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Post N° 52

Post n°52 pubblicato il 03 Novembre 2005 da unaqualunque_s
Foto di unaqualunque_s

Il piccolo corpo della mia amante era curvo sulla sponda del letto, guardavo il punto dove la schiena magra di allargava sulle natiche.
L'avevo leccata, la mia lingua aveva viaggiato dalla scriminatura dei suoi capelli fino ai piedi, si era infilato in ogni fessura, tra dito e dito.
Lei aveva avuto piacere e freddo insieme, la sua pelle si era aggricciata al mio passaggio.
Sentivo di volerla amare così, tratto a tratto, nell'immobilità, nel silenzio.
Non era più come era stato, non erano più amplessi furiosi, ciechi, i nostri.
Avevo preso l'abitudine di tenerla lì ferma sul letto solo per baciarla.
Volevo che attraverso le mie cure lei percepisse se stessa.
Con la lingua dolorante la solcavo, senza più saliva alla fine.
Era impudica, quasi sfacciata nel sesso, invece si vergognava delle callosità che indurivano le piante dei suoi piedi, si vergognava dell'amore.
Solo in ultimo la prendevo, quando ero già stanco, m'infilavo dentro di lei, come un cane.
Un cane che ha corso giorni e giorni tra sterpi, rovi, sassi, e slombato ritrova la sua cuccia.
"Lasciami" sussurra.
La sua voce è sottile e fredda come un filo di metallo.
"Cosa dici..."
Mi avvicino, le carezzo quella schiena solitaria.
"Io non posso, non posso più..." e scuote la testa.
"E' meglio adesso, sai, adesso."
Si è presa il viso tra le mani: "Se mi vuoi un pò di bene, lasciami".
La stringo forte, i suoi gomiti si piazzano nella mia pelle.
"Io non ti lascerò mai."
E sono quasi certo di quello che dico che il mio corpo s'indurisce, ogni mia fibra s'indurisce mentre l'abbraccio, come se una corazza di forza si fosse stretta intorno a me.
E restiamo così, ognuno con il mento nella spalla dell'altro, a guardare nel proprio vuoto.
Cosa vuol dire amare, figlia mia?
Tu lo sai?
Amare per me fu tenere il respiro di Italia nelle braccia e accorgermi che ogni altro rumore si era spento.
Sono un medico, so riconoscere le pulsazioni del mio cuore, sempre, anche quando non voglio.
Te lo giuro, Angela, era di Italia il cuore che batteva dentro di me.
E faceva sempre un sogno.
Sognava che il suo treno partiva senza di lei.
Arrivava in anticipo alla stazione, aveva un abito buono addosso, comprava una rivista, poi camminava sotto la pensilina, tranquilla.
Il treno era lì che l'aspettava, un treno elegante, rosso e grigio, diceva.
Stava per salire, ma ecco che perdeva tempo, frugava nella borsetta, cercava il biglietto.
Voleva leggere la destinazione, per quello perdeva tempo.
Il treno si staccava dai binari, e lei rimaneva lì, e non aveva più la borsetta, nè le scarpe.
La stazione alle sue spalle era vuota e lei era nuda, "come in un quadro" diceva.
Mi raccontò che questo sogno l'aveva straziata a lungo fin da giovanissima, poi si era smarrito, e solo con me era riapparso.
Io credo che nei sogni ci puniamo, Angela, difficilmente ci premiamo.
"Dammi la mano" disse, "la sinistra."
L'allargò, passò il suo palmo sul mio come volesse pulirlo, sgombrarlo dal pulviscolo si altre cose che non ci riguardavano.
"Hai la vita lunga, con un taglio al centro."
Io non credo a queste scemenze, scrollai le spalle.
"Cosa vuoi dire?"
"Che sopravviverai."
Ma ora mi chiedo se quel taglio eri tu, Angela.
Se Italia ti ha incontrata nella mia mano.
"Ora stringi forte, così vediamo i figli."
Scrutò tra le pieghe del mio pugno, accanto al mignolo.
"Ce n'è uno, anzi, due. Bravo" rise.
"E tu?" dissi.
"Fammi vedere la tua mano, com'è la tua vita?"
Si alzò in piedi senza smettere di ridere.
"E' lunghissima, non ti preoccupare, l'erba cattiva non muore mai, mia madre mi chiamava Gramigna."
Quando ci salutammo mi corse dietro, si aggrappò a me.
"Non mi prendere mai sul serio quando ti dico di lasciarmi. Tienimi, ti prego, tienimi. Vieni quando ti pare, una volta al mese, una volta all'anno, ma tienimi..."
"Certo che ti tengo. Io ti amo, Gramigna."
Scoppiò a piangere, eruttò pianto, una lava di lacrime che mi bruciava addosso.
"Perchè?"
Si era staccata dal mio abbraccio.
La faccia rossa, gli occhi rossi fissi nei miei, adesso mi prendeva a pugni un braccio: "Scopo da quando ho dodici anni, e nessuno mi ha mai detto ti amo. Se mi prendi in giro, ti ammazzo!"
"Con questi pugnetti?"
"Si."

 
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