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Post N° 60

Post n°60 pubblicato il 20 Gennaio 2006 da unaqualunque_s
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E' arrivata in centro con l'autobus, l'ho aspettata accanto alla fermata, mi ha sorriso.
Non so se soffre, non ne abbiamo parlato.
Forse ha già abortito altre volte, non gliel'ho chiesto.
Sembra tranquilla.
Si è seduta accanto a me e non ci siamo baciati.
In centro non corriamo questi rischi.
E' una passeggera prudente, una creatura in transito fuori dal suo recinto.
Stamattina è più severa, indurita come il cardigan che indossa.
Succhia la sua croce d'argento, e sento che c'è qualcosa che le manca, qualcosa che ha dimenticato nella sua piccola tana.
In lei c'è una riservatezza che mi lascia un pò solo.
Forse sarebbe stato più facile averla accanto piagnucolosa e malinconica, come me l'aspettavo, invece lei stamattina sembra forte, ha occhi vispi, combattivi.
Forse è meno delicata di quello che ho creduto, forse sta solo cercando di farsi coraggio.
"Vuoi fare colazione?"
"No."
La clinica privata dove Manlio lavora è una villa d'inizio secolo circondata da un parco di alberi d'alto fusto.
Percorriamo il viale in salita fra i tronchi scuri, fino allo slargo dove ci sono altre macchine.
Italia guarda quella costruzione dall'intonaco rossiccio.
"Sembra un albergo."
Sa quello che deve fare, le ho spiegato tutto, andrà all'accettazione e dirà il suo nome, la stanno aspettando, c'è una camera prenotata.
Io naturalmente non posso rimanere, è già sconveniente che l'abbia accompagnata fin lì.
La chiamerò nel pomeriggio.
Salendo lungo il viale, Italia non se ne accorta, le ho guardato la pancia, per un attimo ho creduto che si potesse già vedere qualcosa, un rigonfiamento.
Non so cosa ho creduto di cercare lì sotto, qualcosa che non avrei visto...
E una ruota si è affossata in una cunetta, ho dato gas, ho sentito uno sbalzo, qualcosa di cui avrei avuto nostalgia per sempre.
Se è vero che il tempo ha pratiche diverse da quelle che crediamo, e se una vita intera può affacciarsi in un lampo, io credo di aver visto in quella frazione di secondo mentre sterzavo per non finire in quella cunetta, lo strazio che aspettava, ho visto anche te, Angela, il tuo ematoma sul diafanoscopio.
C'è stato un salto nella stanza circolare del tempo piena di porte che sono tutte lì, nel cerchio, senza un ordine d'ingresso, quando l'irreale si affaccia e diventa lecito.
Ho fermato la macchina sullo slargo davanti alla clinica.
Italia ha guardato la porta scorrevole di vetri bruniti, le ho raccolto la mano e l'ho baciata.
"Non ti preoccupare, è una sciocchezza."
Si è voltata e ha preso la sua borsa patchwork.
"Vado."
Scende e va dritta verso l'ingresso.
Sto facendo manovra per andarmene.
Nello specchietto vedo i suoi passi, più instabili del solito, forse per colpa della ghiaia.
Ma so che non cadrà, è abituata a quei tacchi troppo alti, a quella borsa troppo lunga tra le gambe.
Invece cade, un ultimo passo e si accascia di botto.
Riacchiappa la borsa, ma non si alza, resta lì accovacciata in terra.
Non si volta, è convinta che io sia già andato via.
Non ti muovere, dico, senza sapere quello che dico.
E forse lei sa che ci sono.
Non ti muovere.
Perchè ora mi sembra che quella parte di lei che mancava l'abbia raggiunta, come un brandello di stracci alati le sta coprendo la groppa.
Lascio lo sportello aperto e corro sulla ghiaia.
"Cos'hai?"
"La colazione...forse è meglio se la faccio."
L'aiuto a rialzarsi, e mentre l'abbraccio sollevo lo sguardo oltre la sua testa.
Al primo piano, dietro una grande finestra scura c'è un uomo in camice che ci sta guardando.
Ma sì!
Ma se anche finisse adesso, se entrassimo nel buio così.
Ho questi occhi addosso, questa mano unta che mi trattiene.
Nessuno mi ha mai amato così, nessuno.
Non ti porterò lì dentro, nessuna cannula ti pulirà.
Io ti voglio, e adesso sono forte e troverò il modo per non offenderti più.
"Pensa a te, pensa a te, davvero" sussurra.
Io ho già deciso, io ti amo.
E se vuoi la mia testa, dammi un'accetta, ti darò la testa di un uomo che ti ama.
"Andiamocene."
E lo dicevo a nostro figlio, Angela.
Una piccola foglia rossa era caduta senza rumore sul vetro della macchina, e lì era rimasta accanto al tergicristalli.
Una foglia rossa, dalla nervatura esile, forse la prima della sua stagione, era caduta per noi.

 
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