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« Tristano, Isolda e il Nulla BUON ANNO !!! »

Ancora sul Tristan und Isolde (ma poi basta)

Post n°118 pubblicato il 13 Dicembre 2007 da Sparwasser

Se qualcuno è passato da queste parti nel corso degli ultimi trenta giorni si aspetterà di trovare qualcosa sul Tristan und Isolde andato in scena alla Scala , visto e ascoltato dal sottoscritto martedì 11 dicembre 2007, diretto dal M.o Baremboin (protagonisti Ian Storey nel ruolo di Tristan e Waltraud Meier nel ruolo di Isolde).
Resterà forse un po’ deluso perché non è mia intenzione fare una recensione stricto sensu di quanto visto: inutile, anche a causa del III atto nel quale, come comunicato dalla Direzione del teatro, a causa di una improvvisa indisposizione del protagonista, praticamente Tristan (verrebbe da dire già morto nell’intervallo) non ha di fatto cantato. I maligni hanno sostenuto trattarsi di giustificazione diplomatica, essendo difatto lo Storey non un Heldentenor
Ci limiteremo pertanto a delle considerazioni di carattere più generale sullo spettacolo.
Intanto: se cinque ore e venti minuti (lo spettacolo è iniziato alle 18:30 ed è finito, complice anche i tempi notoriamente lunghi che Baremboin per ques’opera predilige, a mezzanotte e cinque) sono trascorse che nemmeno ce ne siamo accorti un motivo ci sarà stato (sfatiamo una buona volta il mito delle oltre cinque ore di musica: l’opera consta di tre atti della durata – più o meno – di un’ora e venti ciascuna per un totale, il calcolo è presto fatto, di 4 ore). Ovviamente il primo indiziato è il sig. Richard Wagner, dal momento che la sua opera, la sua musica è bellissima.
Secondo colpevole il direttore d’orchestra. Baremboin ha diretto (si noti: a memoria) benissimo e fatto suonare l’Orchestra della Scala altrettanto. E’ stata però a mio avviso una direzione diversa rispetto a quella da me conosciuta nel DVD registrato a Bayreuth, laddove in Germania dominava nel colore del suono il dolore mentre qui ho avvertito più vicina la lezione di Furtwängler, metafisica, concettuale: la musica sembrava raccontare non una storia di amore e di morte tra due persone ben precise, ma la storia della Morte per Amore intese come idee. Cosa strana questa perché in contrasto con un’impostazione dell’allestimento che intende privilegiare l’individualità, intende raccontare una storia umana tra un uomo e donna ("reduci da una depressione" ha scritto Chereux nelle note che accompagnano il curatissimo programma di sala; noi aggiungiamo:indipendentemente dal loro censo).
Allestimento discusso, com’è noto a chi ha letto certuni giornali, massimamente il tradizional popolare.
Ora, il Tristan und Isolde wagneriano è opera senz’altro complessa, ma non è un’opera mozartiana che può lasciare intendere tutto e il suo contrario; essa tocca molti e importanti temi ma quello che intende dire è (anche musicalmente) in genere molto chiaro. Ovviamente poi gli interpreti in tutte le loro componenti possono sviluppare o porre in evidenza nel loro lavoro un tema piuttosto che un altro e sempre meglio sarebbe comunque che ogni componente remi nella medesima direzione.
Patrice Chereaux, il regista (e con lui Richard Peduzzi autore delle scene e Bertrand Couderc delle luci) scelgono, in ossequo anche all’impostazione che si accennava sopra, di sviluppare in chiave fortemente psicologica, anzi direi proprio psichica il tema, necessariamente legato all’individuo del suicidio (al di là del concetto di Amore) a scapito – per esempio - del tema della contrapposizione (con le sue implicazioni anche sociali e morali) tra il Giorno e la Notte (ben presente nell’opera sia nel testo attraverso le due lingue usate da Wagner che nella musica attraverso i pertinenti temi musicali), qui completamente (e colpevolmente si intende) ignorato. E dunque: luci e scene così come i costumi (oggettivamente discutibili, Isolde a parte), sempre improntate ad un’atmosfera di base oscura e grigia, ma mai differenziata (come invece a me sarebbe piaciuto). In prima battuta uscendo da teatro avevo anch’io trovato discutibile il fatto che nel finale primo i due amanti amplessassero in assemblea plenaria davanti alla ciurma. Leggendo poi le note di Chereaux ho trovato una giustificazione comunque accettabile (anche se rimane un po’ forzata) alla circostanza; ossequiosamente e un po’ burocraticamente le riporto:
"Tristan, contrariamente a quel che a volte si pensa o si interpreta, sa perfettamente cosa sta per bere, e beve, ed è perché pensano di morire entro i minuti successivi che si buttano uno sull’altra e si abbracciano e si espongono a un’oscenità pubblica
" totalmente estranei, aggiungiamo a noi, a ciò che gli sta intorno (tema della passione, efficacemente sviluppato in scena da drappo rosso). E poi si sa, il "cornuto" è sempre e comunque l’ultimo a sapere anche un segreto di Pulcinella...
Ciò che non ci è piaciuto invece è il finale, irrispettoso di quanto espressamente indicato in campo didascalico dall’autore. Chereaux fa morire Isolde (bellissima però la scena della trasfigurazione con la trovata del sangue – di chi? di Tristan? di Isolde? di tutt’e due? Che importa… - che a poco a poco le copre il viso) lontana dal corpo di Tristan, laddove la Handlung prevede espressamente che Isolde "sinkt, wie verklärt, in Brangänes Armen sanft auf Tristans Leiche", ovvero cadendo dolcemente sul corpo di Tristano (ed il significato di un tale gesto è inequivocabilmente chiarissimo). La differente scelta registica si potrebbe spiegare solamente mettendola in relazione, con interpretazione però davvero troppo arbitraria, col tema del desiderio che si riaffaccia alla fine dell’opera, quasi a voler dire che si, questi due sono morti, sono andati al di là, ma che qui rimaniamo noi (inteso come genere umano), ancora vittime della questione, vittime del desiderio inappagato o inappagabile, nostra condizione endemica e pertanto non eliminabile se non all’interno di una dimensione individuale. Che forse è poi in fondo la fortuna di quest’opera: perché finchè ci sarà dolore per amore le generazioni lo canteranno e lo tramanderanno e lo faranno in somma maniera attraverso questo grande monumento al Liebestod che è il Tristan und Isolde di Richard Wagner.

 
 
 
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