato, e sono sono destinate al fallimento.
Verrebbe da chiedersi, che dibattito è questo? Ma è quello che passa in convento!

3. Sui commenti apertamente a favore della libertà di mercato, ci sarebbe da opporre la nutrita letteratura secondo la quale molti paladini del liberismo non hanno letto, o compreso bene, Adam Smith. Ma in questa sede non si può fare. Valga per tutti il bel saggio di Amartia Sen — Etica ed Economia —  Edito da Laterza.
Sugli altri, invece, qualche osservazione non è peregrina.

4. In un articolo apparso su un quotidiano specialistico due noti economisti, di altissimo livello, si domandano se le misure anticrisi adottate dal governo americano (787 mld. di $ di tagli fiscali e 275 al mercato edilizio) funzioneranno. Poi rispondono negativamente, e per spiegare la risposta si fanno ancora altre due domande:
  servono più tagli fiscali, o più aumenti di spesa pubblica?
  in questa recessione quali tagli fiscali e quali aumenti di spesa sono necessari?
Alla prima domanda si rispondono così: è vero che, secondo molti studiosi, la scelta fra tagli fiscali e aumenti di spesa presenta incertezza, ma secondo altri (tra cui uno di loro) l’incertezza non c’è; anzi, è sufficientemente dimostrato che sono più efficaci i tagli fiscali, che l’aumento di spesa. Quindi sono per i tagli. (E' appena il caso di ricordare che maggiori tagli fiscali e minori spese sono più associabili all’economia di mercato, che non misure di segno contrario.
Alla seconda domanda la risposta è:
  i tagli fiscali e gli aumenti di spesa non devono andare alle famiglie, perché queste, indebitate come sono, li trasformerebbero in risparmi e non, invece, in  consumi, come sarebbe auspicabile, per sostenere la domanda aggregata;
 devono andare, per contro, a Banche e Imprese, per metterle in condizioni, le prime di aumentare il credito e pagare il maggior costo delle assicurazione contro il rischio di credito, le seconde per riprendere gli investimenti e creare le condizioni per l’aumento dell’occupazione. Anche qui siamo in presenza di scelte a favore dell’economia di mercato, ma anche probabili errori.
Le risposte dei due studiosi, come è evidente, hanno poco di scientifico e molto di idee politica: le scelte che propongono sono mirate al ripristino di quel mercato senza regole, che ci ha portato al disastro che stiamo vivendo.
Quanto alla prima  (maggiore efficacia dei tagli fiscali rispetto agli aumenti di spesa) si osserva: non è per niente vero che le famiglie trasformeranno i bonus previsti a loro favore dalle misure anticrisi, in risparmio, semplicemente perché, avendo una propensione al consumo molto vicino al massimo dei redditi percepiti (sic!), consumeranno tutto; con ciò, concorreranno al sostegno della domanda aggregata, che, guarda caso, è l’obiettivo che si propone il governo.
Sulla seconda l'osservazione è che i bonus concessi a banche e imprese, ragionevolmente, si trasformeranno in maggiore credito e maggiori investimenti, se banche e imprese decideranno    senza contraddittorio — che ne ricorrano le condizioni, diversamente quei bonus si trasformeranno in investimenti finanziari a vantaggio di nessuno, e con il rischio di vederli dissolvere nello spazio di qualche minuto.

5. Facciamo male a credere che il mercato sia un totem con virtù salvifiche. Il mercato è uno strumento che funziona con regole. Se non si conoscono bene, o si finge che non esistano, il mercato non dà buoni risultati.      

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Bad Banks e titoli spazzatura.

Post n°57 pubblicato il 03 Febbraio 2009 da smittino

1. I titoli spazzatura di cui si ho parlato nel precedente messagio hanno nomi diversi, per lo più inglesi: crediti default swap, vendite alla scoperto, hedge found, private equity e via dicendo. La denominazione generica che raggruppa quelli fin'ora conosciuti è: 'derivati'. Per quelli futuri, se ancora avremo la sventura di conoscerne, vedremo. La lcaratteristica comune dei derivati è, che a differenza di azioni e obbligazioni che rappresentano patrimoni di aziende, questi titoli sono, nella sostanza, cambiali poggiate sulla solvibilità di chi le emette: se l'emittente è solvibile, i derivati hanno valore - come in effetti sono stati per molto tempo - e possono essere oggetto di compravendita; se l'emittente diventa insolvente, tanto da far pensare che non è in grado di onorare il debito, il valore si disperde e diventano carta straccia.

2. La crisi finanziaria in atto, della quale tutti abbiamo qualche idea - si è generata esattamente quando i derivati sono diventati carta straccia, e le istituzioni finanziarie, che li hanno in portafoglio - banche in primis - non possono più, o non vogliono più, erogare credito.
Nel precedente messagio mi sono chiesto: che fine faranno i derivati quando saranno tolti dai bilanci di banche e imprese, e parcheggiati in bad banks?
Per dare una risposta, in primo luogo c'è da fare una premessa: nessuno pensa di considerarli perdite secche dei possessori, anche perché in molti casi, sono pari a due, tre e anche oltre il patrimonio aziendale. Quindi, certamente, necessiteranno di una govrnance, perché avranno un valore residuo, frutteranno rendite, saranno oggetto di compravendita ecc. Il problema che si pone è a chi farà capo la governance.
Per il caso dell'America, pare che sia scontato che se ne debba occupare lo stato e tutti i costi debbano gravare sui contribuenti. Ma per l'Europa e per l'Itialia, dove si pensa a bad banks, appendici delle singole banche detentrici di derivati, la scelta della governace non è delle più semplici. Io penso ad una soluzione del tipo che accenno, affidata ai segienti steps:
- stabilire un principio contabile che obblighi le banche a non creare momnti di interferenza fra contabilità sanata, e contabilità bad;
- far certificare le due contabiltà da un valutatore indipendente (banca centrale, borsa ecc.);
- obbligare per le banche di prestare credito per un % dei ratios riderminati dopo il risanamento;
- monitorare il mercato parallelo dei derivati, fino all'accertamento di un loro valore stabile e ritenuto accettabile;
- programmare il reinsirimento dei valori così ottenuti, nella contabilità sana, in stock percentuali, rispetto a un valore dato (capitale lordo, capitale fisso, cash flow, utile lordo o netto ecc.).

3. Frse la ripresa prenderebbe i tempi lunghi, e non risolverebbe subito il problema della disoccupazione. Ma, alla fine, sarebbe più solida. Quanto all'occupazione, come accennavo nel precedente messaggio, si dovrebbe pensare ad una seria riforma degli ammortizzatori sociali. 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

La Bad Bank di cui si parla.

Post n°56 pubblicato il 31 Gennaio 2009 da smittino

1.  Sulla stampa di questi ultimi giorni si legge che i governi, per far fronte alla crisi finanziaria mondiale, si apprestano a dar vita a bad banks, nelle quali far confluire i c.d. ‘ titoli spazzatutura’, con lo scopo di ripulire i bilanci di banche e imprese, affinché gli stessi  rappresentino valori  non infetti.
L’idea è ottima, perché, forse, è la strada giusta per ridare fiducia ai mercati, ma:
— chi paga?
 ci sono conseguenze indesiderate?

2. La risposta alla prima domanda dipende dalle modalità in cui la bad bank è realizzata.
Negli USA si pensa di costituire un’unica bad bank nazionale.  Una volta resa operativa, essa, da banca bad, rileverà  i  titoli spazzatura; le banche risanate ricominceranno a svolgere il loro ruolo istituzionale: raccogliere fondi (presso investitori affidabili) e concedere prestiti (da prenditori affidabili).
I costi dell’operazione (costituzione e gestione della bad bank) graveranno sullo stato, cioè, sui contribuenti.
Per come è stata concepita negli USA, la bad bank suscita molte perplessità, tutte ruotanti intorno ad un concetto: perché i cittadini dovrebbero accollarsi il costo di un’operazione resasi  necessaria per il dissennato comportamento del mondo della finanza?
In Europa, con la Germania in testa, si discute della possibilità di mettere in piedi più bad banks, esattamente una per ogni banca infettata dai titoli spazzatura, di talché la banca risanata sostenga i costi della banca bad.
Qui la soluzione è più che giusta, ed è accettabile. Vedremo.

3.  La risposta alla seconda domanda è: sì, ci sono delle conseguenze. Ne accenno due, che non sono di secondaria importanza.
— Che fine faranno i titoli spazzatura sistemati in bad bank?
— banche ricapitalizzate con sovvenzioni statali (inglesi, tedesche) e banche che non hanno avuto un euro di ricapitalizzazione (italiane), dopo il risanamento dei rispettivi bilanci con operazioni bad banks, saranno ancora in pari condizioni di competizione?
Sulla fine dei titoli spazzatura, per il momento non è dato sapere. Ritornerò su questo punto in un prossimo messaggio. 
Quanto alla domanda su possibili conseguenze, la risposta, purtroppo, è: no, non competeranno alla pari. Le banche italiane, per esempio, pur con bilanci disinfettati, ma senza apporti pubblici, non saranno in grado di remunerare i loro correntisti come avviene per quelli della banche inglesi o tedesche.
Ma tant’è.

4. Ora aggiungo una considerazione. La via della bad banks, come accennavo, forse è la via giusta per dare fiducia ai mercati. Ma per questa via, quando ci sarà, la ripresa avrà ritmi molto lenti, perché non potrà più contare sulla frenesia finanziaria che abbiamo conosciuto fino alla crisi. E ne risentiranno l’occupazione, i consumi e la stessa ripresa. Se ciò è vero, non sarebbe peregrino pensare, anche per l’Italia, a delle bad banks a carico delle banche infette, e a dirottare i fondi destinati alla loro eventuale ricapitalizzazione, verso una serie, seria, di ammortizzatori sociali, con i quali sopperire ad una crescita occupazionale lenta, in vista di un sostegno della domansa, che, al dilà di ogni retorica, è la vera chiave di volta per la ripresa.

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Un saluto...

Post n°55 pubblicato il 21 Gennaio 2009 da smittino

... per Lei Barack Hussein Obama, nuovo presidente degli Stati Uniti d'America. Spero che la sua azione segni la svolta della crisi economica in atto. Se mi è consaentito, un suggerimento: promuova regole tese a limitare le speculazioni finanziarie! Avrà fatto più della metà del lavoro che l'aspetta.
Auguri.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

2009: alla riscossa.

Post n°54 pubblicato il 02 Gennaio 2009 da smittino

1. L'anno di avvio di una crisi economica senza precedenti è passato. Da ieri è cominciato il 2009. Molti osservatori e commentatori sotengono che dovrebbe essere l'anno in cui gli effetti della crisi si sentiranno maggiormente: calo dell'ocupazione, dei consumi, degli investimenti e, a catena, deflazione, recessione ecc. ecc. Nessuno sa dire se le misure adottate dai governi a livello planetario saranno efficaci, se, cioè, ci porteranno fuori dalla crisi, o, almeno ne inveriranno la tendenza. Ora è 'scesa in campo' la chiesa cattolica, per auspicare un cambiamento dell'attuale modello di sviluppo. Che, è bene ricordarlo, è capitalistico. E' forse una notizia? La Chiesa Cattolica, forse promuove surrettiziamente qualche forma di socialismo? Macché!

2. Da tempo la chiesa cattolica, specialmente quella rappresentata dall'episcopato italiano, ha ingaggiato una battaglia a tutto campo (la vita, la morte, il matrimonio, di recente le leggi permissive) contro il c.d. 'laicismo', sul presupposto che esso porta lontano dalla verità. Oggi che percepisce che la gente, credente o non, è più interessata a come sbarcare i lunario, che ai problemi della fede (è di questi giorni l'allarme della curia per le crescnti assenze dai megaraduni) corre ai ripari, e si dichiara paladina dei deboli, fino ad auspicare un nuovo modello di sviluppo.
Ahimé è un pretesto. Per fare un altro attacco al laicismo, con un argomento più attuale: la crisi ecomica, come le altre passate, è propria del modello di sviluppo in carica, perché si tratta di un modello laicista. Nello specifico, laicismo economico.

3. Stendiamo un velo pietoso sul fatto che, ormai, è un abuso, da parte della Chiesa Cattolica, contrbbandare per laicismo ogni forma di 'pensiero laico'. Riteniamo, per contro, che auspicare un cambiamento di un modello di sviluppo, che domina ormai da secoli, sia civetteria intellettuale. Mi viene in mente una canzone della sinistra extraparlamentare, al tempo della 'Populorum Progressio'. Cominciava così: "Progressio populorum/il Papa alla riscossa/per non restare indietro/canta bandiera rossa". Anche io sarei per un'economia etica, ma chi me la da! Spero, piuttosto, che un po' di intelligenza laica, fatta di sapere e volontà, faccia qualcosa per limitare i danni che certamente dovremo subire in questo nuovo anno.
Altro che cambiamento di modello! Che, ove fosse possibile, implicherebbe i tempi lunghi. E nei tempi lunghi saremmo tutti morti, come insegnava Keynes.

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Che pasticcio!

Post n°53 pubblicato il 17 Dicembre 2008 da smittino

1. La banca centrale americana ha abbassato i tassi d'interesse in un range dallo '0' allo '0,50'%. Prendere a prestito il denaro in America, da oggi, non costa, praticamente, niente.
Ma, con l'aria che tira, le banche sono pronte a concedere, e qualcuno è pronto a chidere prestiti?
Ne dubito. Per due motivi fondamentali.

2. Primo: il mercato del credito si è inceppato, perché è franato il castello di carta su cui si reggeva (derivati, hedge found, private equity ecc.). Per rimettersi in movimento dovrebbero cambiare le aspettative degli invstitori finanziari; secondo l'opinione dei più, essi dovrebbero ritornare ad aver fiducia. Ma le aspettative non cambiano, perché tutte le misure in corso di adozione, anche quando sono mirate a sostenere la c.d. economia reale, nella filosofia di fondo, tendono al  ripristino dei meccanismi che nel tempo hanno privilegiato la finanza. E, in macanza di nuove aspettative, ancorchè a costo zero, il mercato del credito resterà pressoché fermo.
Secondo: ammesso che il credito fosse movimentato dall'economia reale (industria, commercio), si tratterebbe di una movimentazione lenta, che solo a distanza di tempo potrebbe influenzare positivamente la finanza. Questo si pensa. Ma, così, le aspettative, addirittura, peggiorebbero, e con esse peggiorerebbe il mercato del credito.

3. Se la tesi è sostenibile, e credo che lo sia, ritengo che la mossa della banca americana potrebbe innescare la c.d. 'trappola della liquidità': abbondanza di denaro, e, quindi, di credito potenziale, che nessuno può, o vuole usare nella misura in cui è disponile, stagnazione e possibilità di stagflazione (crescita prossima allo zero e inflazione in agguato).

4. Un bel pasticcio. Che prima, o poi, interesserà anche l'Europa.    

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Obama e i liberisti.

Post n°52 pubblicato il 30 Novembre 2008 da smittino

1. Il  nuovo presidente degli USA non si è ancora  insediato alla Casa Bianca, e già illustri esperti temono, che il cambiamento promesso da Obama in campagna elettorale, possa compromettere la sopravvivenza del  ‘mercato’.  Fra essi, il professor Alberto Alesina (Harvard University): pur  non appartenendo alla schiera dei  ‘mercatisti’, che disdegnano ogni forma di intervento pubblico in economia, con l’articolo apparso su ‘Il Sole 24 Ore’ del  6 novembre,  è molto  eloquente.
Ecco una sintesi dello scritto.
“In campagna elettorale il senatore dell’Illinois ha fatto sfoggio di abilità retorica, ma è rimasto molto sul vago sui contenuti”. Ora se egli agirà come uomo che il voto al senato ha spinto all’estrema sinistra del partito democratico, “la recessione USA, e di riflesso quella europea, sarà più grave e più lunga del previsto”.  Se invece opererà in modo da non “bloccare il funzionamento dei mercati finanziari, che tanto hanno contribuito alla crescita dell’America, allora l’economia USA può tirare un sospiro di sollievo, così come quella europea.”
Si verificherà la prima ipotesi se la nuova amministrazione USA:
- sarà protezionista nel commercio internazionale;
- aumenterà le tasse sui ceti medio alti;
- tasserà gli speculatori petrolifere e i capital gains;
- assisterà le industrie in declino.
Se verificherà la seconda se:
- attuerà politiche di distribuzione del reddito in “modo non grossolano”;
- avrà atteggiamenti non punitivi nei confronti della borsa, precipitandosi a regolare tutto;
- sarà attento a non “penalizzare troppo la crescita”.
Purtroppo ci sono tutte le condizioni perché si verifichi la prima ipotesi: il partito democratico ha una solidissima maggioranza al Congresso, e al Senato - anche se con numeri non sempre sicuri - può contrastare eventuali ostruzionismi della minoranza.
Quindi, la nuova amministrazione può fare tutto. Quindi, farà ciò che ha promesso.

2. Prima osservazione. Nel suo primo intervento da presidente eletto Barak Obama ha affermato che priorità della sua amministrazione sarà l’economia, con attenzione a due temi:
- il sostegno alle classi medie, anche con misure che sembreranno impopolari;
- iniziative verso l’industria manifatturiera, specialmente quella automobilistica, per rilanciare l’occupazione.
Dunque, porrà in essere misure di politica economica di stampo keynesiano, che, com’è acquisito, affidano lo sviluppo alla crescita dell’economia reale, mediante il sostegno della  domanda aggregata.
Seconda osservazione. Se durante la campagna elettorale Obama non è sembrato chiaro, altrettanto non si può dire dopo queste affermazioni. Ma se proprio ci fosse ancora bisogno di chiarezza, eccola: “Mi muoverò con approccio pragmatico ai problemi”,  ha detto Obama. E sicuramente fra i problemi egli annovera  l’attuale crisi dei mercati finanziari.
Muoversi con approccio pragmatico ai problemi, in economia specialmente, significa esaminare gli stessi negli  elementi  costitutivi del momento in cui si presentano, e cercare una soluzione efficace, possibilmente efficiente, senza pre-giudizi ideologici. Senza curarsi, cioè, se l’esame del problema, prima, e la soluzione, poi  sono di sinistra, o di destra, grossolani, o raffinati. Senza curarsi, in definitiva, se l’approccio, liberale, non rispetta  la filosofia della deregulation che finora ha governato i mercati finanziari, fino a distruggerli.

3. Poiché nel suo scritto non è spiegato, mi permetto di chiedere al professor Alesina, o a chi per lui:
- come si attuano politiche di distribuzione del reddito in “modo non grossolano”?
- vietare i contratti allo scoperto significa punire la borsa?
- in alternativa, aumentare, per questi  contratti, l’importo del deposito, è una punizione della borsa;
- cosa significa esattamente “non penalizzare troppo la crescita”?  

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Berlusconi questa volta 'ci'azzecca'.

Post n°46 pubblicato il 27 Ottobre 2008 da smittino

1. Notizia di ieri: Berlusconi ha chiaramente detto che Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale non sono istituzioni qualificate a scrivere le nuove regole della finanza, perché "...non sono state capaci di anticipare la crisi e di comprenderne la portata..." (Il Sole 24 Ore - 26 ottobre 2008, p.2).

2. Sono del tutto d'accordo con lui, anche se sotituirei la sua motivazione con la seguente: "...sono state dolosamente colpevoli della crisi e della sua portata...".

3. Bene, comunque, che qualcuno cominci a vederci chiaro. 
 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Ma io 'non ci sto'.

Post n°45 pubblicato il 21 Ottobre 2008 da smittino

1. Oggi il telegiornale delle 14.30 di Rai tre ha dato la seguente notizia: Il Fondo Monetario Internazionale ha diffuso un documento in cui si afferma che le misure dei governi, per scongiurare la deriva della finanza internazionale, non saranno di sicuro effetto. Meglio sarebbero state misure atte a facilitare le liberalizzazioni. Come dire: meglio sarebbe stato, lasciare andare i fallimenti.
Ma che cosa è il Fondo Monetario Internazionale?

2. "In base allo statuto il Fondo Monetario Internazionale è innanzi tutto un foro permanente volto a promuovere la cooperazione in campo monetario internazionale. Il suo contributo è soprattutto mirato a promuovere la coerenza tra le politiche economiche dei paesi membri e la stabilità del sistema monetario e finanziario nternazionale..." (G. Schlitzer: Il Fondo Monetario Internazionale-Il Mulino-p.21).
Aggiungo io che il Fondo Monetario Internazionale è l'genzia che ha voluto e promosso la globalizzazione, che, a dire di tanti, a partire da nostri ministri,  sarebbe la vera causa della crisi finanziaria in svolgimento. Aggiungo ancora che molti dei nomi che sono circolati nei commenti alla crisi finanziaria in atto o sono passati per, o sono dentro, o passeranno per...il Fondo Monetario Internazionale.

3. In un libro che ritengo una favola (Naomi Klein: Shock Economy-Rizzoli), si sostiene una tesi che, a mio parere, non va sottovlutata:
- il guro dell'ultraliberismo Milton Friedman sosteneva che il politicamente impossibile può diventare politicamente inevitabile, in situazioni di violenza, cataclismi naturali, guerre ecc., perchè la gente vivendo in condizioni di shock, è pronta ad accettare tutto.
- molti dei grandi cambiamenti della storia mondiale degli ultimi trenta anni, sono avvenuti in seguito a shock naturali o provocati;
- il Fondo Monetario Internazionale, quale agenzia che che ha gestito gli aspetti economico - finanziari dei cambiamenti, ha indirizzato la 'globalizzazione' verso l'iperibelismo: il meccanismo, secondo il quale, per arricchirsi, ognuno è libero di fare quello che crede; e quelli che non ce la fanno comunque risentiranno una ricaduta positiva.

4. Se la tesi è sostenibile, ed io credo che lo sia, niente di più verosimile che il Fondo Monetario Internazione, con la presa di posizione di oggi, sia 'sceso in campo' per leggere l'attuale crisi come un altro shock da cogliere al volo, per reiterare la sua politica di sempre.

Ma io 'non ci sto'.  

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Questa crisi...

Post n°44 pubblicato il 13 Ottobre 2008 da smittino
Foto di smittino

Ecco alcuni titoli del 'Sole 24 Ore' di oggi':

* "Banche, la ricerca della forza perduta" (Locatelli);
* "Tremonti attacca gli hedge found (fondi coperti)" (Merli);
* "Roma vuole un pacchetto ambizioso (Pelasi)"
* "Avviare subito Basilea 3" (Bocciarelli, che riporta Draghi);
* "Gli ex Leheman? Esuberi soltanto per pochi giorni"  (senza nome dell'autore).

Attenzione all'ultimo punto: crisi o non crisi, i pesci grossi si salvano sempre.

E...per il momento ridiamoci con Altan, cliccando sulla vignetta.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963