Messaggi di Dicembre 2008

IL MIO NUOVO LIBRO!!!

Post n°223 pubblicato il 23 Dicembre 2008 da eleperci
 

E' uscito il mio nuovo libro. Si tratta dell'edizione, con traduzione, testo latino a fronte, commento e ampia introduzione, della "Navigatio sancti Brendani", testo anonimo del X secolo composto con molta probabilità da un monaco irlandese e che narra la peripezie di san Brandano e dei suoi monaci alla ricerca della "Terra repromissionis sanctorum", la terra promessa dei santi.
Un classico assoluto della letteratura medievale. Prefazione di Franco Cardini.

Anonimo del X secolo
La Navigazione di san Brandano
A cura di Elena Percivaldi
Prefazione di Franco Cardini
Ed. Il Cerchio, Rimini
pp. 224, euro 18


PER GLI ALTRI LIBRI, SCORRI LA PAGINA E GUARDA LA COLONNA A DESTRA

 

NE PARLANO:

GR2 (RAI RADIO 2): INTERVISTA (9 gennaio 2008, ore 19.30) Dal minuto 20' 14''
http://www.radio.rai.it/radio2/gr2.cfm#

ASSOCIAZIONE CULTURALE ITALIA MEDIEVALE
http://medioevo.leonardo.it/blog/la_navigazione_di_san_brandano.html

IL SECOLO D'ITALIA p. 8
http://www.alleanzanazionale.it/public/SecoloDItalia/2008/12-dicembre/081214.pdf

ARIANNA EDITRICE
http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=23436

 LA STAMPA
http://www.lastampa.it/_web/CMSTP/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=248&ID_articolo=21&ID_sezione=&sezione

 GRUPPI ARCHEOLOGICI DEL VENETO, p. 12-13:
http://www.gruppiarcheologicidelveneto.it/VA129.pdf

 
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Post n°222 pubblicato il 09 Dicembre 2008 da eleperci
 

*********
Solo otto minuti di applausi e molti fischi per la prima scaligera
IL DON CARLO CHE NON INFIAMMA 

 Di Elena Percivaldi

Si dice sempre che alle prime teatrali non bisogna mai indossare il viola, che porta sfortuna.  Ma anche l’eccessiva sobrietà, per quanto scelta semiobbligata in un momento di crisi, non sembra attirare il favore degli Dei su una stagione che parte decisamente con il piede sbagliato. Pochi fiori, poco sfarzo, in sala anche abiti “reciclati” dagli anni precedenti. E basterebbe questo, forse, a dare un’idea del clima dimesso che si respirava nella prima scaligera. Una serata terminata con soli otto minuti di applausi, e in una tempesta di fischi.  

Quanto questi ultimi fossero meritati e quanto invece organizzati, è questione che sarà dibattuta a lungo. Certo, ha pesato e non poco la scelta (ancora non ufficialmente giustificata) da parte del maestro Daniele Gatti di accantonare, il giorno prima dell’esordio, Giuseppe Filianoti nel ruolo eponimo. I fan del tenore, presenti in massa nel loggione,  si sono fatti sentire, cominciando nel primo atto e finendo all’ultimo. Ma c’è da dire che, in scena, una delle più possenti e magnifiche partiture verdiane veniva maltrattata ai limiti del ridicolo da alcuni interpreti totalmente fuori ruolo, svilita da una regia nel complesso soporifera e non del tutto esaltata da una direzione corretta ma non sempre (preludi a parte) emozionante.

Verdi, che lo si voglia o no, è sempre politico. E non solo quando scrive il “Nabucco” o i “Lombardi”. Lo è nella Trilogia (che si metta alla berlina la morale piccolo borghese o i vizi dei potenti, non cambia) e lo è anche nel “Don Carlo”. Dove l’aspro conflitto personale padre/figlio per motivi di cuore si trasforma progressivamente in aperta ribellione di quest’ultimo all’assolutismo del sovrano. Don Carlo si erge a paladino delle libertà dei popoli (in questo caso i Fiamminghi) oppressi. E sacrifica a questa sua missione anche l’amore. Quella che ne è stata data da Gatti è, purtroppo, una lettura piuttosto monolitica, che privilegia gli aspetti eroici, schilleriani appunto, di un lavoro invece assai più terribile e complesso, penalizzandone gli accenti umani e personali . Più tragedia “pubblica”, insomma, che “privata”.  E la resa di quest’ultima viene lasciata unicamente alla qualità (molto discontinua) degli interpreti.



Due-parole-due su regia e scenografia, entrambe firmate da Stéphane Braunschweig. La messa in scena è minimal, senz’altro elegante ma senz’anima. E a volte persino ridicola, quando nell’autodafè fa involare (letteralmente) il piccolo Carlo verso il cielo da funi invisibili. Richiamo alla macchinalità barocca? Mah, secondo noi solo colpo ad effetto oleografico. Unico tocco geniale: la presenza di bambini come “doppi” dei protagonisti, a ricordare il contrasto eterno tra l’Età dell’oro e il Paradiso della fanciullezza, che si perderanno nel cinismo e nella delusione quando si cresce.  Sinceramente suggestiva invece la scena finale, con Don Carlo che si addormenta sull’avello di Carlo V riparato dal suo mantello imperiale. Bellissimi e sfarzosi i costumi cinquecenteschi di Thibault van Craenenbroeck, tocco di filologia riservato ai nobili. Per il coro della plebe, ecco invece abiti della Spagna franchista, a ricordare quanto l’immortalità dei temi verdiani (qui l’oppressione dei potenti) superi le barriere del tempo.

L’americano Stuart Neill ha preso tra le polemiche il posto di Giuseppe Filianoti e la scelta purtroppo non si è rivelata vincente. Totalmente privo del  physique du rôle – una montagna grande e grossa a rappresentare il malaticcio, pallido e nevrotico don Carlo - risulta molto poco credibile come amante struggente ed eroico sobillatore di popoli (soprattutto per chi ha in mente un Domingo o un Carreras). Goffo e sgraziato, l’Infante di Spagna sembra un ragazzotto esploso troppo in fretta. E alla fine risulta grottesco. Pure vocalmente non è a suo agio. Poco smalto, emissione a tratti sentorea, acuti un po’ strozzati. Decisamente, da rimandare. Non troppo meglio l’Elisabetta di Fiorenza Cedolins, regale sì ma pure troppo, al punto da risultare immobile come una stella fissa. Nell’interpretazione non emoziona, nell’esecuzione non sbaglia nulla ma si limita al compitino da 6 politico. E risulta fredda. Incapace di riscaldare i cuori, anche nei momenti di maggior pathos. 

Decisamente meglio Dalibor Jenis, un Rodrigo dotato di voce limpida, che non crolla, e buone capacità attoriali. Forse un tantino esacerbato il suo “giovanile ardore”, meglio sarebbe stato riequilibrare i toni conferendo al personaggio una maggiore dignità aristocratica. Ma nel complesso ascoltabilissimo e guardabilissimo.  Imponente il Filippo II di Ferruccio Furlanetto, ormai tanto abituato al ruolo che quasi ci si identifica. La sua statura è esattamente così come l’avrebbe voluta Verdi: immensa, nel bene e (soprattutto) nel male. Il suo è un imperatore tutt’altro che monolitico. Se infatti impressionano i suoi toni gravi, che lo portano a farci intravvedere l’inferno, il suo Filippo riesce per un attimo ad essere umano quando si strugge di delusione per l’amore non ricambiato della consorte e per il tradimento del figlio. Furlanetto lavora di scalpello intorno al personaggio come con una scultura a tutto tondo. Indimenticabile. Dolora Zajick è una Eboli di primissima categoria, dotata di acuti potenti e imperiosi  che la rendono magnifica nell’esprimere rabbia e vedetta. Non altrettanto, invece, nelle parti leggere come i vocalizzi  della “canzon saracina”, che peccano di fluidità e risultano poco ariose. Disastroso il Grande Inquisitore di Anatolij Kotscherga. Registro centrale floscio, acuti strozzati e gravi inesistenti. Da dimenticare, senza se e senza ma. Benino i ruoli di contorno, ottimo il coro di Bruno Casoni: come sempre, una sicurezza.

Foto: Marco Brescia – Teatro alla Scala

 

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GIUSEPPE VERDI, DON CARLO

Dicembre  2008:  07, 10, 12, 14, 16, 19, 21 Gennaio  2009:  04, 08, 11, 15 

Nuova produzione Teatro alla Scala. Direttore DANIELE GATTI

Personaggi e Interpreti:

Filippo II Ferruccio Furlanetto Matti Salminen
Don Carlo Stuart Neill
Giuseppe Filianoti 
Rodrigo

 

http://www.teatroallascala.org

>GIUSEPPE VERDI- DON CARLO

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Dalibor Jenis Thomas Johannes Mayer
Il grande inquisitore Matti Salminen Anatolij Kotscherga
Un frate Diogenes Randes Gabor Bretz Petri Lindroos 
Elisabetta di Valois  Fiorenza Cedolins Micaela Carosi
La principessa d'Eboli Dolora Zajick Anna Smirnova 
Tebaldo Carla Di Censo Roberta Canzian 
Conte di Lerma Cristiano Cremonini Ki Hyun Kim 
Araldo reale Carlo Bosi Ki Hyun Kim 
Voce dal cielo Julia Borchert Irena Bespalovaite 
Sei deputati fiamminghiFilippo Bettoschi Davide Pelissero Ernesto Panariello Chae Jun Lim Alessandro Spina Luciano Montanaro

 

, regia e scene Stéphane Braunschweig, costumi Thibault van Craenenbroeck.

 

 
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Post N° 221

Post n°221 pubblicato il 09 Dicembre 2008 da eleperci
 

fino al 25.I.2009
Medioevo a Trieste
Trieste, Castello di San Giusto

Non solo Svevo e Joyce. Tra monete, pergamene, affreschi e sculture gotiche, ecco il volto medievale, inconsueto, della città che fu il porto degli Asburgo. Sospesa tra castello e cattedrale...

di ELENA PERCIVALDI

pubblicato martedì 9 dicembre 2008

Pensare a Trieste vuol dire sentir soffiare, oltre alla bora, il vento del cambiamento che portò, quel 4 novembre di novant’anni fa, la città sotto bandiera italiana. Fino ad allora era stata il porto degli Asburgo, lo sbocco sul mar Adriatico di un impero che, esteso nel cuore pulsante dell’Europa, era confinato tra montagne, pianure e valli. Ma stavolta, invece dei caffè d’inizi Novecento, in cui si respirava un’aria mitteleuropea e si potevano incontrare James Joyce, Italo Svevo e Umberto Saba, la città si materializza nel suo castello, intitolato al patrono san Giusto, e il vento che soffia è quello che spira dai secoli addietro, attraverso le volte e le navate della sua Cattedrale...

 
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Post N° 220

Post n°220 pubblicato il 05 Dicembre 2008 da eleperci
 

MAO SOTTO LA MOLE

A Torino apre il Museo d’Arte Orientale. 1500 reperti, cinque sezioni, tre piani. In un palazzo antico, reso trendy da un cubo di vetro. Un viaggio multimediale. Dal Sol Levante all’Islam...

di ELENA PERCIVALDI

pubblicato giovedì 4 dicembre 2008

Si chiama MAO, ma non c’entra con il rivoluzionario cinese. O almeno, non direttamente, anche se sempre (anche) di Cina si tratta. Il Mao in questione è infatti il nuovo Museo d’Arte Orientale di Torino, che aprirà ufficialmente i battenti questa sera e che, suddiviso in cinque gallerie, raccoglierà testimonianze della cultura, della storia e dell’arte della Cina appunto, ma anche dell’Asia Meridionale, della Regione Himalayana, dei Paesi Islamici e del Giappone. Diretto dal professor Franco Ricca, il MAO presenta un corpus artistico eccezionale, del quale si sta ultimando la schedatura e la catalogazione informatica, il che renderà il museo un punto di riferimento a livello europeo per studiosi e appassionati.
L’attrazione di Torino per l’Oriente non è certo una novità dell’ultim’ora. Già nel Cinquecento il buon Carlo Emanuele I aveva infatti promosso studi in tal senso. Oggi, oltre al celeberrimo Museo Egizio, la città è sede di una delle più importanti università italiane, nota a livello mondiale per una signora tradizione di studi di sanscrito grazie a nomi quali Gaspare Gorresio (1808-1891), fondatore dell’indologia italiana e titolare dal 1852 della prima cattedra in Italia di Lingua e Letteratura Sanscrita, Mario Vallauri (1887-1964), iniziatore degli studi sui miti contenuti nelle antiche storie dei Purana, e Oscar Botto, scomparso nell’agosto scorso, grande esperto di buddismo. Ma non basta. Da Torino sono partite importanti attività archeologiche, culminate nella creazione del Centro Ricerche Archeologiche e Scavi di Torino per il Medio Oriente e l'Asia e nell’ultimo nato, il Cesmeo - Istituto Internazionale di studi asiatici avanzati.

A ospitare il MAO è la settecentesca residenza nobiliare di Palazzo Mazzonis, posta nel cuore del quadrilatero romano, in passato oggetto di ruberie e devastazioni che lo hanno praticamente svuotato, e che ora grazie al suggestivo allestimento firmato dall’architetto Andrea Bruno rinasce in un modo che farà tendenza: il cortile interno, coperto da un cubo trasparente, come una soglia immaginaria traghetterà come una sorta di Caronte di vetro il visitatore dal suo mondo di certezze e pragmatismi occidentali in quello, spirituale e impalpabile, dell’Oriente. E cosa troverà il curioso voyageur ad attenderlo? Ben 1500 opere provenienti da diversi paesi dell'Asia, la sintesi in tre piani di un Continente.
Il viaggio parte, al primo piano, dall’India con le grandi teste di Buddha in arenaria rossa e le statue di divinità come Tara, Shiva (Maheshvara) e la consorte Parvati (Uma). Si prosegue lungo il sudest asiatico con le petrose sculture Khmer di Angkor e il legno e bronzo, laccati e dorati, birmani e thailandesi (X-XVIII secolo). Tra questi campeggia il monumentale Buddha coronato di legno alto oltre 180 centimetri e intagliato, meraviglia più unica che rara, in un unico tronco.

Niente sete fruscianti, ma il variegato vasellame prodotto in oltre duemila anni di storia, dal 3.000 a.C. al 900 d.C., si troverà invece nella sezione cinese, che insieme alle tante statuette funerarie presenta pezzi unici come gli originali cammellieri e mercanti dei periodi Han (206 a.C.-220 d.C.) e Tang (618-907) che rivelano l'influenza esercitata dal mondo occidentale attraverso le vie commerciali. Tra gli oggetti più belli, ci sono anche la preziosa brocca con coperchio a testa di fenice in gres porcellanato, dell’epoca della Dinastia Sui (inizio VII secolo), e la statuina di uno straniero dal volto velato - forse un cammelliere persiano o un sacerdote zoroastriano intento a officiare il rito del fuoco -, rarissimo perché modellato a mano mentre di solito questi oggetti erano realizzati a stampo.
Purtroppo le distruzioni operate in Tibet nel corso della Rivoluzione Culturale cinese hanno disperso moltissime testimonianze della civiltà himalayana. Ecco perché visitare il secondo piano – dove è allestita la sezione dedicata alla regione stessa– consente di prendere coscienza della tragedia avvenuta (e tuttora in corso), che rischia di risolversi in un vero e proprio genocidio culturale. Si entra nel mistico con l’arte buddhista tibetana ispirata ai tantra: sculture in legno e in metallo, strumenti rituali decorati e dipinti a tempera su tessuto (thang-ka) databili dal XII al XVIII secolo, ma soprattutto due splendidi manoscritti del XV secolo, che si affiancano a una delle maggiori raccolte europee di copertine lignee dei volumi del Canone Buddhista Tibetano (bKa'-'gyur) intagliate e dipinte. Pezzi veramente suggestivi.
Dall’Estremo Oriente all’Islam il passo è più breve di quanto non sembri. Almeno a guardare le ceramiche prodotte in medio oriente tra il IX e il XVII secolo, che citano la porcellana cinese e influenzeranno a loro volta le maioliche e faenze italiane. Basta salire al terzo piano, ed ecco la ricca collezione di vasellame e piastrelle invetriate che ci fa intravedere lo splendore delle grandi lussuose costruzioni di Isfahan, Samarcanda e Istanbul. Qui il colore e i temi denunciano l’incontro tra mondo arabo e civiltà artistica bizantina e sasanide, esaltati nei prodigiosi elementi decorativi: ornati geometrici che esplorano tutte le possibilità della simmetria piana, ma anche arabeschi che richiamano elementi fitomorfi del mondo tardo-antico assumendo però la valenza mistico-religiosa della declamazione - tramite l’arte calligrafica - del Corano. Che dire poi di fronte ai manoscritti arabi in caratteri cufici su pergamene del X secolo, ai cinquecenteschi volumi miniati persiani e ai soffici velluti ottomani degli inizi dell’Ottocento?
Il viaggio finisce nel Sol Levante. Nelle due sale al primo e secondo piano della manica laterale troviamo statue lignee di ispirazione buddhista - come l'imponente Kongo-rikishi (alto ben 230 cm e scolpito in legno di cipresso) raffigurante un dvarapala, ossia il guardiano del monastero -, tre armature samurai ma soprattutto i diafani paraventi seicenteschi che descrivono templi ed edifici dell'antica Kyoto e illustrano eventi dell’epica giapponese.

Lievi come ninfee, volano infine i ventagli dipinti e traslucono le xilografie policrome settecentesche che, insieme alla ricca collezione di oggetti laccati, restituiscono l’immagine del Giappone come quella di un mondo fluttuante e sospeso. Ex Oriente lux, si dice spesso. Da dicembre, a Torino, questa luce illuminerà un po’ anche noi.


elena percivaldi


Inaugurazione giovedì 4 dicembre 2008 ore 20.30-24
MAO - Museo d’Arte Orientale
Via San Domenico, 9/11 - 10122 Torino
Info: tel. +39 0114429523; www.arteorientaletorino.it

*articolo pubblicato su Grandimostre n. 1. Te l’eri perso? Abbonati!


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PUBBLICATO SU EXIBART: http://www.exibart.com/notizia.asp/IDNotizia/25687/IDCategoria/1

 
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IL MIO NUOVO LIBRO!!

Post n°219 pubblicato il 03 Dicembre 2008 da eleperci
 

Sta per uscire il mio nuovo libro. Si tratta dell'edizione, con traduzione, testo latino a fronte, commento e ampia introduzione, della "Navigatio sancti Brendani", testo anonimo del X secolo composto con molta probabilità da un monaco irlandese e che narra la peripezie di san Brandano e dei suoi monaci alla ricerca della "Terra repromissionis sanctorum", la terra promessa dei santi.
Un classico assoluto della letteratura medievale. Prefazione di Franco Cardini.

Anonimo del X secolo
La Navigazione di san Brandano
A cura di Elena Percivaldi
Prefazione di Franco Cardini
Il Cerchio, Rimini, 2008, pp. 224, euro 19

 
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IL MIO ULTIMO LIBRO

E' uscito il mio nuovo libro. Si tratta dell'edizione, con traduzione, testo latino a fronte, commento e ampia introduzione, della "Navigatio sancti Brendani", testo anonimo del X secolo composto con molta probabilità da un monaco irlandese e che narra la peripezie di san Brandano e dei suoi monaci alla ricerca della "Terra repromissionis sanctorum", la terra promessa dei santi.
Un classico assoluto della letteratura medievale. Prefazione di Franco Cardini.

Anonimo del X secolo
La Navigazione di san Brandano
A cura di Elena Percivaldi
Prefazione di Franco Cardini
Ed. Il Cerchio, Rimini
pp. 224, euro 18


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NE PARLANO:

GR2 (RAI RADIO 2): INTERVISTA (9 gennaio 2008, ore 19.30) Dal minuto 20' 14''
http://www.radio.rai.it/radio2/gr2.cfm#

ASSOCIAZIONE CULTURALE ITALIA MEDIEVALE
http://medioevo.leonardo.it/blog/la_navigazione_di_san_brandano.html

IL SECOLO D'ITALIA 12 dicembre 2008 p. 8 - SEGNALAZIONE
http://www.alleanzanazionale.it/public/SecoloDItalia/2008/12-dicembre/081214.pdf

IL SECOLO D'ITALIA  01 gennaio 2009 p.8 - RECENSIONE
http://www.alleanzanazionale.it/public/SecoloDItalia/2009/01-gennaio/090110.pdf

ARIANNA EDITRICE
http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=23436

 LA STAMPA
http://www.lastampa.it/_web/CMSTP/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=248&ID_articolo=21&ID_sezione=&sezione

 GRUPPI ARCHEOLOGICI DEL VENETO, p. 12-13:
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1 novembre, Europa tra sacro e profano

1 novembre, Europa tra sacro e profano. Ne hanno parlato al microfono di Giulia Fossà: Elena Percivaldi, giornalista e studiosa di storia antica e medievale; Flavio Zanonato, sindaco di Padova; Marino Niola, Professore di Antropologia Culturale all'Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli; Sonia Oranges, giornalista de 'Il Riformista'; Alberto Bobbio, capo della redazione romana di 'Famiglia Cristiana'; Ennio Remondino, corrispondente Rai in Turchia. La corrispondenza di Alessandro Feroldi sulle politiche dell'immigrazione a Pordenone.

ASCOLTA: http://www.radio.rai.it/radio1/nudoecrudo/view.cfm?Q_EV_ID=230636

 

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I MIEI LIBRI / 1

ELENA PERCIVALDI, "I Celti. Una civiltà europea", 2003, Giunti (Firenze), pagine 192, euro 16.50

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TRADOTTO IN TEDESCO (ED. TOSA)


E IN SPAGNOLO (ED. SUSAETA)

 

I MIEI LIBRI / 2

ELENA PERCIVALDI, I Celti. Un popolo e una civiltà d'Europa, 2005, Giunti, pagine 190, euro 14.50

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***

Elena Percivaldi, GLI OGAM. Antico Alfabeto dei Celti, Keltia Editrice, formato 150x230 -pagine 176, euro 15
brossura, con xx tavole fuori testo in b/n
ISBN 88-7392-019-5


Il libro è il PRIMO saggio COMPLETO in italiano sull'argomento.

L'alfabeto ogamico è un originalissimo modo di scrivere che fu inventato presumibilmente intorno al IV secolo d.C. Il nome "ogam" è stato collegato a quello di un personaggio chiamato Ogme o Ogmios: per i Celti il dio della sapienza. Nella tradizione irlandese del Lebor Gàbala (Libro delle invasioni), Ogma è un guerriero appartenente alle tribù della dea Danu (Tuatha Dé Danann). Un testo noto come Auraicept na n-éces (Il Manuale del Letterato), che contiene un trattato sull'alfabeto ogam, dice: "al tempo di Bres, figlio di Elatha e re d'Irlanda (...) Ogma, un uomo molto dotato per il linguaggio e la poesia, inventò l'Ogham.”

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IL LIBRO DEL GIORNO

Tibet. Land of exile
di Patricio Estay
Skira Editore
pp. 224, euro 39

Volti, cerimonie rituali, frammenti di vita in seno ai templi delineano attraverso la fotografia i segni del ritratto di un mondo in cui le difficoltà morali, il fervore spirituale e la profondità d’animo vanno di pari passo con la gentilezza, l’allegria e l’immensa generosità.  Le suggestive immagini in bianco e nero, fortemente spirituali, della prima parte del volume si contrappongono alle intense fotografie a colori dedicate alla realtà di tutti i giorni (centri commerciali, prostitute) pubblicate nella seconda parte. Il libro è introdotto da un accorato messaggio di pace del Dalai Lama che pone l’accento sulla grande forza d’animo con cui il popolo tibetano affronta continuamente ardue prove nel tentativo di continuare a perpetuare l’affermazione delle proprie idee e della propria spiritualità.

 

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