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Nuovi "alpinisti" e vecchi "montanari".

Post n°12 pubblicato il 18 Giugno 2010 da ventino1948

Pensavo a questa moderna necessità di velocità che pervade ormai ogni azione dell'uomo. Anche nell'andare in montagna ormai il cronometro la fa da padrone. Per fortuna, e con dispiacere di molti, queste due cose mal si accompagnano. Tutto inizia con l'imparare ad andare in montagna. Molti pensano che i benemeriti corsi che le varie sezioni del CAI organizzano ogni anno possano essere una veloce scorciatoia per raggiungere competenza e abilità, niente di più errato. Questi corsi servono solo a sostituire i vari amici o parenti che una volta ci insegnavano l'arte d'andar per monti e che oggi diventano sempre più rari. Anche perchè non è sufficiente essere un abile alpinista per avere la capacità di saper trasmettere nel giusto modo le proprie conoscenze, insegnare è una passione e un'arte che non tutti possiedono. Questi corsi servono solo a dare le basi da cui partire, ma non possono dare l'esperienza, che, tutti ben sappiamo, bisogna fare sulla propria pelle, poichè l'essere umano è, per sua natura, portato sempre a sottovalutare chi l'ha preceduto e quindi a non tener in dovuto conto ciò che gli altri prima di lui hanno fatto. E l'esperienza si fa lentamente, mentre contemporaneamente cresce l'abilità tecnica, l'allenamento e il desiderio di aumentare le difficoltà affrontate. E anche quest'ultima parte della frase merita un approfondimento, dato che molti pensano che, dopo un adeguato allenamento nelle palestre d'arrampicata si possa passare alle pareti di roccia senza problemi. Un piccolo sorriso ironico increspa il mio viso, poichè troppe volte ho incontrato giovanotti speranzosi, carichi di corde e di ferramenta appesa all'imbrago, aggirarsi nei boschi alle basi delle pareti montane con in mano fotocopie di relazioni di vie d'arrampicata senza essere capaci di trovarne la partenza. Io ho sempre saputo che prima si impara a camminare e poi...a correre. Un tempo, prima si imparava a camminare sui sentieri, aumentando un poco alla volta le difficoltà anche di orientamento e poi, naturalmente, si arrivava alla base delle pareti e si iniziava a mettere le mani sulla roccia. Oggi dopo un corso di quindici giorni tutti si sentono sestogradisti!  Chi insegnerà loro a scegliere appigli e appoggi in parete con la dovuta competenza e prudenza, quando sono abituati in palestra agli appigli e agli appoggi artificilali semplicissimi da individuare perchè addirittura colorati e super sicuri perchè fissati con viti? Quante volte ho sentito qualcuno raccontare d'aver perso la via, poichè ormai tutti sono abituati a seguire gli spit e se uno è un poco più lontano, e quindi invisibile, non c'è la capacità di seguire il logico sviluppo del percorso? L'andar per monti non è fatto solo d'abilità tecnica! Fosse tutto lì, sarebbe facile imparare! Andar per monti significa esser capace di sentirsi in montagna come in un luogo conosciuto, anche se in quella specifica in cui siamo in quel momento, non siamo mai stati prima. Ma bisogna esser capaci di preparare già a casa l'escursione studiando la carta, e quindi bisogna saper leggere una carta, e non è così semplice come potrebbe sembrare. Così quando saremo sul posto, pur non essendoci mai stati prima, sapremo già orientarci con disinvoltura. Bisogna saper andare anche al di là dei sentieri segnati, saper seguire una semplice traccia d'animali. Sapersi orientare col sole, e acquisire tante competenze e conoscenze che sarebbe infinito e anche non facile da spiegare, poichè la costante ed assidua frequentazione della montagna è in grado di risvegliare dentro di noi quegli istinti animali che la vita sociale in città ha relegato in un angolino del nostro cervello. Io personalmente ho usato un sistema particolare, mi son scelto per maestri i camosci. Un felicissima frase dell'ultimo libro di Erri De Luca dice pressapoco così:" I camosci acquisiscono dimestichezza con la montagna perchè loro ci vivono, gli uomini sono solo ladri di passaggio." Meravigliosa sintesi! Da loro ho cercato di imparare la logica dei percorsi, poichè nel loro agire c'è il massimo della logica dell'andar per monti. E non è vero, come qualcuno dice, che sono solo bestie utilitaristiche, che frequentano solo percorsi dove possono trovare da brucare o da bere. Io li vedo molte volte guadagnare cime rocciose impervie e difficili sulle quali non c'è un filo d'erba o una goccia d'acqua, e, giunti lassù, guardarsi attorno e d ammirare il panorama estasiati nello stesso mio modo. Da loro ho imparato e continuo ad imparare. Il mio modo di frequentare la montagna è poi quello loro, io non ho mai piantato un chiodo, non sono un arrampicatore, raramente uso la corda, anche perchè il più delle volte sono solo, non per mia decisione, (la compagnia mi piace), ma perchè  la scelta è tra il rimanere a casa o l'andare in montagna da solo. E poi, dulcis in fundo, perchè in questo modo riesco ad esercitare una dote importantissima per chi ama la montagna: il coraggio. Nessuno nasce coraggioso, al contrario tutti abbiamo nel nostro cuore la paura, che non è nientaltro che spirito di conservazione. Chi non ha paura è un'irresponsabile, chi non ha paura non può esercitare il coraggio, poichè questo non è nient'altro che la capacità di superare la paura. Chi non ha paura...prima o poi finisce al cimitero. Ma il coraggio è come un muscolo, esercitandolo cresce, ma non deve mai annullare la paura, il coraggio deve cessare laddove cessa la nostra capacità, andare oltre sarebbe solo incoscienza. Allora la cosa giusta da fare, quando la paura ci attanaglia i muscoli irrigidendoli e rendendo legnosi i nostri movimenti, quando il cuore martella nelle orecchie e le vene del collo pulsano in modo abnorme, è sostare un po' fino a quando quest'anormale eccitazione si attenua, e poi girarci e tornare sui nostri passi. La montagna è sempre lì. Domani, o tra qualche giorno, ritorneremo col nostro bagaglio di coraggio reintegrato ed accresciuto e partiremo da dove ci siamo fermati l'altra volta, con la speranza che la nostra riserva di coraggio questa volta sia sufficiente per raggiungere la nostra meta, ma pronti, se questo sarà necessario, a ritornare indietro un'altra volta. Anche i camosci esercitano il coraggio, più di una volta ho visto coi miei occhi la madre insegnare al piccolo a superare un passaggio esposto, e poi, giunta di là, girarsi e incoraggiarlo con la testa e coi richiami. E ho visto il piccolo fare come noi, avvicinarsi al passo e poi rinculare, vinto dall'incertezza e dalla paura,una, due volte, fino a che, raccolto il coraggio, non spicca il salto e la madre avvicinarsi e leccarlo per rincuorarlo e lodarlo. Anche tra i camosci, come tra noi frequentatori della montagna, ogni tanto qualcuno cade. L'imperizia, la sfortuna, molti possono essere i motivi. Il rischio non potrà mai essere completamente annullato, va minimizzato, ma questo fa parte del gioco. La montagna sicura non esiste, nè esisterà mai. Chi non vuole affrontare il rischio si scelga un'altra attività. Se io, per quel che mi riguarda, potessi scegliere il luogo dove morire, questo sarebbe certamente la montagna. Il più tadi possibile, ovviamente, ma lassù. Con l'unico dispiacere di dover coinvolgere altre persone a ricerche e recuperi, che, sempre se potessi scegliere, eviterei. Qualche pietra sopra il corpo e una piccola croce fatta col legno di mugo, sarebbero per me una sistemazione assai più gradita di una lapide al cimitero.

 
 
 
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