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Post N° 167

Post n°167 pubblicato il 16 Maggio 2008 da eleperci
 

Il regista: «Chi c’era giura: non ci fu mai nessun blitz a Gradoli. Esistono le prove, di questa come di altre menzogne. Chi si vuole coprire? E perché?»

Caso Moro, ecco la verità negata

Carlo Infanti ha raccolto nel suo  ultimo film
testimonianze finora mai ascoltate. Scoprendo che...

di ELENA PERCIVALDI


La vicenda è nota. Parliamo del sequestro e dell’uccisione, avvenuta trent’anni fa esatti, di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, già  ministro degli Esteri e presidente del Consiglio. Ma se ognuno, di quei plumbei giorni d’inizio primavera, ricorda  la strage della scorta in via Fani, la drammatica immagine dello statista con in mano una copia di Repubblica e dietro la stella a cinque punte delle Brigate Rosse,  la Renault 4 rossa parcheggiata in via Caetani che custodiva, come una bara, il suo corpo senza vita, ci sono fatti, personaggi, circostanze che nessuno a parte gli interessati conosce.  E che nessuno, finora,  ha avuto il coraggio  di raccontare.
 

Carlo Infanti, classe 1966, è nato a Luino e ha iniziato a fare teatro quando aveva quindici anni. Ha lavorato in  Parlami d’amore MariùIl Grigio di Giorgio Gaber e Sandro Luporini, poi  come attore professionista nella compagnia di Piero Mazzarella. E come autore, scrivendo testi di successo tra cui Finalmenteunuomo, Attimi d’amore, Le avventure del sior Tone, che ha anche diretto. Stavolta però ha deciso di affrontare a modo suo, con un film originale,  uno dei più sconcertanti  misteri italici alla ricerca di quella verità che, al di là delle versioni ufficiali, stenta ancora a venire fuori.
«Il mio - ci racconta Infanti - non è un documentario. E non è neppure un film inchiesta. O almeno, non è solo quello. La vicenda Moro è il più grande, controverso e oscuro delitto politico del dopoguerra. Una pagina terribile della nostra storia sulla quale esiste una verità che però, inspiegabilmente, continua a rimanere nascosta. Una verità negata».
E proprio Moro, la verità negata è il titolo di questi 93 minuti diversi dagli altri perché non vedono protagonisti attori, ma i testimoni dei fatti. Ex ministri, agenti segreti, amministratori pubblici, legali e ufficiali dell'Esercito e della Marina militare che, per la prima volta, raccontano quello che non compare né nelle inchieste ufficiali, né sulla stampa dell’epoca, né nelle ricostruzioni successive. «Per cinque mesi  - spiega Infanti - ho raccolto una gran mole di materiale. Atti giudiziari, documenti ufficiali, filmati, interviste, testimonianze. Pagine mai lette, voci mai ascoltate. Che ora io, per la prima volta,  faccio parlare».

IL MISTERO DI GRADOLI
Il film  comincia con la seduta spiritica che  il 2 aprile del 1978 avrebbe suggerito a Romano Prodi e ad altri (tra cui Mario Baldassarri e Alberto Clò)  il nome “Gradoli” come indicazione del luogo dove Moro sarebbe stato tenuto prigioniero. Quattro giorni dopo,  su ordine del ministero dell'Interno, la procura di Viterbo  organizzò un blitz armato nell’omonimo paesotto del Viterbese. Secondo la versione ufficiale, il blitz non ebbe successo.  Ma le testimonianze raccolte da Infanti nel paesino, intervistando gli abitanti, sono sconcertanti:  tale blitz, secondo loro, non si sarebbe mai verificato, quel giorno in giro non c’era anima viva. Altro che agenti in tenuta da rambo.
Il nome di Gradoli sarebbe ritornato alla ribalta in seguito, quando a Roma, in via Gradoli appunto, sarebbe stato scoperto un covo delle Brigate Rosse. Ma per altri  Gradoli sarebbe un nome in codice per coprire alcune informazioni  passate dai servizi segreti sovietici a politici italiani. Su questo caso stava indagando la commissione parlamentare d'inchiesta Mitrokin quando, alla fine del 2006,  si è ritrovata al centro di un complesso intrigo internazionale.
Nel film parlano molti testimoni, vivi e morti. E riferiscono fatti inquietanti.  Come  Alexander Litvinenko, l'ex tenente colonnello dell’FSB (il servizio segreto russo erede del Kgb) assassinato a Londra nel novembre 2006 con una massiccia dose di Polonio 210, che in una sequenza d’archivio riprodotta tale e quale da Infanti dichiara senza mezzi termini che uno dei big della politica italiana lavorava, nientemeno, che  per il Kgb.

IL RICORDO DELLA FIGLIA
Parla anche la figlia di Moro,  Maria Fida, finora restìa a partecipare alle commemorazioni ufficiali del delitto. Qui compare in una sequenza toccante: dal cofano della macchina  ricorda il padre com’era prima del sequestro, in famiglia, a casa, nelle cose di tutti i giorni.  Un uomo mite e generoso  del quale non sarebbe mai importato nulla a nessuno, ma che all’improvviso, strumentalmente,  fu trattato da tutti come un martire.
«Del mio film - sottolinea  Infanti - si potranno dire molte cose. Che è brutto. Che è girato male. Ma quello che viene detto dai testimoni non si può negare: è tutto provato in centinaia di pagine di documenti».
Infanti, però, non vuole dare risposte. Non vuole fare il giudice. Ma solo suggerire una pista, stimolare alla ricerca, fornire un punto di partenza. Che possa, un giorno, sfociare da qualche parte, facendo svanire la nebbia: «Sapete cos’è che mi fa davvero male? Che nonostante ci siano tante e tali prove, che decine di persone sappiano che la verità sul sequestro Moro è un’altra, nessuno si sia mai preso la briga di leggere, di ascoltare. Che nessuno voglia indagare. Che nessun giornale voglia scriverlo. Uno scandalo tutto italiano, che strappa il Paese dal novero delle democrazie per cacciarlo nella lista squallida dei regimi». 

ALLA RICERCA DELLA VERITA'
La pellicola era iscritta alle  preselezioni dei Festival del Cinema di Cannes, 2008, ma è stata esclusa. «Non mi importa - scrolla la testa il regista -. Il mio film non è nato per fare cassetta. Non ha sponsor né interessi da difendere. Non ha nemmeno un grande nome per la distribuzione.  Troveremo comunque il modo per farlo vedere in giro, piuttosto lo  regaliamo. Dirò di più. Il mio prossimo film sarà dedicato alla ricostruzione dell’attentato a papa Giovanni Paolo II, episodio che col delitto Moro ha  inquietanti legami. Lo ripeto: ciò che mi preme è solo  che la verità, finalmente,  venga a galla. Costi quel che costi».

 
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IL SECOLO D'ITALIA  01 gennaio 2009 p.8 - RECENSIONE
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1 novembre, Europa tra sacro e profano. Ne hanno parlato al microfono di Giulia Fossà: Elena Percivaldi, giornalista e studiosa di storia antica e medievale; Flavio Zanonato, sindaco di Padova; Marino Niola, Professore di Antropologia Culturale all'Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli; Sonia Oranges, giornalista de 'Il Riformista'; Alberto Bobbio, capo della redazione romana di 'Famiglia Cristiana'; Ennio Remondino, corrispondente Rai in Turchia. La corrispondenza di Alessandro Feroldi sulle politiche dell'immigrazione a Pordenone.

ASCOLTA: http://www.radio.rai.it/radio1/nudoecrudo/view.cfm?Q_EV_ID=230636

 

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Volti, cerimonie rituali, frammenti di vita in seno ai templi delineano attraverso la fotografia i segni del ritratto di un mondo in cui le difficoltà morali, il fervore spirituale e la profondità d’animo vanno di pari passo con la gentilezza, l’allegria e l’immensa generosità.  Le suggestive immagini in bianco e nero, fortemente spirituali, della prima parte del volume si contrappongono alle intense fotografie a colori dedicate alla realtà di tutti i giorni (centri commerciali, prostitute) pubblicate nella seconda parte. Il libro è introdotto da un accorato messaggio di pace del Dalai Lama che pone l’accento sulla grande forza d’animo con cui il popolo tibetano affronta continuamente ardue prove nel tentativo di continuare a perpetuare l’affermazione delle proprie idee e della propria spiritualità.

 

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