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Post N° 201

Post n°201 pubblicato il 29 Agosto 2008 da eleperci
 

Intervista a Enrico Dindo, violoncellista, presidente di Musicarticolo9 e direttore dei Solisti di Pavia 

«Allevi il nuovo Mozart? E’ solo un grande equivoco»

 

«Bravo interprete, ma è una pop star e non un artista di classica. Farlo credere non solo non aiuta la musica colta, ma crea gravi danni»

di Elena Percivaldi

 

 

 

A 22 anni ha debuttato come violoncello solista alla Scala di Milano, e ci è rimasto per oltre un decennio. A 32 ha vinto il Premio Rostropovich a Parigi, col  grande maestro che scriveva di lui “è un violoncellista di straordinarie qualità, artista compiuto e musicista formato e possiede un suono eccezionale che fluisce come una splendida voce italiana”.  Nel 2000 ha vinto il Premio Abbiati, e poi numerosi altri riconoscimenti. Ma di Enrico Dindo tutto si può dire tranne che sia un musicista dedito unicamente al suo lavoro, quello di interprete: dei grandi classici –Schubert, Strauss, Beethoven, Chopin–,  come dei contemporanei –Giulio Castagnoli, Carlo Boccadoro, Carlo Galante, Roberto Molinelli- che pure per lui hanno scritto pagine ispirate. Dindo affianca infatti volentieri al violoncello che lo ha reso celebre e apprezzato in tutto il mondo la bacchetta da direttore d’orchestra (alla testa dei Solisti di Pavia) e ama profondamente insegnare (all’Accademia Musicale di Pavia).   Lo abbiamo intervistato, al di là delle domande “di prassi”,  per avere la sua opinione sulla situazione musicale attuale, soprattutto in confronto con quanto avviene all’estero.  Ma anche per sapere se la ricetta per salvare la musica classica, in Italia, è davvero quella dei fenomeni come Allevi. Energico, ironico, pure un pochino polemico, comunque mai banale, ecco cosa ci ha risposto.

Maestro Dindo, nel '97, vincendo il Premio Rostropovich,  ha ricevuto un giudizio molto lusinghiero da parte del grande violoncellista. Si considera in qualche modo il  suo erede?

 

«Io credo che in Arte nessuno sia erede di nessuno. Ogni artista coglie suggestioni dai grandi del passato e del presente e cerca di progredire. Rostropovic è stato il più grande violoncellista per tutto il '900, è
naturale che un po' tutti si siano ispirati a lui».

 

Alla Scala a soli 22 anni, un traguardo importante per un giovane. Cosa consiglia a un ragazzo che oggi vorrebbe intraprendere la carriera di musicista?

 

«Oggi è senza dubbio molto più difficile rispetto a quando ho iniziato io. La concorrenza è maggiore e la qualità media è più alta. Consiglio di coltivare passioni parallele e di non puntare esclusivamente
sulla musica se non quando si è raggiunto un equilibrio di vita. La musica deve far parte della vita delle persone, in alcuni casi poi può diventare anche fonte di sostentamento».

 

Lei è presidente di MUSICARTICOLO9. Perché "articolo 9"? e in cosa consiste la vostra attività di promozione della musica?

 

«La Costituzione della Repubblica Italiana recita, all’Articolo 9, "La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione." L'Associazione (musicarticolo9.it) nasce dal desiderio di poter affrontare - e provare a risolvere - alcuni temi e problematiche legate all'attività autonoma di musicista. Riunisce molti nomi illustri del concertismo
italiano. Essendo però un numero esiguo di persone non siamo molto ricercati dai grandi sindacati che hanno bisogno di grandi numeri per grandi poteri. Però abbiamo problemi anche noi e di non facile soluzione, anche perché spesso chi se ne occupa (la politica!) non conosce a fondo la materia,
come abbiamo visto per il problema dell'Iva (10 o 20%) che ha coinvolto alcuni musicisti e c'è voluto parecchio tempo prima che si arrivasse ad una... soluzione! Per non parlare dell'Enpals... La nostra situazione previdenziale è talmente complicata che nessun musicista è in grado di farsi personalmente
una previsione di quanto percepirà di pensione».

 

Da presidente dell'Associazione, cosa chiederebbe al nuovo governo in una materia spinosa come questa? Tenendo presente che non si parla altro che di tagli…

 

«Oramai più che richieste le nostre sono preghiere o speranze. Nessuno ci ascolta. Un Paese che vorrebbe dirsi civile non può e non deve dimenticarsi del suo passato e soprattutto non deve dimenticare il suo futuro. Il nostro è il Paese dove è nato tutto, l'arte qui era di casa ed era il motivo per cui tutto il resto del mondo ci guardava con ammirazione. Ora non più. Per i giovani non si fa abbastanza (riforma dei Conservatori???), ci si lamenta del fatto che si uccidono uscendo dalle discoteche ma non ci si preoccupa di proporgli un'alternativa valida. L'arte e la cultura potrebbero esserlo! Passioni! Le televisioni veicolano ormai solo sub valori e la scuola primaria non è in grado di supportare un'adeguata educazione musicale».

 

Lei si è esibito in tanti Paesi ed è spesso in tournèe. Può fare un rapido confronto tra lo stato di salute della musica in Italia e all'estero?

 

«Devo riconoscere che purtroppo la situazione è abbastanza generalizzata, questo male è parte integrante dell'ingordo Occidente, con alcune eccezioni: in Europa, Austria e Germania resistono nonostante la crisi sia presente anche sul loro territorio e ultimamente la Spagna vive con entusiasmo e passione la sua vita musicale ed è desiderosa di recuperare il gap che forse finora l'aveva tenuta un po' distante dal resto del continente. Grandi e coraggiosi investimenti sono stati effettuati dal governo spagnolo che negli ultimi anni ha costruito un gran numero di auditorium, i quali sono poco a poco divenuti centri di aggregazione anche giovanile. Un esempio. Il Sud America sta mostrando esempi di grande volontà, il progetto Abreu è stato uno straordinario apripista. Lo stato di salute della musica in Italia è apparentemente buono, abbiamo
molti teatri d'opera con un buon seguito di pubblico, diverse orchestre sinfoniche e anche una discreta nicchia di attività da camera. Tutti però si lamentano che mancano i fondi; forse la soluzione potrebbe
essere cercata in una più attenta gestione "meritocratica" del denaro pubblico e ad una più netta distinzione tra sevizio ed evento. Il privato poi dovrebbe essere meglio incentivato alla partecipazione
attraverso maggiori possibilità di detrazioni delle donazioni. Ho letto da poco che l'affluenza del pubblico dei teatri sarebbe superiore a quella degli stadi; se così fosse questo sarebbe un Paese diverso».

Maestro, Lei ha anche dato vita all'Associazione "I Quattro Cavalieri" che anima la scena  musicale grazie anche all'ensemble "I Solisti di Pavia". Perché da noi la musica classica fa così fatica a trovare spazi e non riesce a diventare parte integrante della cultura di massa, come invece accade in altre  realtà  (ad esempio in Estremo Oriente) peraltro con una storia, da questo punto  di vista, molto meno lunga e articolata della nostra?

 

«A Pavia sta accadendo qualcosa di magico. Ho la fortuna di avere dei collaboratori straordinari, persone capaci di mettere in gioco passione, entusiasmo e quindi ben disposte a nuovi
progetti. Oggi l'Associazione - che era nata nel 2001 - non esiste più e la nuova Fondazione Teatro Fraschini (teatrofraschini.it) contiene in se i Solisti di Pavia (isolistidipavia.com) e l'Accademia Musicale di Pavia (accademiadipavia.com) oltre naturalmente all'attività del Teatro e questa trasformazione apre nuovi entusiasmanti orizzonti. Tutto ciò sta accadendo semplicemente perché alcune persone - a Pavia - hanno deciso che la cultura deve essere un servizio ai cittadini e quindi non temono di investire economicamente sul futuro, anzi, è il loro scopo. La Fondazione Banca del Monte di Lombardia sostiene il progetto con
esemplare passione. Se trovassimo persone simili in Parlamento...».

 

Da artista e da docente, come giudica il fenomeno Allevi, in cime alle  classifiche con vendite da pop star? Un bene o un male - se così si può dire - per la musica classica?

 

«Ascolto molti tipi di musica. Anzi, quella classica è quella che ascolto di meno. Mi piace il jazz, Sting, Pino Daniele, Chick Corea... Il problema non sta in quello che Allevi suona, ma nel come lo si vuole catalogare. Non mi disturba affatto che sia popolare, una pop star appunto, ma non è musica classica e bisogna dirlo chiaramente. Continuare a ripetere che è un esempio per avvicinare i giovani alla musica classica è un grave errore. Ci vorrebbe una maggiore capacità di distinguere i generi, allora i suoi cd finirebbero sullo scaffale giusto, quello della musica pop; impariamo a vederlo come un fenomeno costruito per riempire stadi e vendere molti cd, come succede appunto nella musica pop. E poi che ne sarebbe di lui se Spike Lee non avesse scelto un suo brano per la pubblicità di una nota casa automobilistica? Se poi qualche importante quotidiano titola "Il nuovo Mozart" il danno è gigantesco».

Progetti futuri?

 

«Far capire a mio figlio la differenza tra Allevi e Mozart!».

PUBBLICATO SU CLASSICAONLINE:
http://www.classicaonline.com/interviste/26-08-08.html

 
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IL SECOLO D'ITALIA  01 gennaio 2009 p.8 - RECENSIONE
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1 novembre, Europa tra sacro e profano

1 novembre, Europa tra sacro e profano. Ne hanno parlato al microfono di Giulia Fossà: Elena Percivaldi, giornalista e studiosa di storia antica e medievale; Flavio Zanonato, sindaco di Padova; Marino Niola, Professore di Antropologia Culturale all'Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli; Sonia Oranges, giornalista de 'Il Riformista'; Alberto Bobbio, capo della redazione romana di 'Famiglia Cristiana'; Ennio Remondino, corrispondente Rai in Turchia. La corrispondenza di Alessandro Feroldi sulle politiche dell'immigrazione a Pordenone.

ASCOLTA: http://www.radio.rai.it/radio1/nudoecrudo/view.cfm?Q_EV_ID=230636

 

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Volti, cerimonie rituali, frammenti di vita in seno ai templi delineano attraverso la fotografia i segni del ritratto di un mondo in cui le difficoltà morali, il fervore spirituale e la profondità d’animo vanno di pari passo con la gentilezza, l’allegria e l’immensa generosità.  Le suggestive immagini in bianco e nero, fortemente spirituali, della prima parte del volume si contrappongono alle intense fotografie a colori dedicate alla realtà di tutti i giorni (centri commerciali, prostitute) pubblicate nella seconda parte. Il libro è introdotto da un accorato messaggio di pace del Dalai Lama che pone l’accento sulla grande forza d’animo con cui il popolo tibetano affronta continuamente ardue prove nel tentativo di continuare a perpetuare l’affermazione delle proprie idee e della propria spiritualità.

 

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