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Post N° 40

Post n°40 pubblicato il 14 Ottobre 2005 da unaqualunque_s
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Non è una domanda del cazzo, Manlio, te ne accorgi in ritardo, mentre guardi una turista che passa abbracciata a un gigante in bermuda.
Adesso hai una faccia amara.
Più tardi gli dico che non è vero, che non vado a puttane.
Lui si irrita ma continua a ridere, gli si arrossa il viso, dice che sono un stronzo, "il solito stronzo" dice.
Però intanto la noia se n'è andata, la serata ha fatto un salto, si è infilata dentro le stanze più intime, dove balugina qualcosa che sembra la verità, e forse lo è, e Manlio mentre cammina verso la macchina assomiglia a un uomo sincero.
Disperato.
Ci salutiamo rapidamente, due colpi battuti sulla spalla, pochi passi nel buio, e siamo già distanti, ognuno lungo il proprio marciapiede.
Dell'altro nessun residuo.
La nostra è un'amicizia igienica.
Potrei dirti, Angela, che le ombre dei lampioni sembravano cadermi addosso come uccelli morti, e in quella caduta sul parabrezza io vedevo scrosciare tutto ciò che non avevo. e potrei dirti che mentre guidavo forte, e le ombre piombavano più veloci, montava in me il desiderio di colmare questa mancanza con una zeppa qualunque.
Potrei dirti molte cose che ora sembrerebbero vere, ma che forse non lo sono state.
La verità non la so, non la ricordo.
So solo che guidavo verso di lei senza nessun pensiero preciso.
Italia non era nulla.
Era il nero stoppino di un lume a petrolio, il fuoco era oltre di lei, il quella luce oleosa che avvolge i miei bisogni e tutto ciò che mi mancava.
Cominciava il lungo viale alberato dove si stagliavano figure mercenarie.
I fari della mia auto battevano contro i corpi fluttuanti come meduse nella notte.
Li folgoravano di luce prima di restituirli all'oscurità.
Rallentai accanto a uno degli alberi:
La ragazza che venne verso la mia auto aveva gambe di rete nera e una faccia perfetta per la sua mercatura, aspra e infantile, torbida e malinconica: la faccia di una puttana.
Gracchiò qualcosa, forse un insulto. mentre la lasciavo scomparire nello specchietto retrovisore.
C'era.
Quella notte, c'era.
La porta si aprì dolcemente, il cane si affacciò sul terrapieno, venne a odorarmi, a scodinzolare tra le mie gambe e sembrò riconoscermi.
Italia era lì, davanti a me, la mano bianchissima ferma sulla porta.
La spinsi dentro con il mio corpo.
Forse stava già dormendo perchè la sua bocca era più forte del solito.
Mi piacque.
Le catturai i capelli, la costrinsi a piegare il collo, ad abbassarsi.
Mi strofinai il suo viso contro lo stomaco.
Lì, dove il pensiero di lei mi faceva male.
Curami, curami...
Mi chinai e le passai la bocca su tutto il viso.
Le spinsi la lingua nei buchi del naso, nel sale degli occhi.
Più tardi era seduta sul divano, con una mano si tirava giù un lembo della maglietta per coprirsi il sesso.
Mi aspettava così mentre uscivo dal bagno.
Mi ero lavato sul bordo della vasca accanto a quella tenda muffita che cadeva dall'alto.
Mi avvicinai, le presi un ciuffo di capelli, le scossi la testa, intanto le infilavo i soldi nella mano.
Indugiai su quella mano priva di forza, gliela strinsi sotto  la mia per costringerla.
Lei accettò, come si accetta il dolore.
Dovevo andarmene, non potevo riacchiappare me stesso davanti a lei.
Sarebbe stato sconveniente, come guardare indietro i propri escrementi.
Anche tu vuoi restare sola, ormai ho imparato a conoscerti.
Fai quello che voglio, poi scompari, come una zanzara quando viene giorno, ti metti dentro i fiori del tuo divano e speri solo che io non mi accorga di te.
Sai di valere solo nella foia, sai che quando mi stringo il nodo della cravatta prima di andarmene ho già schifo di tutto.
Non hai il coraggio di  muoverti finchè ci sono io, non hai il coraggio di farti vedere il culo mentre vai in bagno.
Forse hai paura di finire uccisa, hai paura che io ti scaraventi nell'argilla di quel fiume secco, come quella macchina nera che è venuta giù dal viadotto.
Non sai che la mia rabbia finisce quando ti muio dentro, e che dopo sono un leone sleonato.
Cosa fai quando me ne vado?
Cosa ti lascio?
Questo camino spento, questa stanza divelta da me, che ti ha offesa nel cuore della notte senza nemmeno amarti.
Il cane ti verrà vicino, avrai bisogno di quel pelo, lo carezzerai con gli occhi fissi altrove.
Tanto, lui è cieco.
Ti verranno su cose della tua storia passata, chiodi.
Poi, tornerà la confidenza con ciò che c'è, ti alzerai, metterai in ordine qualcosa, una sedia capovolta.
E non hai bisogno di tenerti giù la maglietta, mentre ti chini senti il taglio nudo delle natiche e non ci fai caso.
Il tuo corpo senza i miei occhi in giro vale quello che vale, vale come una sedia, come una fatica.
Ma rialzandoti sentirai un filo del mio seme scivolare lungo una tua gamba e allora non lo so, ma vorrei saperlo.
Vorrei sapere se provi schifo, oppure...
No, lavati in fretta, puttanella, infilati sotto la tua tenda muffita, a colpi di spugna levati di dosso la merda e i fantasmi di questo balordo.

 
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