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Post N° 38

Post n°38 pubblicato il 14 Ottobre 2005 da unaqualunque_s
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Ed era come metterle addosso un mantello, circoscriverla in un luogo, nella stanza chiusa del suo nome, lei e nessun'altra.
"Italia", e adesso carezzavo il legno della porta.
Arrivò un guaito, una zampa che raspava, e riconobbi il cane.
Aveva preso a ringhiare, quella bestia cieca, misera come la sua padrona.
Un ringhio soffocato, subito stanco, da cane vecchio.
Sorrisi.
Tornerà, se ha lasciato il cane vuol dire che tornerà, e io l'aspetterò.
Farò i fatti miei nel suo corpo per l'ultima volta.
Una macchina passò sul viadotto, la luce dei fari bagnò le mura della casa.
Tra i mattoni sopra la mia testa, qualcosa brillò nel buio.
Allora mi ricordai della chiave.
Allungai un braccio e la trovai tra i mattoni sconnessi, nel suo pezzo di gomma americana masticata.
Strinsi la mano.
Ed era proprio come se agguantassi lei.
Non dovevo farlo, ma intanto già cercavo nel legno la fessura dove infilare quella chiave appiccicosa.
Dentro, il buio totale, e il solito odore, solo più fermo.
Ero nella sua casa, e lei non c'era, e quell'abuso mi eccitava...e adesso mi piaceva pensare che quella chiave appiccicata nel vano della porta non era un caso, ma l'aveva lasciata lì per me.
Tastai il nuro intorno.
Trovai l'interrutore, dentro un pomo di ceramica sbreccata.
Una lampadina economica si accese in mezzo alla stanza.
Il cane cieco era davanti a me con i suoi occhi bianchi, un'orecchietta dritta, l'altra floscia.
Davvero un misero guardiano.
Spensi.
No, nessuna luce, l'avrei aspettata al buio.
Il buio mi nascondeva da me stesso.
Feci qualche passo a tentoni e sprofondai nel divano.
La casa era imbevuta di silenzio.
C'erano solo i piccoli rumori del mio corpo di invasore, e il respiro del cane, che si era infilato al suo posto sotto il divano.
Cominciavo ad abituarmi all'oscurità e ora distinguevo le sagome del mobilio, i gruppi neri dei soprammobili, e il rilievo del caminetto contro il muro.
Sembrava un altare smesso.
Perchè nel buio la casa aveva una sua sacralità, e un suo abbandono.
Lei c'era, nell'assenza, c'era ancora di più.
L'ultima volta l'avevo trascinata sul divano.
Non c'eravamo guardati mai.
Mi chinai per cercare dove, tra il bracciolo e la spalliera, lei aveva inabissato i suoi sussulti.
Ginocchi in terra, struscai il viso nell'oscurità.
Italia era stata così, braccata in quell'angolo.
Frugavo con le narici, con la bocca...cercavo quello che lei doveva aver sentito mentre la prendevo.
Volevo essere lei per sentire l'effetto che io provocavo nella sua carne.
Nemmeno tentai di resistere.
Corsi in fretta verso il precipizio senza quasi accorgermene.
Il piacere si allargò nella pancia tiepido e profondo, entrò nelle spalle, nella gola.
Proprio come il piacere di una donna.
Ma tornai presto uomo, Angela, e non mi rimase nessuna dolcezza.
Solo l'odore del mio fiato mentre gli ultimi sussulti morivano dentro quel divano.
E il disagio, e un'improvvisa tristezza, che in quel buio violato era ancora più triste.
Avevo le gambe anchilosate ed ero sporco come un adolescente.
Accanto ai miei ginocchi c'era quel cane che non si era perso uno spasimo della mia foia.
Mi tirai su e urtando contro le cose cercai il bagno.
Trovai una porta e un filo elettrico sul muro, lo seguii fino all'interrutore.

 
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