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Da La Repubblica : VERGOGNA ITALIANA

Post n°98 pubblicato il 19 Marzo 2008 da gorgonietta75

di GIUSEPPE D'AVANZO/

> C'ERA anche un carabiniere "buono", quel giorno. Molti "prigionieri"
> lo ricordano. "Giovanissimo". Più o meno ventenne, forse "di leva".
> Altri l'hanno in mente con qualche anno in più. In tre giorni di
> "sospensione dei diritti umani", ci sono stati dunque al più due
> uomini compassionevoli a Bolzaneto, tra decine e decine di poliziotti,
> carabinieri, guardie di custodia, poliziotti carcerari, generali,
> ufficiali, vicequestori, medici e infermieri dell'amministrazione
> penitenziaria. Appena poteva, il carabiniere "buono" diceva ai
> "prigionieri" di abbassare le braccia, di levare la faccia dal muro,
> di sedersi. Distribuiva la bottiglia dell'acqua, se ne aveva una a
> disposizione. Il ristoro durava qualche minuto. Il primo ufficiale di
> passaggio sgridava con durezza il carabiniere tontolone e di buon
> cuore, e la tortura dei prigionieri riprendeva.
>
> Tortura. Non è una formula impropria o sovrattono. Due anni di
> processo a Genova hanno documentato - contro i 45 imputati - che cosa
> è accaduto a Bolzaneto, nella caserma Nino Bixio del reparto mobile
> della polizia di Stato nei giorni del G8, tra venerdì 20 e domenica 22
> luglio 2001, a 55 "fermati" e 252 arrestati. Uomini e donne. Vecchi e
> giovani. Ragazzi e ragazze. Un minorenne. Di ogni nazionalità e
> occupazione; spagnoli, greci, francesi, tedeschi, svizzeri, inglesi,
> neozelandesi, tre statunitensi, un lituano.
>
> Studenti soprattutto e disoccupati, impiegati, operai, ma anche
> professionisti di ogni genere (un avvocato, un giornalista...). I
> pubblici ministeri Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati
> hanno detto, nella loro requisitoria, che "soltanto un criterio
> prudenziale" impedisce di parlare di tortura. Certo, "alla tortura si
> è andato molto vicini", ma l'accusa si è dovuta dichiarare impotente a
> tradurre in reato e pena le responsabilità che hanno documentato con
> la testimonianza delle 326 persone ascoltate in aula.
> Il reato di tortura in Italia non c'è, non esiste. Il Parlamento non
> ha trovato mai il tempo - né avvertito il dovere in venti anni - di
> adeguare il nostro codice al diritto internazionale dei diritti umani,
> alla Convenzione dell'Onu contro la tortura, ratificata dal nostro
> Paese nel 1988. Esistono soltanto reatucci d'uso corrente da gettare
> in faccia agli imputati: l'abuso di ufficio, l'abuso di autorità
> contro arrestati o detenuti, la violenza privata. Pene dai sei mesi ai
> tre anni che ricadono nell'indulto (nessuna detenzione, quindi) e
> colpe che, tra dieci mesi (gennaio 2009), saranno prescritte (i tempi
> della prescrizione sono determinati con la pena prevista dal reato).
>
> Come una goccia sul vetro, penosamente, le violenze di Bolzaneto
> scivoleranno via con una sostanziale impunità e, quel che è peggio,
> possono non lasciare né un segno visibile nel discorso pubblico né,
> contro i colpevoli, alcun provvedimento delle amministrazioni
> coinvolte in quella vergogna. Il vuoto legislativo consentirà a tutti
> di dimenticare che la tortura non è cosa "degli altri", di quelli che
> pensiamo essere "peggio di noi". Quel "buco" ci permetterà di
> trascurare che la tortura ci può appartenere. Che - per tre giorni -
> ci è già appartenuta.
>
> Nella prima Magna Carta - 1225 - c'era scritto: "Nessun uomo libero
> sarà arrestato, imprigionato, spossessato della sua indipendenza,
> messo fuori legge, esiliato, molestato in qualsiasi modo e noi non
> metteremo mano su di lui se non in virtù di un giudizio dei suoi pari
> e secondo la legge del paese". Nella nostra Costituzione, 1947,
> all'articolo 13 si legge: "La libertà personale è inviolabile. È
> punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte
> a restrizione di libertà"
>
> La caserma di Bolzaneto oggi non è più quella di ieri. Con un'accorta
> gestione, si sono voluti cancellare i "luoghi della vergogna",
> modificarne anche gli spazi, aprire le porte alla città, alle autorità
> cittadine, civili, militari, religiose coltivando l'idea di farne un
> "Centro della Memoria" a ricordo delle vittime dei soprusi. C'è un
> campo da gioco nel cortile dove, disposti su due file, i "carcerieri"
> accompagnavano l'arrivo dei detenuti con sputi, insulti, ceffoni,
> calci, filastrocche come "Chi è lo Stato? La polizia! Chi è il capo?
> Mussolini!", cori di "Benvenuti ad Auschwitz".
>
> Dov'era il famigerato "ufficio matricole" c'è ora una cappella
> inaugurata dal cardinale Tarcisio Bertone e nei corridoi, dove nel
> 2001 risuonavano grida come "Morte agli ebrei!", ha trovato posto una
> biblioteca intitolata a Giovanni Palatucci, ultimo questore di Fiume
> italiana, ucciso nel campo di concentramento di Dachau per aver
> salvato la vita a 5000 ebrei.
>
> Quel giorno, era venerdì 20 luglio, l'ambiente è diverso e il clima di
> piombo. Dopo il cancello e l'ampio cortile, i prigionieri sono
> sospinti verso il corpo di fabbrica che ospita la palestra. Ci sono
> tre o quattro scalini e un corridoio centrale lungo cinquanta metri. È
> qui il garage Olimpo. Sul corridoio si aprono tre stanze, una sulla
> sinistra, due sulla destra, un solo bagno. Si è identificati e
> fotografati. Si è costretti a firmare un prestampato che attesta di
> non aver voluto chiamare la famiglia, avvertire un avvocato. O il
> consolato, se stranieri (agli stranieri non si offre la traduzione del
> testo).
>
> A una donna, che protesta e non vuole firmare, è mostrata la foto dei
> figli. Le viene detto: "Allora, non li vuoi vedere tanto presto...". A
> un'altra che invoca i suoi diritti, le tagliano ciocche di capelli.
> Anche H. T. chiede l'avvocato. Minacciano di "tagliarle la gola". M.
> D. si ritrova di fronte un agente della sua città. Le parla in
> dialetto. Le chiede dove abita. Le dice: "Vengo a trovarti, sai". Poi,
> si è accompagnati in infermeria dove i medici devono accertare se i
> detenuti hanno o meno bisogno di cure ospedaliere. In un angolo si è,
> prima, perquisiti - gli oggetti strappati via a forza, gettati in
> terra - e denudati dopo. Nudi, si è costretti a fare delle flessioni
> "per accertare la presenza di oggetti nelle cavità".
>
> Nessuno sa ancora dire quanti sono stati i "prigionieri" di quei tre
> giorni e i numeri che si raccolgono - 55 "fermati", 252 "arrestati" -
> sono approssimativi. Meno imprecisi i "tempi di permanenza nella
> struttura". Dodici ore in media per chi ha avuto la "fortuna" di
> entrarvi il venerdì. Sabato la prigionia "media" - prima del
> trasferimento nelle carceri di Alessandria, Pavia, Vercelli, Voghera -
> è durata venti ore. Diventate trentatré la domenica quando nella notte
> tra 1.30 e le 3.00 arrivano quelli della Diaz, contrassegnati
> all'ingresso nel cortile con un segno di pennarello rosso (o verde)
> sulla guancia.
>
> È saltato fuori durante il processo che la polizia penitenziaria ha un
> gergo per definire le "posizioni vessatorie di stazionamento o di
> attesa". La "posizione del cigno" - in piedi, gambe divaricate,
> braccia alzate, faccia al muro - è inflitta nel cortile per ore, nel
> caldo di quei giorni, nell'attesa di poter entrare "alla matricola".
> Superati gli scalini dell'atrio, bisogna ancora attendere nelle celle
> e nella palestra con varianti della "posizione" peggiori, se
> possibile. In ginocchio contro il muro con i polsi ammanettati con
> laccetti dietro la schiena o nella "posizione della ballerina", in
> punta di piedi.
>
> Nelle celle, tutti sono picchiati. Manganellate ai fianchi. Schiaffi
> alla testa. La testa spinta contro il muro. Tutti sono insultati: alle
> donne gridato "entro stasera vi scoperemo tutte"; agli uomini, "sei un
> gay o un comunista?" Altri sono stati costretti a latrare come cani o
> ragliare come asini; a urlare: "viva il duce", "viva la polizia
> penitenziaria". C'è chi viene picchiato con stracci bagnati; chi sui
> genitali con un salame, mentre steso sulla schiena è costretto a
> tenere le gambe aperte e in alto: G. ne ricaverà un "trauma
> testicolare". C'è chi subisce lo spruzzo del gas
> urticante-asfissiante. Chi patisce lo spappolamento della milza. A.
>
> D. arriva nello stanzone con una frattura al piede. Non riesce a stare
> nella "posizione della ballerina". Lo picchiano con manganello. Gli
> fratturano le costole. Sviene. Quando ritorna in sé e si lamenta, lo
> minacciano "di rompergli anche l'altro piede". Poi, gli innaffiano il
> viso con gas urticante mentre gli gridano. "Comunista di merda". C'è
> chi ricorda un ragazzo poliomielitico che implora gli aguzzini di "non
> picchiarlo sulla gamba buona". I. M. T. lo arrestano alla Diaz. Gli
> viene messo in testa un berrettino con una falce e un pene al posto
> del martello. Ogni volta che prova a toglierselo, lo picchiano. B. B.
> è in piedi.
>
> Gli sbattono la testa contro la grata della finestra. Lo denudano. Gli
> ordinano di fare dieci flessioni e intanto, mentre lo picchiano
> ancora, un carabiniere gli grida: "Ti piace il manganello, vuoi
> provarne uno?". S. D. lo percuotono "con strizzate ai testicoli e
> colpi ai piedi". A. F. viene schiacciata contro un muro. Le gridano:
> "Troia, devi fare pompini a tutti", "Ora vi portiamo nei furgoni e vi
> stupriamo tutte". S. P. viene condotto in un'altra stanza, deserta. Lo
> costringono a denudarsi. Lo mettono in posizione fetale e, da questa
> posizione, lo obbligano a fare una trentina di salti mentre due agenti
> della polizia penitenziaria lo schiaffeggiano. J. H. viene picchiato e
> insultato con sgambetti e sputi nel corridoio. Alla perquisizione, è
> costretto a spogliarsi nudo e "a sollevare il pene mostrandolo agli
> agenti seduti alla scrivania". J. S., lo ustionano con un accendino.
>
> Ogni trasferimento ha la sua "posizione vessatoria di transito", con
> la testa schiacciata verso il basso, in alcuni casi con la pressione
> degli agenti sulla testa, o camminando curvi con le mani tese dietro
> la schiena. Il passaggio nel corridoio è un supplizio, una forca
> caudina. C'è un doppia fila di divise grigio-verdi e blu. Si viene
> percossi, minacciati.
>
> In infermeria non va meglio. È in infermeria che avvengono le doppie
> perquisizioni, una della polizia di Stato, l'altra della polizia
> penitenziaria. I detenuti sono spogliati. Le donne sono costrette a
> restare a lungo nude dinanzi a cinque, sei agenti della polizia
> penitenziaria. Dinanzi a loro, sghignazzanti, si svolgono tutte le
> operazioni. Umilianti. Ricorda il pubblico ministero: "I piercing
> venivano rimossi in maniera brutale. Una ragazza è stata costretta a
> rimuovere il suo piercing vaginale con le mestruazioni dinanzi a
> quattro, cinque persone". Durante la visita si sprecano le battute
> offensive, le risate, gli scherni. P.
>
> B., operaio di Brescia, lo minacciano di sodomizzazione. Durante la
> perquisizione gli trovano un preservativo. Gli dicono: "E che te ne
> fai, tanto i comunisti sono tutti froci". Poi un'agente donna gli si
> avvicina e gli dice: "È carino però, me lo farei". Le donne, in
> infermeria, sono costrette a restare nude per un tempo superiore al
> necessario e obbligate a girare su se stesse per tre o quattro volte.
> Il peggio avviene nell'unico bagno con cesso alla turca, trasformato
> in sala di tortura e terrore. La porta del cubicolo è aperta e i
> prigionieri devono sbrigare i bisogni dinanzi all'accompagnatore. Che
> sono spesso più d'uno e ne approfittano per "divertirsi" un po'.
>
> Umiliano i malcapitati, le malcapitate. Alcune donne hanno bisogno di
> assorbenti. Per tutta risposta viene lanciata della carta da giornale
> appallottolata. M., una donna avanti con gli anni, strappa una
> maglietta, "arrangiandosi così". A. K. ha una mascella rotta.
> L'accompagnano in bagno. Mentre è accovacciata, la spingono in terra.
> E. P. viene percossa nel breve tragitto nel corridoio, dalla cella al
> bagno, dopo che le hanno chiesto "se è incinta". Nel bagno, la
> insultano ("troia", "puttana"), le schiacciano la testa nel cesso, le
> dicono: "Che bel culo che hai", "Ti piace il manganello".
>
> Chi è nello stanzone osserva il ritorno di chi è stato in bagno. Tutti
> piangono, alcuni hanno ferite che prima non avevano. Molti rinunciano
> allora a chiedere di poter raggiungere il cesso. Se la fanno sotto,
> lì, nelle celle, nella palestra. Saranno però picchiati in infermeria
> perché "puzzano" dinanzi a medici che non muovono un'obiezione. Anche
> il medico che dirige le operazioni il venerdì è stato "strattonato e
> spinto".
>
> Il giorno dopo, per farsi riconoscere, arriva con il pantalone della
> mimetica, la maglietta della polizia penitenziaria, la pistola nella
> cintura, gli anfibi ai piedi, guanti di pelle nera con cui farà poi il
> suo lavoro liquidando i prigionieri visitati con "questo è pronto per
> la gabbia". Nel suo lavoro, come gli altri, non indosserà mai il
> camice bianco. È il medico che organizza una personale collezione di
> "trofei" con gli oggetti strappati ai "prigionieri": monili, anelli,
> orecchini, "indumenti particolari". È il medico che deve curare L. K.
>
> A L. K. hanno spruzzato sul viso del gas urticante. Vomita sangue.
> Sviene. Rinviene sul lettino con la maschera ad ossigeno. Stanno
> preparando un'iniezione. Chiede: "Che cos'è?". Il medico risponde:
> "Non ti fidi di me? E allora vai a morire in cella!". G. A. si stava
> facendo medicare al San Martino le ferite riportate in via Tolemaide
> quando lo trasferiscono a Bolzaneto. All'arrivo, lo picchiano contro
> un muretto. Gli agenti sono adrenalinici. Dicono che c'è un
> carabiniere morto. Un poliziotto gli prende allora la mano. Ne
> divarica le dita con due mani. Tira. Tira dai due lati. Gli spacca la
> mano in due "fino all'osso". G. A. sviene. Rinviene in infermeria. Un
> medico gli ricuce la mano senza anestesia. G. A. ha molto dolore.
> Chiede "qualcosa". Gli danno uno straccio da mordere. Il medico gli
> dice di non urlare.
>
> Per i pubblici ministeri, "i medici erano consapevoli di quanto stava
> accadendo, erano in grado di valutare la gravità dei fatti e hanno
> omesso di intervenire pur potendolo fare, hanno permesso che quel
> trattamento inumano e degradante continuasse in infermeria".
>
> Non c'è ancora un esito per questo processo (arriverà alla vigilia
> dell'estate). La sentenza definirà le responsabilità personali e le
> pene per chi sarà condannato. I fatti ricostruiti dal dibattimento,
> però, non sono più controversi. Sono accertati, documentati, provati.
> E raccontano che, per tre giorni, la nostra democrazia ha superato
> quella sempre sottile ma indistruttibile linea di confine che protegge
> la dignità della persona e i suoi diritti. È un'osservazione che già
> dovrebbe inquietare se non fosse che - ha ragione Marco Revelli a
> stupirsene - l'indifferenza dell'opinione pubblica, l'apatia del ceto
> politico, la noncuranza delle amministrazioni pubbliche che si sono
> macchiate di quei crimini appaiono, se possibile, ancora più
> minacciose delle torture di Bolzaneto.
>
> Possono davvero dimenticare - le istituzioni dello Stato, chi le
> governa, chi ne è governato - che per settantadue ore, in una caserma
> diventata lager, il corpo e la "dimensione dell'umano" di 307 uomini e
> donne sono stati sequestrati, umiliati, violentati? Possiamo davvero
> far finta di niente e tirare avanti senza un fiato, come se i nostri
> vizi non fossero ciclici e non si ripetessero sempre "con lo stesso
> cinismo, la medesima indifferenza per l'etica, con l'identica allergia
> alla coerenza"?


 
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