Abbiamo fatto l'amore, poi non ci siamo più mossi, ascoltiamo il rumore delle macchine sul viadotto, così vicine che sembrano passare sul tetto.
Devo vestirmi e tornare a casa, ma fatico a lasciare quella pece che ci tiene prigionieri.
Dove sono i calzini, i pantaloni, le chiavi della macchina...
Ma intanto resto fermo.
Domani parto, devo intervenire a un congresso di chirurgia oncologica, non ho nessuna voglia di andarci.
Italia mi accarezza un braccio lentamente, sta misurando la solitudine che le resterà addosso.
Visualizzo il salone della conferenza, i miei occhiali, il mio viso dietro al mio nome stampato, i colleghi con la foto plastificata appesa alla giacca, l'accappatoio dell'hotel, il frigo bar nella notte...
"Vieni con me."
Si gira sul cuscino, ha gli occhil arghi, incredibili.
"Vieni."
Scuote la testa.
"No, no."
"Perchè?"
"Non so cosa mettermi."
"Vieni in mutande, stai benissimo in mutande."
E più tardi, nel cuore della notte, sto correggendo la mia relazione, la scorro, vado avanti e indietro con una lapis rosso, sottolineo, casso, aggiungo, le telefono.
"Stavi dormendo?"
"E' meglio che non vengo, vero?"
"Passo alle sei. E' troppo presto?"
"Se ci ripensi non ti preoccupare."
E alle sei del mattino è già in strada, già truccata.
Un pagliaccio nel grigio.
La bacio, ha la pelle ghiaccia.
"Da quanto tempo aspetti?"
"Sono appena scesa."
Invece è gelata.
Ha una giacca con le spalle troppo imbottite che le salgono sul collo, nera a maniche corte.
La pelle delle braccia è chiazzata come marmo.
Si strofina le mani nella fessura tra le gambe.
Accendo il riscaldamento al massimo, voglio che abbia subito caldo.
Ha una faccia spiritata, persino gli occhi hanno freddo.
Sul sedile non si muove, non si aggiusta, rimane così, rigida, con il busto leggermente discosto dal sedile.
Poi il caldo la fa rilassare, mentre l'auto fugge verso la striscia deserta dell'autostrada.
Le tocco la punta del naso.
"Va meglio?"
Lei sorride, annuisce.
"Ciao" dico.
"Ciao" risponde.
"Come stai?" e le infilo una mano tra le gambe.
E' una cittadina di tufo e sensi unici e frecce che ti rimandano sempre nella stessa rotonda.
Lascio la macchina in un parcheggio.
Ne abbiamo parlato, ho prenotato una stanza a suo nome.
Non posso correre rischi, al congresso partecipano molti colleghi, ci sarà anche Manlio.
Per strada restiamo un pò discosti.
Italia è più preoccupata di me, non sa dove andare ma cammina impettita.
Si è portata una valigia a rotelle, troppo grande per pochi giorni.
Mezza vuota, le cammina storta accanto.
Io invece sono abituato ai viaggi brevi, ho una sacca di pelle, piccola, funzionale, elegante, un regalo di Elsa.
Stamattina non ho la pancia, ho stretto di un buco al cintura.
Avanzo leggero, di ottimo umore, mi sento un ragazzo in gita scolastica.
Da dietro le tocco il sedere.
"Pardon, signorina."
Lei è seria, non si volta a guardarmi, sa di essere un'intrusa.
Indossa quella misera giacca per essere meno vistosa.
La chiave mi arriva subito nelle mani.
Italia parla con l'uomo dietro il banco della reception.
Due colleghi mi raggiungono, ci salutiamo.
"La sauna è già calda o bisogna aspettare?" chiedo alla ragazza in gilet blu che registra il documento, una scusa per attardarmi lì accanto.
L'uomo davanti a Italia ha una matita in mano e scorre l'elenco delle prenotazioni.
Lei si volta verso di me con uno sguardo sperduto.
Mi avvicino.
"C'è qualche problema qui per la mia collega?"
L'uomo alza gli occhi e mi guarda, poi lancia un'occhiata stravagante a Italia.
"Stiamo vedendo di sistemarla, la signora non è accreditata."
Inviato da: minsterr999
il 25/03/2009 alle 08:08
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