W. SHAKESPEARE - RE LEAR IV
così noi siamo per gli dei,
ci uccidono per gioco."
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Post n°423 pubblicato il 11 Luglio 2011 da nagel_a
E se il viaggio e la meta, non fossero che i vestiti di quell'io iniziale? E così le esperienze e le conoscenze, fossero il linguaggio di cui si serve per raccontare qualcosa dei suoi innati paesaggi interiori?
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IL REGNO DEL SENSO PROFONDO
"Oltre alla realtà empirica e banale c'era l'ambito dell'immaginazione, costituito da quello stesso mondo percepibile grazie alla vista, al tatto e all'odorato, ma con in più le schiere infinite degli spiriti e delle ombre. [...] Allora non mi capacitavo del fatto che la maggioranza assoluta dell'umanità appartiene al regno del senso profondo non in virtù del proprio sapere - dono assai raro - bensì della vita, della raggiante, viva sostanza, e che, dunque, accusarli di ignoranza era sciocco e assurdo. Invece di interrogatori, inquisizioni e tormenti, avrei dovuto osservarli e comprenderli. Osservarli con tenerezza e comprenderli con intelligenza"
A. Zagajewski - Due città
Ammesso che l’io primigenio e nudo (che tra l’altro non sempre è un bello spettacolo) sia la sostanza immutabile che, per pippa mentale, oggi tu presupponi, come faresti a dire quale e come esso sia realmente?
Un paio di risposte potrebbero essere:
a) Io mi conosco e so chi sono, come sono e cosa voglio;
b) Non ha importanza saperlo in quanto la coscienza della sua essenza non ne cambia la sostanza.
Solo che così sorge qualche problema del tipo:
Se non ha importanza saperlo, tutto il ragionamento e tutti i dubbi del post sarebbero davvero soltanto un’enorme pippa mentale. Una “sostanza” varrebbe l’altra e a me verrebbe di chiedermi: cazzo stanno a fare sei miliardi di esseri umani sulla terra? Lasciamone uno solo, ché si sta più larghi, c’è meno fila alle poste ed è meglio per tutti.
Se invece io mi conosco e so chi sono, come sono e cosa voglio, nasce spontanea un’altra domanda:
Perché quasi mai riesco ad essere me stesso e ad avere ciò che voglio? In sostanza, perché esiste il fallimento?
Sorge il dubbio che anche la soluzione “a” si impraticabile.
Resta un’ultima risposta usata, abusata e mai riuscita, ma di gran fascino:
Non so chi sono, ma mi sto cercando.
A questo punto, però, per far quadrare il cerchio e trovare quell’io immutato e immutabile si dovrebbe pensare ad un essere che, seppure ignori la sua natura, abbia già in sé il tutto. Un essere infinito e perfetto; non più espandibile: il padreterno, in sostanza. Ma la pratica insegna che padreterni non siamo. Quindi?
Quindi, tornando al ragionamento della Nagel, le “vesti” indossate nel corso della vita non sono altro che un metro di misura per ciò che siamo. Come a dire: se metto la polo, probabilmente ho un carattere sportivo; se invece metto lo smoking sono un gagà.
Valutare la sostanza di una persona sulla base delle sue scelte.
Che dire? Il tuo ragionamento potrebbe tornare, Nagel: siamo monoliti immutabili che le scelte fatte nella vita rivelano.
Solo… sintetizziamo un attimo le tre casi sopra in un esempio:
sono per strada e dei lavori in corso mi costringono a deviare. Io sarei passato di lì, ma nonposso. Poi arrivo ad un incrocio e uno mi taglia la strada. Freno di colpo, e mi becco un “Ah stronzo!!!” da quello dietro. Cazzo, per colpa di uno stronzo, mi sono beccato dello stronzo. (Non è mica è colpa mia).
Arrivo al lavoro in ritardo e il capoufficio mi fa un cazziatone (bastardo non me lo meritavo: non ho deciso mica io di chiudere la strada!).
Mi siedo alla scrivania e incazzato come sono mando affanculo tutti quelli che mi passano d’avanti, rimediando qualche altro “stronzo” (stavolta consapevolmente e a ragione).
Domanda: sono stronzo o non lo sono? Le intenzioni valgono qualcosa nel valutare chi siamo o lasciano il tempo che trovano e l’uomo è ciò che fa?
Qualsiasi sistema di misura introduce inevitabilmente un errore nel sistema che va a misurare, Nagel.
Sicuramente nasciamo con un gene, ma crescendo, la vita inevitabilmente si impasta con esso formando qualcosa di differente dall’origine, proprio come acqua e farina diventano pane.
Io spero sia questa, la sostanza dell’essere umani, Nagel, perché altrimenti non avremmo nemmeno una scusa a ciò che saremmo: padreterni fallati e falliti.
Minchia, non mi sono regolato. Chiedo scusa a tutti.
Io parto dal presupposto, comunque, che ciò che si vede guardandosi, sia qualcosa in continuo mutamento, ma anche se fosse una mole monolitica e immutabile, e ammesso che si abbiano occhi buoni per vedere, tu pensi davvero di poterne cogliere l’immensa totalità?
Io dico di no e c’ho le prove! Tu?
Ogni scelta che ci identifica, anche ai nostri stessi occhi, Nagel, è frutto, a mio avviso, sì di quello zoccolo duro del carattere che tu reclamizzi nel post, ma anche di tutte le scelte compiute in precedenza e, come se non bastasse, di quelle operate da altri sei miliardi di uomini e svariati bilioni di esseri viventi e calamita naturali che popolano questo pianeta… sempre ammesso che nel frattempo il padreterno si faccia i cazzi suoi.
P.S. Ah, se tutti mi amassero come te, Nagelina...