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Un blog creato da celr il 27/02/2007

Synaptic Mind

Cosa si dice di nuovo nell'ambito della Psicologia Sperimentale...

 
 

Chi Siamo

Chiara Incorpora
kiaramella83@libero.it 

Edoardo Santucci
edoardosantucci@yahoo.it
Lidia Cristofaro
lidiacr@iol.it

Raffaella Pellegrini
raffyw@yahoo.it

Laureandi in Psicologia della Comunicazione presso l'Universita' Cattolica di Milano.
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Questo blog nasce con l'intento di fornire informazioni aggiornate relative all'ambito della psicologia sperimentale, con particolare attinenza al campo della psicologia cognitiva e delle neuroscienze da un lato, e della psicologia della comunicazione dall'altro.  Data la trasversalita' di queste discipline le ricerche raccolte pertengono a numerosi altri settori limitrofi: dalla clinica alle nuove tecnologie.  L'obiettivo è quindi quello di segnalare notizie che pertengono o ruotano intorno all'ambito della psicologia e che sono state riprese dalle principali ed autorevoli riviste presenti on-line (nazionali ed internazionali).

Per qualsiasi desiderio di approfondimento delle tematiche affrontate, contattaci!

Fai sentire la tua voce!! :)

 

PERCORSI FORMATIVI & MASTER

Corso di Formazione "Strumenti di analisi per la neuropsicologia cognitiva" (Universita' Cattolica di Milano)
Corso di Formazione "Intelligenza Emotiva. Saper Gestire le proprie emozioni" (Universita' Cattolica di Milano)
Corsi di Psicologia della Comunicazione (studio di consulenza privato - Ferrara)
Master in Comunicazione e Problem Solving Strategico (MRI - Arezzo)

 

 

Post N° 58

Post n°58 pubblicato il 06 Aprile 2007 da celr
 

ADDIO MNEMOTECNICHE….

Una ricerca canadese individua un meccanismo responsabile delle accresciute potenzialità mnestiche riscontrate in topolini di laboratorio  

Uno studio condotto presso l’Università McGill di Montreal (Canada) con a capo Mauro Costa-Mattioli, ha scoperto che l’inibizione di uno specifico gene su topolini di laboratorio permette di accrescere drasticamente le capacità mnestiche di questi ultimi. Tale “interruttore” diventa quindi il nucleo centrale sperimentale per questi scienziati, il cui prossimo obiettivo empirico sarà quello di individuare quelle molecole in grado di agire su di esso e di mantenerlo inattivo: non appena infatti questo gene è sullo stato “on” le sorprendenti abilità mnemoniche dei topolini scompaiono.

La proteina individuata e denominata “elF2alfa” attivandosi agisce direttamente su una molecola che sembra deputata a garantire il blocco nel processo di genesi e formazione dei ricordi.

Aspettiamo ulteriori sviluppi, che si potrebbero rivelare promettenti ed efficaci in diversi ambiti: dai processi neurodegenerativi come l’Alzheimer, a tutti quegli spazi di vita in cui il bagaglio mnestico risulta essenziale nei processi di formazione ed evoluzione umana.

Post di Edoardo Santucci

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Post N° 57

Post n°57 pubblicato il 06 Aprile 2007 da celr
 

LA MEMORIZZAZIONE DELLE INFORMAZIONI SOCIALI

Uno studio congiunto della McGill University di Montreal e della Pitié-Salpêtrière Hospital di Parigi, dimostra che la memorizzazione delle informazioni sociali è garantita dalla parte interna della corteccia prefrontale: la corteccia prefrontale mediale.

Com’è possibile ricordare eventi sociali quali per esempio l’ultima festa con gli amici, piuttosto che la discussione con il proprio partner? La nostra capacità di “registrare” questo genere di informazioni, e più precisamente nel ricordarne gli attori e le specifiche interazioni garantisce il nostro completo adattamento e coinvolge una specifica area della corteccia prefrontale, chiamata mediale.

Attraverso la tecnica della risonanza magnetica funzionale, i due gruppi di ricerca hanno potuto misurare l’attività cerebrale di 17 volontari mentre ultimavano un compito di memorizzazione che riguardava stimoli figurativi di eventi sociali (individui in interazione tra loro) e non-sociali (paesaggi privi di persone). Attraverso questa somministrazione differenziata di stimoli visivi è stato possibile rilevare il contributo della corteccia prefrontale mediale nella registrazione e codificazione delle informazioni sociali.

Questo lavoro, pubblicato nel numero di Febbraio 2007 del “Journal of Cognitive Neuroscience”, apre importanti sviluppi circa il modo di comprendere i meccanismi della memorizzazione e specifici disturbi quali la schizofrenia e l’autismo dove le competenze sociali e relazionali sono deficitarie.

Post di Edoardo Santucci

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Un altro articolo interessante, che approfondisce il ruolo svolto dalla corteccia prefrontale mediale 
 
 
 

Post N° 56

Post n°56 pubblicato il 05 Aprile 2007 da celr
 

Il ruolo del nucleo subtalamico nel processo di arresto di un’azione

Il processo di interruzione di un’azione dipende da specifici circuiti cerebrali individuati tramite le tecniche di brain imaging

Come è possibile interrompere un’azione qualsiasi, quale per esempio frenare di colpo il nostro veicolo essendoci accorti che il semaforo sta passando dal giallo al rosso? E come facciamo a bloccarci di fronte ad un ostacolo qualunque?

Presso il Department of Psychology and Brain Research Institute dell’Università della California di San Diego, Adam Aron e Russell Poldrack hanno cercato di rispondere a questo interrogativo (centrale per la conoscenza del pensiero procedurale) individuando attraverso le tecniche di brain imaging i circuiti cerebrali che rendono conto della sospensione dell’azione nell’uomo.

La notizia, pubblicata sul Journal of Neuroscience, mette in evidenza la complessità e l’organizzazione distribuita di un sistema che coinvolge diverse regioni cerebrali attraverso un fascio di neuroni ad "alta connessione" che collega tali aree. Una delle zone cerebrali maggiormente coinvolte sembra il nucleo subtalamico (STN) che, direttamente connesso con il sistema motorio, ha la specifica e diretta funzione di interrompere ciò che l’individuo sta facendo: siamo quindi di fronte al vero e proprio "meccanismo di frenata" della nostra azione. Secondo gli autori il ruolo di quest’area è quello di far cessare l’output talamocorticale, a questo proposito interrompendo l’esecuzione dell’azione.

Assieme a tale area sembra coinvolta anche la corteccia frontale inferiore destra (IFC) che ha la funzione di indicatore di regolazione neurofisiologica per la messa in atto dell’interruzione volontaria dell’atto medesimo.

I risultati di questa ricerca (che hanno richiesto due diverse fasi sperimentali) suggeriscono quindi che i processi di esecuzione e di inibizione dell’azione correlano con differenti pattern neurali.

Ma dove e soprattutto in che modo si genera la decisione di eseguire la funzione di controllo? A questa domanda non c’è ancora risposta, tuttavia gli autori menzionano il ruolo svolto da un’ulteriore regione: l’area motoria presupplementare che si è sempre ritenuto essere deputata all’ osservazione e alla gestione dei feedback preveniente dall’ambiente esterno, che talvolta colludono con la pianificazione dell’azione. Ulteriori funzioni di tale area sono quelle dell’organizzazione sequenziale dei movimenti che costituiscono l’azione e della loro ideazione.

L’importanza di questo sistema neurale ad alta velocità che collega aree cerebrali tra loro distanti, sembra centrale anche per la gestione espressiva delle emozioni e dei pensieri; per cui è plausibile ipotizzare un unico meccanismo di regolazione per pensieri, azioni ed emozioni.

Post di Edoardo Santucci

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Per visualizzare l'articolo completo pubblicato su "The Journal of Neuroscience" clicca qui

 
 
 

Post N° 55

Post n°55 pubblicato il 04 Aprile 2007 da celr
 

Se mi [svegli] non vale….

Una ricerca condotta presso la Johns Hopkins University segnala che continui disturbi nel ciclo del sonno possono indurre episodi cronici di dolore

Uno studio condotto presso la Johns Hopkins University, sostiene che continue molestie del ciclo del sonno danneggino le funzioni endogene inibitorie del dolore, aumentando conseguentemente la probabilità di esperire episodi acuti di sofferenza fisica. E’ questa la conclusione a cui sono arrivati gli studiosi della sopra citata Università che hanno messo a punto un paradigma sperimentale applicato a 32 partecipanti di sesso femminile in buona salute e che sono state costantemente monitorate per sette notti consecutive.

Durante le prime due notti le partecipanti alla ricerca dormirono indisturbate per otto ore ininterrotte. Successivamente gli sperimentatori divisero i soggetti in tre specifici gruppi: di “controllo”, di “risveglio forzato (FA)” e di “opportunità di sonno limitato (RSO)”. Nel periodo compreso tra la terza e la quinta notte, il gruppo di controllo continuò a dormire indisturbato, mentre il secondo gruppo (FA) venne sottoposto ad 8 risvegli forzati (uno per ora), ed infine il terzo gruppo (RSO) subì semplicemente una privazione parziale del ciclo del sonno a seguito di un ritardo prestabilito sul tempo del riposo notturno complessivo.

Il sesto giorno quindi, ai gruppi sperimentali (FA e RSO) venne sottoposta un ulteriore privazione del sonno, seguita da un periodo di recupero e riposo.

A seguito dell’attività di assessment dei parametri fisiologici dei partecipanti alla ricerca, fu possibile così constatare che il gruppo FA segnalava livelli significativamente superiori di dolori spontanei ed involontari, mentre nessun altro dei due gruppi segnalò alterazioni nelle funzioni inibitorie del dolore o sofferenze fisiche spontanee dovute alla privazione parziale del sonno.

“Questo studio evidenzia che profili intermittenti ed interrotti dell’attività di riposo, altera i sistemi naturali fisiologici che organizzano il controllo del dolore e può condurre a manifestazioni sintomatiche di dolore istintivo”, dice Smith. “La nostra ricerca mostra che l’interruzione del ciclo del sonno, caratterizzato da continui e prolungati risvegli, deteriora e danneggia i meccanismi di controllo del dolore che si crede giochino un ruolo centrale nello sviluppo, mantenimento ed aggravamento dei dolori cronici”.

Studi recenti associano la carenza di sonno a gravi problemi di salute quali l’aumento della probabilità di incorrere in fenomeni di depressione, obesità, malattie cardiovascolari e diabete.

Post di Edoardo Santucci

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Post N° 54

Post n°54 pubblicato il 04 Aprile 2007 da celr
 

Il farmaco “anti-alcool”

Scoperta l’azione di una molecola in grado di ridurre il consumo quotidiano di alcool e le eventuali recidive 

Una ricerca condotta presso l’Università di Camerino, sostenuta dalla casa farmaceutica Eli Lilly e supervisionata dal National Institute of Health (USA), ha permesso lo sviluppo e la sperimentazione su topolini da laboratorio di un nuovo farmaco che sembra in grado di ridurre il consumo giornaliero di alcool e di eventuali ricadute in questi animaletti. Il farmaco è definito in sigla allo stato attuale come MTIP, e sembra in grado di inibire la reazione del recettore per il fattore di rilascio corticotropo CRF1 e conseguentemente di ridurre l’uso di alcool e le eventuali recidive dopo la detossificazione.

La sperimentazione della nuova molecola di proprietà della ditta farmaceutica di cui sopra, si basa sull’ipotesi del gruppo di lavoro di Camerino, guidati da Roberto Ciccocioppo, secondo cui la predisposizione all’alcolismo e le possibili ricadute verso alcune sostanze che procurano dipendenza siano la conseguenza di modificazione geniche. L’assunzione smodata di alcol e droghe altera le funzioni neurologiche dell’uomo e costituisce quindi un presupposto per l’insorgenza di malattie mentali.

L’azione della molecola, testata sui topi, ha avuto quindi l’obiettivo di ridurre il consumo quotidiano di alcol e le eventuali recidive, attraverso un’azione neuronale inibente il desiderio di bere, anche in quelle situazioni stressanti in cui il ricorso all’alcol può costituire un facile e veloce viatico.

Attraverso la selezione di topi caratterizzati da un elevato consumo di alcol e qualificati da una specifica mutazione per il gene che codifica la proteina recettoriale CRH-R1 in grado di intervenire sull’ormone deputato al rilascio corticotropo, è stato possibile giungere alla conclusione che il farmaco sia estremamente efficace a questo livello di sperimentazione.

Le applicazioni di tale composto sembrano andare oltre l’azione anti-alcolismo poiché efficaci, secondo gli autori di questa ricerca, anche per le terapie che coinvolgono forme di depressione ed ansia.

Si attendono ulteriori sviluppi per osservarne l’efficacia in fase di sperimentazione sull’uomo, dato che ad oggi è stato testato solo sui topolini.

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Post di Edoardo Santucci

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