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Ciao greenpaece

Post n°33 pubblicato il 14 Novembre 2007 da dylandog
 

state facendo un ottimo lavoro

 
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ggggggg

Post n°32 pubblicato il 06 Novembre 2007 da dylandog
 
Tag: ggg

ggggggggg

 
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Post N° 27

Post n°27 pubblicato il 01 Giugno 2006 da dylandog




 
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Post N° 23

Post n°23 pubblicato il 01 Giugno 2006 da dylandog




 
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Il vero FENOMENO

Post n°22 pubblicato il 01 Giugno 2006 da dylandog




 
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Cercasi elettori zona8

Post n°21 pubblicato il 25 Maggio 2006 da dylandog

Disposti a votare a sinistra

Lista Ferrante

 
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Post N° 19

Post n°19 pubblicato il 09 Maggio 2006 da dylandog

ILadroni d'Italia meritano tanti anni di galera quanti scudetti hanno rubato nel corso della loro storia

e dire che tutti lodavano Moggi e il suo saper fare...tutti ad inmvitarlo e farselo amico..pensa te

ora come ora mi vien da dire MOGGI COME WANNA MARCHI
teleimbonitori di prima categoria. ti raccontano che va tutto bene, ridono e schrezano con tutti e sotto sotto ti combinano i macelli piu nefandi!!

Una punizione esmplare e chiusura immediata della gea e la famiglia Moggi interdetta da ogni ufficio  A VITA!!!

E che nn si dica piu che la Giuve è un modello di squadra!!


 
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PEACE ON DRUGSE ORA PACE!Manifesto per una politica delle droghe alternativa verso il 2008

Post n°18 pubblicato il 09 Maggio 2006 da dylandog

Con la firma del Presidente della Repubblica, è entrata in vigore in Italia dal 28 febbraio 2006 la nuova legge sulle droghe, voluta dal governo di centrodestra.
E’ una vera e propria controriforma che fa perno sulla demonizzazione della marijuana, ignorando le evidenze scientifiche: dalla sua equiparazione “morale” alle droghe pesanti al grido di “la droga è droga”, discende l’equiparazione penale con un drastico innalzamento delle pene detentive. Il possesso di qualsiasi sostanza, al di sopra di una soglia quantitativa predefinita in via amministrativa, è considerato spaccio presunto e punito col carcere, da sei a venti anni. Il furore ideologico si tradurrà in una dilatazione del sistema penitenziario e nel ritorno alla filosofia della “cura e custodia”, in ambito terapeutico: le pulsioni moralistiche si saldano così con la logica degli affari, aprendo il varco all’esecuzione penale affidata ai privati. La messa al bando della riduzione del danno disegna un orizzonte autoritario, di negazione della libertà terapeutica e conseguentemente dei diritti dei cittadini consumatori. Infine, gravissime saranno le ricadute dell’inasprimento repressivo sul carcere: ci sarà ulteriore sovraffollamento, più suicidi, più atti di autolesionismo. Tanto più gravi per i tossicodipendenti, che già oggi soffrono la pena aggiuntiva del vedersi negate le cure adeguate.
L’approvazione del provvedimento è avvenuta forzando consolidate procedure istituzionali, senza dibattito in Parlamento, senza confronto con la grande maggioranza degli esperti e degli operatori.
La legge viola la Costituzione e il principio di legalità, disprezza il pronunciamento popolare del 1993, cancella le norme sul giusto processo, nega il diritto alla salute, calpesta le autonomie regionali, è sorda alle ragioni della scienza.
La scelta repressiva appare insensata nonché in aperto contrasto con le tendenze in atto nella gran parte dei paesi europei sino dagli inizi degli anni ’90. L’Europa sceglie, seppure in forme diverse, di spostare il centro delle politiche di controllo sulle droghe dal penale al sociale, in particolare investendo sulla depenalizzazione del consumo personale, sulla distinzione fra droghe leggere e pesanti, sulla riduzione del danno.

Dobbiamo operare perché questa controriforma autoritaria eserciti i suoi effetti per il più breve tempo possibile: chiediamo al nuovo Parlamento, come primo atto, la sua abrogazione immediata attraverso lo strumento del decreto-legge.
Ma non basta. Occorre imboccare con decisione la strada della riforma, sulla base del disegno di legge già sottoscritto in questa legislatura da oltre cento fra deputati e senatori del centrosinistra.
Chiave di volta della riforma deve essere la completa depenalizzazione di tutte le condotte attinenti al consumo individuale, comprese la cessione gratuita e la coltivazione domestica; l’abolizione delle sanzioni amministrative; l’abbassamento generale delle pene previste per lo spaccio, fra le più alte d’Europa; la facilitazione ai programmi terapeutici alternativi per i detenuti con problemi legati alle tossicodipendenze e alcoldipendenze; l’utilizzo medico dei derivati della canapa; la sperimentazione di interventi innovativi di riduzione del danno (dal pill testing ai trattamenti con eroina, alle “stanze del consumo”); il consolidamento della rete dei servizi, pubblici e privati, che faccia perno sulla programmazione pubblica; l’integrazione nella stessa rete, a pieno titolo, degli interventi di bassa soglia; un più forte collegamento dei servizi per le tossicodipendenze con l’insieme dell’offerta sociale, per meglio difendere i diritti dei più emarginati, a cominciare dai migranti.
Rilanciamo oggi queste proposte, promosse nel giugno 2003 dal cartello denominato “Dal penale al sociale”e riprese dal cartello “Non incarcerate il nostro crescere”. Intorno a queste, nella lotta contro la svolta punitiva, si è consolidata l’unità di un vasto arco di forze, composto di cittadini e consumatori, di operatori pubblici e privati, di sindacalisti, di giuristi, di amministratori comunali, provinciali e regionali. Né va dimenticata l’azione di movimento di “Confini zero”.
Di fronte all’aumento delle barriere sociali, della stigmatizzazione e della sofferenza delle fasce più deboli, della criminalizzazione dei giovani e dei loro stili di vita, proponiamo con forza nuove politiche di tolleranza e inclusione sociale.

La lotta per la riforma della politica delle droghe non può arrestarsi alla dimensione nazionale. Del resto, il sistema mondiale di proibizione delle droghe, attraverso le Convenzioni delle Nazioni Unite, rappresenta l’antecedente storico della globalizzazione. Ma l’unanimismo intorno alla guerra globale alla droga comincia a scricchiolare. Le politiche riformatrici di molti paesi europei; l’approvazione nel dicembre 2004 della Raccomandazione del Parlamento Europeo che per la prima volta critica senza ambiguità la strategia dell’Onu, subalterna agli Usa; la presa di posizione coraggiosa del nuovo presidente boliviano, Evo Morales, contro la criminalizzazione dell’uso tradizionale della foglia di coca: sono segnali di nuove feconde contraddizioni che occorre approfondire in vista del prossimo appuntamento delle Nazioni Unite sulle droghe, nel 2008.
Allora i guerrieri della droga dovranno presentare il loro bilancio. Non ci potrà essere appello per il loro fallimento. L’Onu dovrà finalmente voltare pagina, mettendo in agenda il tema della regolamentazione delle droghe, oltre il dogma proibizionista.

 
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Per un Movimento ecologico

Post n°17 pubblicato il 09 Maggio 2006 da dylandog

La questione ambientale ha assunto una centralità sempre maggiore nella sensibilità collettiva e nell’agenda politica nazionale e internazionale.

La questione ambientale non può più essere ridotta a una nicchia ecologica né a un mero problema di tutela della natura.
Essa comporta, invece, la promozione di uno sviluppo socialmente ed ecologicamente sostenibile: e, dunque, un’economia ecoefficiente, un mercato adeguatamente regolato, un lavoro più consapevole e qualificato in una società più libera e più giusta.

L’ambientalismo – la critica, il movimento, il programma, la cultura – è riuscito, nell’arco di poco più di trent’anni, a passare dalla denuncia di “Primavere silenziose” al percorso Rio de Janeiro–Kyoto; un percorso che segna incontrovertibilmente - e a partire dall’effetto serra, dal buco dell’ozono, dalla desertificazione, dalla riduzione della diversità biologica - il delinearsi di un conflitto che coinvolge centinaia di governi in tutto il mondo. Sono stati messi in discussione il modo di produrre e di consumare, le forme dell’innovazione tecnologica e i possibili salti di fase nei processi produttivi ed economico-sociali per i grandi paesi in via di sviluppo; e l’impatto delle attività industriali dei paesi avanzati e i loro “egoismi” impongono il tema della sostenibilità dello sviluppo come riferimento ineludibile e formalmente da tutti accettato.


Il “pensare globalmente” è stato l’anticipazione di quella globalizzazione che oggi le grandi potenze vorrebbero imporre come pensiero “unico” e meccanismo di riduzione del cittadino a consumatore. Contro tutto questo, il pensiero “globale” ambientalista ha proposto tre fondamentali strumenti di analisi e di critica: la valorizzazione delle risorse locali; l’incremento della produttività delle risorse contrapposta all’imperativo dell’aumento della produttività del lavoro; il vincolo ambientale come consapevolezza dei limiti fisici e sociali dello sviluppo.

Più in generale, l’idea di ecosostenibilità si è dimostrata una base solidissima per fare fronte alle perversioni della globalizzazione, ottenendo alcuni significativi successi. Fino a informare le agende dei vari G8 e una componente rilevante del movimento di contestazione; movimento che, da Seattle in poi, ha attivato, in modo prima impensabile, la sensibilità dell’opinione pubblica e l’azione politica, animando il desiderio di partecipazione di una parte significativa delle giovani generazioni.
Ma, nonostante tutto questo, la crisi ambientale globale, a dieci anni da Rio de Janeiro, sta precipitando verso un punto di non ritorno, proprio perché le decisioni e le politiche radicali che andrebbero perseguite, vengono eluse o rinviate. Questa condizione di stallo contribuisce a intrecciare la crisi ambientale a quella sociale e politica, i cui elementi dominanti sono l’acuirsi del divario tra i più ricchi e i più poveri e la crescente concentrazione del potere politico e militare, oltre che economico e finanziario.
Ed è proprio la percezione del combinarsi perverso di queste crisi e dello stato di incertezza e, talvolta, di angoscia, determinato dall’uso non controllato dell’innovazione scientifica e tecnologica, che sta alla base del diffondersi e del radicalizzarsi del movimento di contestazione detto no global: in un contesto mondiale dove le masse di emarginati e di esclusi aumentano di pari passo con le carestie e con le epidemie.

Con il massacro dell’11 settembre, cambia lo scenario globale e cambiano i parametri di analisi e di azione pubblica di tutte le culture politiche; e si indeboliscono ulteriormente i riferimenti del pacifismo tradizionale, che già non avevano retto a fronte delle vicende dell’ex-Jugoslavia: e gli stessi fondamenti dell’ecopacifismo esigono di essere ripensati in profondità. C’è, insomma, l’esigenza di una nuova riflessione e di una nuova strategia per rendere l’ambientalismo in grado di affrontare il nuovo contesto nazionale e internazionale. Un primo impegno – più immediato e più circoscritto – è quello di contribuire a che il movimento detto no global sia capace di parlare efficacemente all’opinione pubblica e di comunicare la propria originale elaborazione, superando reviviscenza di vecchi riti e vecchi esorcismi anticapitalistici, la tentazione compulsiva di tradurre ogni rivendicazione e ogni contestazione nella forma del corteo, l’indulgenza verso la retorica bellica delle parole e dei gesti, prima ancora che delle azioni. Il cambiamento dello scenario globale e la sua complessità, tuttavia, non possono costituire un alibi per il disimpegno rispetto ai compiti “locali”: da una parte, per realizzare in Italia una politica e una società

 
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Post N° 16

Post n°16 pubblicato il 09 Maggio 2006 da dylandog

hehehehe
le donne intelligenti nn si sposano e penso che questo l'uomo debba capirlo ancora!! invece l'uomo colto spera di "comprarsi" una famiglia..
lavora e porta soldi a casa pensando cosi di aver esaudito l'istinto umano di riproduzione della specie: coscienza a posto, moglie a casa e amante in ufficio :-)

 
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Post N° 15

Post n°15 pubblicato il 09 Maggio 2006 da dylandog

 
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Post N° 14

Post n°14 pubblicato il 09 Maggio 2006 da dylandog

 
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Pena De L'alma

Post n°13 pubblicato il 09 Maggio 2006 da dylandog

Che farò lontan da te pena dell'anima
senza vederti, senza averti, nè guardarti
anche lontano non vorrò dimenticarti
anche se è ormai impossibil il nostro amor

Come levare via il profumo al fiore?
Come togliere al vento l'armonia?
Come negar che ti amo vita mia?
Come togliermi in petto questa passion?

E a veder che crudel destino ora ne viene
ma che l'ombra ora ci prenda più mi addolora
Il mio cuore mi dice che non può seguirti ancora
e nemmeno questa angustia sopportar

Come levar alle stelle via il bagliore?
Come impedir che corra il fiume al mare?
Come negar che soffre il petto mio?
Come levar dall'anima questa passion?

Come levare via il profumo al fiore?
Come togliere al vento l'armonia?
Fuori dalle braccia tue sulle ginocchia mie
così levarmi in petto questa passion?
Fuori dalle braccia tue sulle ginocchia mie
così levarmi in petto questa passion?

 
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Tommaso Moro

Post n°12 pubblicato il 09 Maggio 2006 da dylandog

"Dio, fammi accettare serenamente le cose che non è in mio potere di modificare.
 
Dammi il coraggio di modificare quelle che posso.
 
E la saggezza di distinguere le une dalle altre"

 
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IL LEGNO

Post n°11 pubblicato il 09 Maggio 2006 da dylandog

Ogni tipo di albero dà un legno diverso: debole, forte, resinoso.
 
I legni teneri hanno fibra e maglia larga, si lavorano facilmente con strumenti di taglio, come coltelli e scalpelli, ma non sono lavorabili con altri strumenti, come per esempio il tornio, perchè questo tipo di legno si spaccherebbe, si sbriciolerebbe, salterebbe via durante la lavorazione.

I legni forti hanno invece una fibra molto compatta, sono più pesanti, naturalmente, dei legni teneri, si lavorano con difficoltà con strumenti di taglio medio invece col tornio.

Uno dei legni più usati è l'abete, che può essere bianco o rosso; è molto frequente in Italia, nelle zone montuose, nelle quali gli abeti formano grandi foreste. L'abete si distingue dal pino perchè i suoi aghi sono spuntati e isolati lungo il ramo. Il legno di abete, biancastro o rossastro, ha pochissima resina e le venature sono piacevolmente decorative. L'andamento della venatura è lineare, la lavorazione facile. Un altro abete con venature molto più visibili e decorative è il douglas e lo importiamo dall'America settentrionale.

Un altro legno molto usato è il pino, di cui esistono diverse varietà, il suo legno è di colore bruno chiaro tendente al giallo o al rosa. E' un legno di facile lavorazione, più resinoso dell'abete, elastico e resistente secondo la provenienza; il più resistente è quello delle Alpi.

Il faggio dà un legno che appena tagliato è di colore giallo chiaro, e diventa rossastro quando è stagionato.
E' un legno facile alle alterazioni fisiche e, come il noce, facilmente attaccabile dal tarlo.

Il larice è un legno simile all'abete rosso, ma più pregiato. E' molto resinoso e poco deformabile; resiste agli agenti atmosferici per cui se ne fanno serramenti e porte sia per esterno sia per interni. E' un legno di bell'aspetto e molto robusto.

Il pioppo è un legno chiaro e tenero ma non è molto usato per costruire mobili, si usa invece per fabbricare fiammiferi o nastri ricavati dallo sfogliato che è un sistema di ottenere dal tronco d'albero un foglio alto quanto il tronco e lungo come se il tronco fosse un rotolo di carta. Praticamente, con l'aiuto di una lunga lama, si srotola l'albero. Con la pasta di pioppo si fa la carta.

Il rovere, che sarebbe una qualità delle querce, ha un colore bruno giallastro, ha fibra lineare e si usa per costruire mobili, pavimenti, traversine ferroviarie.

Il pero è un legno rossiccio senza venature, molto stabile. Lo si usava fino a pochi anni fa, per fare le righe e le squadre per i disegnatori tecnici, proprio per la sua stabilità e inalterabilità dimensionale. E' un legno di facile lavorazione, compatto e pesante ma non molto, non si scheggia e serve anche per fare strumenti musicali, per lavori di intaglio e di tornio; non è abitato dai tarli.
 
Un altro legno non gradito dal tarlo è il cipresso, forse per il suo odore penetrante molto gradevole, per noi. Ha un colore giallo chiaro paglierino, si usa per costruzioni marittime poichè resiste bene anche sott'acqua. E' usato anche per serramenti e per armadi.
L'ebano è forse il più noto legno esotico per le sue caratteristiche di durezza e quindi di peso. Il legno di ebano è color ebano. Pare che il migliore venga dall'Africa, viene usato per mobili e oggetti di lusso data la sua rarità e quindi il costo elevato. Si dice che riscaldandolo emetta un odore di vaniglia e che tenendone un pezzettino in bocca, si senta un sapore piccante. Malgrado ciò l'ebano può essere imitato facilmente con altri legni duri, mai col balsa.

Anche il famoso mogano, rosso scuro, compatto, con grana finissima, proveniente dalle zone tropicali americane, è un legno pregiato, usato per mobili di lusso, finitissimi e lucidissimi, non si altera e non si deforma, i tarli lo snobbano, e fa molto chic.

Il tek è un legno proveniente dall'Indocina ed è stato molto diffuso negli anni '50: tutti i negozi rispettabili avevano in mostra e vendevano mobili di tek, mobili lineari, di colore giallo bruno, lucidati ma non troppo, anzi protetti con vernici trasparenti opache, di solito. Solido e resistente, questo legno, usato anche per costruzioni navali e serramenti, per pavimenti e pavimentazioni anche stradali, per mobili e oggetti, per rivestimenti di pareti e divisori, per tante cose; alla fine il consumatore si stancò di consumarlo e oggi non lo vuole quasi più nessuno.

E' importante cominciare bene un lavoro scegliendo il legno giusto che non presenti inconvenienti poi nella lavorazione.
Il legno che si lavora megli di tutti è logicamente, un legno senza difetti, senza nodi, ma oltre ai nodi si possono riscontrare nelle assi altre malformazioni o alterazioni dovute a insetti, a malattie, a intemperie.
L'ambiente nel quale cresce la pianta può anche, a volte, alterarne la struttura, indebolirne le fibre, far marcire alcune parti. Uno di questi difetti sta nella crescita irregolare degli anelli del tronco: irregolarità che si riscontra nello spessore degli anelli, più larghi da un lato e più sottili dal lato opposto. Questo fatto determina uno spostamento del midollo di questa pianta che non è più al centro dell'albero, bensì risulta spostato dalla parte dove gli anelli sono più sottili. Le tavole tagliate da questo tronco risulterebbero inservibili.
L'azione del vento può provocare delle strutture nella crescita della pianta, soprattutto se il vento è costante in una direzione.
 
Un altro difetto viene denominato cipollatura e consiste nel distacco tra gli anelli di accrescimento per cui restano dei vuoti tra un anello e l'altro. Battendo il tronco dell'albero con una pietra o un martello si sente da come risuona se il tronco ha questo difetto. Una causa di queste cipollature può anche essere il vento costante che, piegando la pianta, fa slittare gli anelli di crescita uno sull'altro. Tra questi anelli di crescita si possono trovare anche anelli spugnosi costituiti da legno non ancora maturo che tenderà a marcire

 
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Fare bolle di sapone

Post n°10 pubblicato il 09 Maggio 2006 da dylandog

Fare bolle di sapone è sicuramente uno dei passatempi che può essere inserito fra i giochi più popolari di ogni tempo. E quindi è certamente interessante imparare come si realizzano bolle normali, oppure bolle molto resistenti e addirittura bolle grandissime. Vediamo di alcune ricette. Ne esistono di semplici e di più complessa realizzazione. Intanto vediamo qualche trucco e situazione.

L’uso di questa o quella ricetta è legato intanto all’effetto che si vuole ottenere, ad esempio, l’aggiunta di glicerina al preparato che serve per fare le bolle aiuta  a diminuire l’evaporazione dell’acqua contenuta nella soluzione, ma rende la soluzione più pesante lo stesso vale per il miele.

Tra i trucchi ricordiamo che se si utilizza una soluzione dopo averla lasciarla riposare qualche giorno la resa sarà senz’altro migliore perché la schiuma diminuisce e gli elementi si miscelano meglio tra loro.

E’ poi meglio creare bolle in una giornata di alta umidità, senza vento e in luoghi poco polverosi. Se, ancora, creiamo bolle nelle vicinanze di una pozza d’acqua si può farle rimbalzare sulla superficie dell’acqua; invece in una giornata con temperature molto basse (qualche grado sotto lo zero) quelle piccole possono cristallizzarsi

Passiamo adesso ad alcune delle infinite ricette possibili: se mescolate 2,25 litri di acqua distillata ( meglio se calda) con 240g di detersivo per piatti concentrato e aggiungere un cucchiaio da tavola di glicerina avrete bolle piccole o medie, per renderle più resistenti basta aggiungere ancora 60 g di detersivo concentrato e un altro cucchiaio di glicerina.

In questa seconda ricetta mettere invece tre o quattro cucchiai (da tavola) di polvere di sapone in quattro tazze d’acqua calda. Lasciare riposare la miscela per tre giorni, poi aggiungere un cucchiaio abbondante di zucchero o miele e mescolare. C'è chi assicura che si avranno  delle bolle resistentissime.

Stessa resistenza è assicurata con questo metodo: mescolare 1litro di acqua calda (appena bollita ) con 60 ml di glicerina 50 ml di detersivo per piatti e di gelatina. Sciogliere la gelatina in acqua calda: questa soluzione deve però essere fatta bollire tutte le volte che la si usa dato che, a causa della gelatina, tende a solidificarsi

Se mescolare  detersivo liquido, acqua, glicerina nel rapporto 1:3:2 potrete avere bolle che possono durare anche alcune decine di minuti se si evitano correnti d’aria

Si può anche utilizzare la colla da parati: per questa ricetta occorrono: 25g di colla da parati, mezzo Kg zucchero, tre quarti di Kg di sapone neutro molto viscoso quasi solido, acqua.

Si procede così: alla sera si sciolgono i 25 gr di colla da parati in un litro d’acqua, mescolando bene e si lascia riposare tutta la notte. La colla al mattino dovrebbe risultare chiara e densa.

Si mettono quindi in una pentola 9 litri d’acqua, mescolandovi ½ Kg di zucchero e ¾ Kg di sapone neutro. Si porta il tutto all’ebollizione e la si lascia riposare tutta la notte.

Al mattino seguente si mescola insieme la colla e il composto. La soluzione è pronta (si ottengono circa 13 litri di liquido).

In generale per ealizzare le bolle di sapone qualunque detersivo per piatti può funzionare purché a base di tensoattivi anionici e polietossilati.

 
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Ammissione

Post n°9 pubblicato il 09 Maggio 2006 da dylandog

Va bene, lo ammetto...
sono un coglione

 
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Workaholics Quando il lavoro diventa una droga

Post n°8 pubblicato il 09 Maggio 2006 da dylandog

Definizione
La dipendenza dal lavoro appartiene alla categoria delle dipendenze non legate a sostanze e per questo motivo spesso le viene data meno importanza. Facendo un esame piú attento si capisce peró che non si distingue molto dalle forme "classiche" di dipendenza, note da tanto tempo, specialmente per quanto riguarda la autodistruzione fisica, psichica e sociale nello stadio terminale di una grave dipendenza.

La definizione dipendenza dal lavoro negli Stati Uniti venne usata appena dagli anni 70 in poi. Prendendo spunto dalla definizione di Alcoholism la dipendenza dal lavoro viene anche chiamata Workaholism, rispettivamente il dipendente dal lavoro viene chiamato Workaholic.

Marilyn Machlowitz nel 1976 ha presentato la prima documentazione su questa, allora nuova dipendenza. In Germania i primi articoli specializzati vennero pubblicati nel 1979 dal Dott. Gerhard Menzel, il quale si è accorto che il comportamento del workaholic era molto simile a quello dell´alcolista. Naturalmente l´effetto della dipendenza dal lavoro è diverso da quello dall´alcol o dal eroina, visto che mancano i disturbi della salute. Indirettamente le consequenze non sono molto differenti.


Fasi della dipendenza dal lavoro
Naturalmente non sempre il "tanto lavoro" e il "piacere nel lavoro" possono giá essere definiti come dipendenza. Se questo peró diventa uno stato continuo è consigliabile approfondire i retroscena di questi sintomi. Il passaggio da un comportamento normale ad uno compulsivo in regola è corrente. Dal comportamento normale ad un comportamento di dipendenza si possono distinguere tre fasi, nelle quali alcuni elementi possono mancare oppure aggiungersi:


Fase iniziale
- uso
- piacere
- abuso

Fase critica
-
abuso
- comportamento evasivo
- assuefazione


Fase cronica
- assuefazione
- dipendenza


Fase iniziale
Il pericolo inizia in modo innocuo, nel quale lo stile di vita viene mimetizzato riguardo al lavoro. La persona a rischio inizia a lavorare di nascosto, passa il suo tempo libero leggendo cose che riguardano il suo lavoro, lavora anche nel tempo libero e lo stile di vita diventa frettoloso. I suoi pensieri girano sempre intorno al lavoro. I rapporti interpersonali peggiorano a causa della fissazione sul lavoro.

Trascurando la famiglia o altri interessi, nascono sensi di colpa i quali vengono vissuti ma non ammessi. Allusioni riguardanti il rifacimento vengono evitate. Se una persona si dedica esclusivamente al lavoro, spesso questo viene paragonato ad un certo tipo di vergogna. Spesso le persone a rischio sentono un forte disprezzo per chi per es. frequenta concerti e teatri.

In questo stadio della dipendenza non è possibile individuare evidenti disturbi fisici o psichici. Sintomi psichici possono essere stati di esaurimento, depressioni leggere, paure infondate e disturbi della concentrazione. I disturbi fisici si manifestano tramite mal di testa, mal di stomaco e disturbi cardiaci o disturbi circolatori. I dipendenti si dedicano sempre di piú al lavoro, ignorando questi problemi. Le loro forze lavorative sembrano inesauribili.


Fase critica
In questa fase diventa possibile individuare se si tratta di una dipendenza vera e propria oppure se la persona a rischio sta solamente abusando della "droga lavoro".
Se la dipendenza dal lavoro si espande, il dipendente non smette piú di lavorare. Viene sviluppato un fenomeno simile a quello di un alcolista, quando non riesce piú a trattenersi dopo aver bevuto un bicchiere. La persona in questo stadio cerca delle scuse, per giustificare la sua mania di lavorare troppo. Tentativi di regolare la sua dipendenza creando degli orari falliscono e mettono in evidenza le sue debolezze.

Le nuove proposte di lavoro sono l´unico modo per uscire dall´autocommiserazione. I workaholics accumulano sempre abbastanza lavoro e si sentono inutili, se non sono sotto pressione. L´essere commiserati dagli altri a causa del tanto lavoro da svolgere riesce a diminuire i sensi di colpa ed a rafforzare la loro autostima.

Oltre a questo aumenta un comportamento aggressivo e impaziente verso i colleghi di lavoro. In questo stadio pressione alta, ulcera e depressioni sono talmente gravi, da rendere necessario un intensivo trattamento medico. L´interruzione del lavoro diventa una conseguenza logica. Le vere cause della sofferenza peró non vengono trattate.


Fase cronica
Oltre ai punti nominati questa fase è caratterizzata da ulteriore lavoro notturno, feriale e festivo. Il dipendente si dispera. Tratta con molta durezza ed ingiustizia i colleghi che non condividono il suo stile lavorativo, mancano di rispetto alla concorrenza in vista e rinunciano completamente alla loro vita privata. Il dipendente resta attivo solo grazie alla sua attivitá professionale e per questo se la gestisce in moda tale da non dover smettere mai di lavorare.

Per questo motivo i workaholics dormono troppo poco. Ad alcuni bastano dalle tre alle cinque ore, altri invece resistono dei giorni interi senza chiudere un occhio. Il rendimento del dipendente in questa fase diminuisce molto.

L`uso di stimolanti e calmanti, di alcol e nicotina fanno il resto per accelerare il fallimento morale e sociale. Anche dietro all`alcolismo o alla dipendenza da farmaci si puó nascondere una dipendenza dal lavoro cronica.


Quattro tipi differenti
La diagnosi per la dipendenza dal lavoro è molto difficile, perché i sintomi spesso vengono visti come impegno lavorativo. Al contrario degli alcolisti, i quali spesso danno l´impressione di essere passivi e labili, i workaholics sembrano attivi e pieni di voglia di vita. Nel campo di questa dipendenza non è possibile trovare una psicodinamica uniforme. I tipi di motivazione degli individui sono troppo individuali. Nonostante questo sembra possibile distinguere quattro tipi di workaholics:

- Il lavoratore ossessivo
- Improvvisi attacchi di lavoro
- Il lavoratore nascosto
- Il lavoratore che non ha mai voglia di fare qualcosa


Il lavoratore ossessivo
Rappresenta il workaholic nel modo piú significativo. È colui che si presenta al lavoro per primo e va via per ultimo, che si porta il lavoro anche in vacanza - ammesso che ci va- e che copie il suo lavoro sempre in modo perfetto.

Lavora in modo ossessivo anche quando non ha degli appuntamenti da rispettare. Sono talmente ossessionati da tenere nascosto il lavoro davanti agli altri, per paura di dover passare qualcosa ai colleghi. Un'elemento tipico è quello che ad una cosa conclusa ne segue subito un'altra ancora piú importante.

Verso la famiglia usano spesso la scusa: "Fammi finire solo quest´ultima cosa , poi ho tempo per te" oppure "pensi che mi faccia piacere lavorare cosí tanto, ma lo faccio per la nostra vita, per te." Questo tipo di workaholic si distingue dagli altri, perché la sua dipendenza è ovvia, visto che sta sempre lavorando.


Attacchi improvvisi di lavoro
Workaholics con degli attacchi di lavoro si comportano normalmente fino al momento nel quale li prende un attacco di lavoro. Il segno caratteristico della loro dipendenza è l´ intensitá e non la costanza. Si immergono nel lavoro in tal modo da perdere ogni senso di tempo e di orientamento. Questa ossessione porta ad una chiusura verso gli altri ambiti della vita, non si bada piú a bisogni fisici e psichici. Dopo un attacco di lavoro il dipendente di solito non è piú in grado di fare niente. Si sente come un´ alcolizzato dopo una sbronza. La rigenerazione tra un´ attacco e l´ altro gli costa talmente tanta energia, da non avere piú tempo e forza per dedicarsi ad altre cose. In questo modo l´ isolamento aumenta sempre di piú.


Il lavoratore nascosto
In questo caso possiamo distinguere almeno due tipi diversi. Nel primo caso il dipendente nasconde il lavoro davanti alla sua famiglia o ai suoi amici e si dedica al lavoro nei momenti in cui la possibiltá di essere sorpreso è molto bassa. Nel secondo caso il dipendente cerca continuamente delle scuse per poter svolgere il suo lavoro.

Questo tipo cerca di occuparsi del problema, ma tentando di cambiare cerca solo di camuffare la sua provvista di lavoro.


Il lavoratore con la permanente voglia di non far niente
Anche l´evitare di lavorare puó essere un comportamento ossessivo che caratterizza la dipendenza dal lavoro. Questo tipo di workaholic riesce a lavorare bene solo sotto pressione. Tendono a rimandare tutto all´ultimo momento. Sono ossessionati dall´evitare le cose.

Questo "evitare" si riferisce a tutti gli aspetti della vita - lavoro, amicizie e persino bisogni fisici. La conseguenza sono sensi di colpa, i quali portano ad una incapacitá di agire.

Segni particolari
- Polidipendenza
- Rinnegamento
- Mancanza di valutazione delle proprie capacitá
- Orientamento esterno
- Incapacitá di rilassarsi
- Comportamento ossessivo


Polidipendenza
Possiamo distinguere dipendenze primarie e secondarie. Le dipendenze secondarie spesso riguardano soldi, relazioni, alcool e farmaci fino ad arrivare alle sostanze illegali. Cosí l´eccessivo consumo d´alcol per potersi distrarre, accompagna la dipendenza dal lavoro. Spesso le persone galleggiano tra diverse dipendenze. La dipendenza secondaria spesso viene usata per giustificare o per togliere peso a quella principale.


Repressione
La strategia prioritaria per difendersi è la repressione. Alcuni dipendenti fanno dei paragoni come: "So di essere dipendente del lavoro, peró questo è sempre meglio di tante altre cose" oppure cercano di scusare la situazione dicendo: "Certo, sono un workaholic, peró guardate quante cose positive mi ha dato tutto ció."

La dipendenza diventa pericolosa, quando i pazienti ammettono la loro dipendenza, ,a non la vedono come un pericolo grave. L´aumento della mancanza di giudicare è un sintomo tipico della malattia.


Mancanza di autostima
I dipendente dal lavoro sopra- o sottovalutano se stessi. Si vedono come persone molto abili oppure come dei buoni a nulla. La conseguenza è che spesso si fanno delle promesse, che poi non si riescono a mantenere oppure ci si allontana dal fatto di svolgere lavori semplici, per dimostrare a se stessi di valere, compiendo delle cose molto difficili e complicate.

A causa delle opportunitá perse di svolgere un lavoro oppure per punirsi a causa delle promesse non mantenute la voglia di lavorare cresce costantemente. Oltre a questo pensano che le altre persone non gli rispettano per quello che sono. Per questo motivo le loro capacitá vengono mostrate in modo esagerato e gli errori non vengono quasi mai nominati.


Orientamento esterno
Orientamento esterno significa che il dipendente dal lavoro cerca degli indizi che sono fuori dalla sua persona per vedere come ha da comportarsi e cosa deve provare. I dipendenti dal lavoro si giudicano in base al loro lavoro e in questo cercano anche la loro ragione di essere. Sono delle persone che ci raccontano cosa fanno, per comunicarci come si sentono. Seguono la illusione di dover continuamente fare qualcosa di proficuo, per sentirsi bene.


Incapacitá di rilassarsi
In genere i workaholics hanno una carica troppo alta di adrenalina. Questo impedisce alla persona di rilassarsi, in tal modo che il sistema metabolico non si spegne, neanche se il dipendente ha urgentemente bisogno di dormire.

Per loro giá il fatto di dedicarsi al "dolce far niente" é angosciante. Hanno paura di un vuoto interiore e ammettono, che il lavoro gli distrae da questi sentimenti. Spesso per allontanare questi sensi di angoscia e di paura si dedicano al alcool, ai farmaci e alle droghe. Dipendente dalla loro storia personale, dai problemi e dalle difficoltá uno puó essere piú o meno predisposto a sviluppare una dipendenza.


Compulsione
Essere compulsivo significa essere spinti da qualcosa di interiore. Anche se il dipendente dal lavoro vorrebbe agire diversamente non ci riesce. Sintomi della compulsione possono essere per esempio la sensazione che qualcosa dal esterno abbia preso il sopravvento o il continuo pensare al lavoro. La compulsione peró non è legata ad un certo oggetto.


Altri sintomi di workaholiks

- falsitá
- egoismo
- isolazione
- controllo
- perfezionismo
- montagne di lavori e di pratiche
- mancanza di vicinanza
- problemi fisici e psichici
- abuso di se stessi
- fallimento spirituale


Origini della dipendenza dal lavoro

Come per tutte le dipendenze le cause e i motivi che possono portare all´origine della dipendenza dal lavoro sono molteplici. Indipendentemente dalla causa dobbiamo tenere a mente che ogni persona va vista come individuo influenzato dalla sua educazione, dalla societá e dallo stile di vita. Dipendentemente da storia personale, problemi e difficoltà uno può essere più o meno predisposto a sviluppare una dipendenza.


Episodi chiave nell' infanzia
Sembra possibile che la predisposizione di una dipendenza dal lavoro venga agevolata nel caso in cui l' amore dei genitori debba essere guadagnato portando dei rendimenti buoni. Molti dipendenti dubitano fortemente di se stessi. Le loro prestazioni lavorative possono essere un tentativo inconscio per approvarsi nei confronti dei genitori. Tanti dipendenti si sono addossati la loro dipendenza dalla famiglia, da una famiglia, nella quale il lavoro ha preso il posto dei sentimenti.


Identificazione con un genitore
I dipendenti dal lavoro tendono ad imitare i genitori già da bambini e vogliono diventare come loro. Cercano di seguire il genitore più bravo, perché anche loro vogliono essere ammirati.


Cause nel mondo lavorativo
Un lavoro da libero professionista certamente è più a rischio che uno da dipendente. Nella nostra società, dove conta tanto l´efficienza, sollecitudine, bravura e la disponibilità di mettere in secondo piano i propri bisogni, il dedicarsi completamente al lavoro viene visto come una delle virtú piú grandi. Questo porta ad un riconoscimento sociale e al successo.

Proprio qui peró nascono i problemi. Le persone psichicamente si intrappolano nel proprio successo, se seguono continuamente le esigenze, che ogni lavoro nuovo porta con se. Dopo ogni successo nel campo lavorativo il dipendente aumenta il grado di difficoltá e la dimensione del prossimo compito, per poter soddisfare se stessi. Questo comportamento è simile a quello di un´alcolizzato, che aumenta le dosi. La dipendenza del lavoro viene anche favorita dallo stress da una parte e dalla paura latente di perdere il posto di lavoro dall´altra.


Fuga da problemi personali
Molte persone evadono da problemi relazionali o familiari, evadono dal sentimento di vuoto interiore, buttandosi sul lavoro. Evitano i problemi quotidiani. Il lavoro non ha piú la funzione di garantire la base essenziale per sopravvivere, ma diventa una droga, che ci aiuta a superare le nostre mancanze esistenziali e i problemi familiari.


Origini nella societá
La societá e le norme esistenti influenzano molto il tipo e la dimensione delle dipendenze. Nei paesi sviluppati il lavoro viene visto come fattore produttivo, peró il problema spesso viene causato dall´idealizzazione del lavoro. I concetti esistenti per quanto riguardo il lavoro, il tempo libero e la famiglia mettono ancora piú in crisi il dipendente, perché non riesce a trovare una buona via di mezzo tra le cose. Mentre il lavoro è diventato un valore importante con il quale si ottengono soddisfazione e gratifiche, il tempo libero viene visto solo come parte opposta del lavoro.


La droga "lavoro"
Neanche una persona predisposta a sviluppare una dipendenza se la va a cercare automaticamente. La vicinanza, l´effetto e la dose sono i fattori determinanti. Il workaholic puó seguire la sua dipendenza quando vuole. La "sostanza" che crea la dipendenza è sempre a disposizione e non costa niente, anzi fa guadagnare. Questo ovviamente favorisce un´atteggiamento fondamentale positivo. Il dipendente per lungo tempo non sollecita alcun sospetto.


Possibilitá d'aiuto
La terapia per la dipendenza dal lavoro si mostra molto difficile. Il problema della dipendenza per il "paziente" non è risolvibile con la ragione. Gli effetti negativi della dipendenza appaiono relativamente tardi e quindi rendono piú difficile un riconoscimento precoce. In tanti casi gli interessati pensano ad una terapia solo nel momento in cui non riescono piú a portare dei risultati e quindi entrano in una situazione lavorativa e familiare molto precaria.


Prevenire informandosi
Per gli interessati spesso è difficile ammettere di essere dipendenti. Per la prevenzione sono necessari dei provvedimenti a lungo termine basati sulla continuitá, attraverso i quali vengono elaborati anche le origini psicosociali delle persone destinatarie.

Per il dipendente dal lavoro una prevenzione risulta molto complicata. Gli interessati sviluppano -come del resto tutti i dipendenti- una ideologia privata, con la quale giustificano il loro comportamento. A causa delle storie di origine e delle motivazioni molto differenti tra loro la diagnosi di lavoro-dipendente viene data con molta cautela.


Alla terapia tramite il riconoscimento della malattia
Il trattamento di una dipendenza dal lavoro si mostra molto complicata e bisogna continuamente trovare delle nuove possibilitá di terapia. La disponibilitá degli interessati verso una terapia è molto bassa in confronto alle altre dipendenze.
Parlando dei pericoli e delle possibili conseguenze si è in grado di riconoscere adeguatamente le conseguenze e i sintomi, di dare una diagnosi esatta e di scegliere un trattamento adatto. Un altro punto è il riconoscimento ufficiale della dipendenza dal lavoro come malattia e il fatto di metterla allo stesso livello di dipendenze da sostanze stupefacenti.

 
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E' stata tua la colpa

Post n°7 pubblicato il 09 Maggio 2006 da dylandog

E' stata tua la colpa

e' stata tua la colpa allora adesso che vuoi?
volevi diventare come uno di noi
e come rimpiangi quei giorni che eri
un burattino ma senza fili
e invece adesso i fili ce l'hai!

adesso non fai un passo se dall'alto non c'è
qualcuno che comanda e muove i fili per te
adesso la gente di te più non riderà
non sei più un saltimbanco
ma vedi quanti fili che hai!

e' stata tua la scelta allora adesso che vuoi?
sei diventato proprio come uno di noi
a tutti gli agguati del gatto e la volpe tu
l'avevi scampata sempre
però adesso rischi di più!

adesso non fai un passo se dall'alto non c'è
qualcuno che comanda e muove i fili per te

e adesso che ragioni come uno di noi
i libri della scuola non te li venderai
come facesti quel giorno
per comprare il biglietto e entrare
nel teatro di mangiafuoco
quei libri adesso li leggerai!

vai vai e leggili tutti
e impara quei libri a memoria
c'è scritto che i saggi e gli onesti
son quelli che fanno la storia
fanno la guerra, la guerra è una cosa seria
buffoni e burattini no, non la faranno mai!


e' stata tua la scelta allora adesso che vuoi?
sei diventato proprio come uno di noi
prima eri un buffone, un burattino di legno
ma adesso che sei normale
quanto e' assurdo il gioco che fai!

 
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Anonimo

Post n°6 pubblicato il 09 Maggio 2006 da dylandog

Dopo un pò impari la sottile differenza fra tenere una mano ed incatenare un'anima.
E impari che l'amore non é appoggiarsi a qualcuno e la compagnia non é sicurezza.
E inizi ad imparare che i baci non sono contratti ed i doni non sono promesse.
E cominci ad accettare le tue sconfitte a testa alta e con gli occhi aperti; con la grazia di un adulto, non col dolore di un bambino.
Ed impari a costruire le tue strade oggi perché il terreno del domani é troppo incerto per fare piani.
Dopo un pò impari che il sole scotta se ne prendi troppo.
Perciò pianti il tuo giardino e decori la tua anima, invece di aspettare che qualcuno ti porti fiori.
E impari che puoi davvero sopportare che sei davvero forte e che vali davvero per quello che sei.....

Non avrai mai una seconda possibilità per dare una prima impressione....



 
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