Synaptic MindCosa si dice di nuovo nell'ambito della Psicologia Sperimentale... |
Chi Siamo
Chiara Incorpora
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Edoardo Santucci
edoardosantucci@yahoo.it
Lidia Cristofaro
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Raffaella Pellegrini
raffyw@yahoo.it
Laureandi in Psicologia della Comunicazione presso l'Universita' Cattolica di Milano.
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Questo blog nasce con l'intento di fornire informazioni aggiornate relative all'ambito della psicologia sperimentale, con particolare attinenza al campo della psicologia cognitiva e delle neuroscienze da un lato, e della psicologia della comunicazione dall'altro. Data la trasversalita' di queste discipline le ricerche raccolte pertengono a numerosi altri settori limitrofi: dalla clinica alle nuove tecnologie. L'obiettivo è quindi quello di segnalare notizie che pertengono o ruotano intorno all'ambito della psicologia e che sono state riprese dalle principali ed autorevoli riviste presenti on-line (nazionali ed internazionali).
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Cognitive Neuropsychology
The Journal of Neuroscience
European Journal of Neuroscience
Center for neural science of NY (presente anche la pagina personale di LeDoux)
PERCORSI FORMATIVI & MASTER
Corso di Formazione "Strumenti di analisi per la neuropsicologia cognitiva" (Universita' Cattolica di Milano)
Corso di Formazione "Intelligenza Emotiva. Saper Gestire le proprie emozioni" (Universita' Cattolica di Milano)
Corsi di Psicologia della Comunicazione (studio di consulenza privato - Ferrara)
Master in Comunicazione e Problem Solving Strategico (MRI - Arezzo)
Post n°53 pubblicato il 04 Aprile 2007 da celr
Le molteplici aree cerebrali deputate alla localizzazione spaziale del dolore Uno studio americano va in controtendenza e sostiene che alla base della capacità umana di localizzare il dolore vi sia un complesso sistema cerebrale che coinvolge molteplici regioni del nostro cervello Presso la Wake Forest University School of Medicine, Robert Coghill e collaboratori mostrano come il processo di individuazione spaziale del dolore nei soggetti umani coinvolga una complessa rete di aree cerebrali anziché un numero limitato di regioni come storicamente supposto fra gli studiosi di neuroscienze. Attraverso la risonanza magnetica funzionale si è riscontrato come il processo di localizzazione spaziale del dolore richieda un’attività cerebrale distribuita a più livelli che risulta essere analoga in termini di diffusione strutturale ai processi di determinazione visiva ed uditiva. Per esempio, aree che tradizionalmente sono state considerate come deputate all’elaborazione degli elementi emotivi del dolore sono state invece individuate e identificate, nella presente ricerca, come primarie e partecipanti al processo di identificazione spaziale del dolore. Per visualizzare la notizia apparsa su "le Scienze" clicca qui Post di Edoardo Santucci ----------------- |
Post n°52 pubblicato il 03 Aprile 2007 da celr
Neurogenesi e memoria di lavoro: processo e meccanismo complementari Uno studio svolto presso la Columbia University e pubblicato sulla rivista on-line Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, segnala che l’assenza di neurogenesi nell’ippocampo ottimizza la nostra memoria di lavoro, ossia quel magazzino mnestico dove avvengono i principali processi cognitivi e dove le informazioni vengono elaborate. Per cui, in questo spazio la memoria a breve termine non costituisce solo il passaggio intermedio tra il registro sensoriale e la memoria a lungo termine, ma di fatto si organizza in quanto luogo deputato ai fondamentali processi cognitivi. Data la particolare sensibilità della memoria di lavoro per gli input già allocati nella memoria permanente, è evidente che l’oblio di tali informazioni consenta la gestione efficace di qualsiasi elaborazione cognitiva che l’uomo costantemente mette in atto nei compiti più svariati. È necessario sottolineare tuttavia come tale studio abbia avuto come oggetto la neurogenesi nell’ippocampo di cavie da laboratorio. La conclusione, riportata da “le Scienze”, ad opera dei ricercatori è quindi che memorizzare grandi quantità di informazioni, oltre a rendere più difficoltoso il processo di filtraggio dei diversi input sensoriali e ad aumentare il tempo necessario per l’esecuzione dei vari compiti, costituisce un ostacolo alle attività cognitive dell’uomo. Per cui, l’oblio assume una valenza fisiologica naturale ed indispensabile per un’azione umana efficace, efficiente e duratura. Post di Edoardo Santucci ----------------- Per visualizzare la notizia tratta da "le Scienze", clicca qui Per visualizzare l'articolo intero, clicca invece qui |
Post n°51 pubblicato il 03 Aprile 2007 da celr
Il ritorno della “pillola dell’oblio” parte II…. A distanza di tre anni dalla notizia in merito allo studio di un farmaco in grado di rimuovere ricordi sgraditi, l’equipe del Center for Neural Science di New York propone nuovi sviluppi sperimentali Presso il Center for Neural Science di NY, con a capo Joseph LeDoux, è stata messa a punto una pillola in grado di cancellare dalla memoria permanente singoli eventi spiacevoli. Alla base di tale scoperta si basa l’ipotesi secondo cui sia possibile agire direttamente sul sistema mnestico che gestisce il passaggio dell’informazione dalla memoria a breve termine (MBT) a quella a lungo termine (MLT), attraverso la somministrazione di un farmaco noto tradizionalmente per indurre episodi di amnesia. La notizia, apparsa già nel 2004, e che si basava sugli studi paralleli di Istituti accreditati canadesi, californiani, francesi e newyorkesi presentati al convegno della Società di Neuroscienze nello stesso anno, fonda la propria ipotesi sul presupposto di poter alterare il meccanismo di rafforzamento mnestico nel magazzino a lungo termine. Attraverso la preliminare associazione di suoni seguiti da lievi scariche elettriche è stata indotta ad alcuni topolini l’emozione primaria della paura, anche quando i suoni successivamente non venivano più accompagnati da effettive scosse. In seguito a metà dei topi è stato somministrato la “pillola dell’oblio” al fine di rimuovere il ricordo spiacevole. Il giorno dopo, ad entrambi i gruppi di ratti è stato riproposto uno dei due input sonori riscontrando che il gruppo manipolato sperimentalmente non aveva in effetti più paura dello stimolo di partenza. La notizia, che desta dubbi ed interrogativi di ordine etico, divide la comunità scientifica sulla sua possibile applicazione nell’uomo. Alcuni infatti ritengono che la modificazione chimica della memoria a lungo termine equivalga ad influenzare e ad agire direttamente sulla nostra personalità; altri invece sostengono che tale intervento possa giovare a particolari categorie di pazienti quali per esempio le vittime di guerra o di incidenti che hanno sperimentato eventi tali da incidere drammaticamente sulla loro stessa vita (si pensi a quelle persone che soffrono di disturbo post traumatico da stress). Tuttavia, una serie di quesiti sorgono spontanei: è giusto o meno eliminare i nostri ricordi, qualsiasi valenza edonica abbiano, ognuno dei quali contribuisce a proprio modo sul processo evolutivo umano? Ed è plausibile sostenere che un’emozione fondamentale come la paura, centrale nel processo di gestione della conservazione della specie, possa essere modificata sperimentalmente ed artificialmente ad opera di opportune reazioni chimiche? E qualora diventasse una pratica comune ed indifferenziata a molteplici casistiche di ordine clinico più o meno rilevanti, quali ricadute avrebbe tale applicazione in termini evoluzionistici? Domande che dovranno essere affrontate, e che richiederanno un confronto interdisciplinare tra le molteplici professionalità coinvolte nel dare risposte agli interrogativi di ordine etico, sperimentale, culturale ed evolutivo che si presenteranno su questa tematica. Clicca qui per visualizzare la notizia apparsa su "la Repubblica.it" Clicca qui per visualizzare la notizia apparsa su "ScienceDaily.com" Post di Edoardo Santucci ----------------- |
Post n°50 pubblicato il 30 Marzo 2007 da celr
La stretta correlazione tra musica e linguaggio Individuata sperimentalmente, presso la Northwestern University di Chicago, una forte relazione tra abilità precoce di suonare uno strumento musicale e corrispondente sensibilità cerebrale nei confronti dei suoni da parte degli adulti Un recente studio condotto presso la Northwestern University di Chicago e di prossima pubblicazione su Nature Neuroscience, dimostra come l’attività musicale precoce permetta un significativo miglioramento nel modo in cui gli individui decodificano i suoni e colgono le eventuali modificazioni del profilo intonativo. Essere in grado di suonare uno strumento musicale fin dalla più tenera età, costituisce infatti fonte di miglioramento nella capacità di rispondere cognitivamente ed in modo più sensibile ai suoni, ed in particolare al linguaggio umano. Attraverso la presentazione di alcuni filmati ai partecipanti alla ricerca, è stato possibile simultaneamente proporre a questi ultimi, attraverso l’ascolto implicito e non focalizzato, una parola di origine mandarina (“mi”) il cui profilo intonativo ne modifica la valenza nel processo di significazione. Ciò che è stato possibile riscontrare è che per i 10 soggetti (con “alle spalle” almeno sei anni di studio di uno strumento musicale iniziato prima dei 12 anni) l’attività del tronco cerebrale era sicuramente tale da permettere un incremento del livello di sensibilità al suono e alle sue variazioni in confronto invece a chi non aveva avuto mai modo di apprendere l’utilizzo di uno strumento, e questo indipendentemente dal fatto che l’attenzione di tutti i soggetti sperimentali fosse rivolta di fatto ad un altro stimolo: il filmato. Lo studio evidenzia inoltre il ruolo fondamentale svolto dal tronco cerebrale, che tradizionalmente è invece associato a diverse funzioni quali la regolazione automatica del battito cardiaco e della respirazione. Inoltre, in genere l’abilità musicale è strettamente correlata con l’attività cerebrale della corteccia, che svolge un ruolo decisivo anche a livello del linguaggio umano. Attraverso questo studio è stato possibile quindi riscontrare l’interdipendenza di un circuito neurale flessibile, che ha dalla sua la sincronizzazione del tronco cerebrale e della corteccia: questo pattern neurofisiologico da ragione della capacità umana di suonare uno strumento e si configura quale meccanismo neuro-sensoriale in grado di rendere conto di due attività spesso correlate in ambito scientifico: il linguaggio e la musica. Post di Edoardo Santucci Per visualizzare le informazioni rilasciate dalla Northwestern University di Chicago, clicca qui
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Post n°49 pubblicato il 29 Marzo 2007 da celr
La matematica? Una “questione di testa”... Alla base dei problemi di apprendimento con i numeri è stata riscontrata una anomalia del lobo parietale destro Presso la University College London sono state circoscritte le regioni cerebrali disfunzionali che spiegano alcune difficoltà tipiche della discalculia. Tale disturbo si manifesta nell’impossibilità di apprendere i processi implicati nelle operazioni matematiche, nell’effettuare calcoli in modo automatico e nel memorizzare le tabelline; in generale quindi si tratta di un problema specifico legato all’apprendimento del calcolo e delle abilità numeriche ed aritmetiche. Attraverso l’applicazione di uno stimolatore magnetico transcranico, in grado di generare un campo magnetico tale da inibire e disattivare per pochi istanti (frazioni di secondo) alcune aree encefaliche, è stato possibile rilevare che la discalculia dipende da una irregolarità del lobo parietale destro. L’ausilio di tale attrezzatura ha permesso di constatare specifiche problematiche in relazione all’esecuzione di calcoli aritmetici in soggetti che non avevano mai avuto impedimenti nella gestione dei processi cognitivi richiesti per siffatte operazioni. L’inibizione delle regioni del lobo parietale destro, per poche centinaia di millisecondi, influenza quindi i tempi di reazione nei compiti di calcolo. Per visualizzare la notizia originale apparsa su "le Scienze", clicca qui Per visualizzare maggiori dettagli apparsi su "UCL Media Relations", clicca qui Post di Edoardo Santucci ----------------- |
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