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Post N° 62

Post n°62 pubblicato il 28 Gennaio 2006 da unaqualunque_s
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Non ho nulla da rimproverarle, o forse troppo.
Non la amo più, e forse non l'ho amata mai davvero, sono stato sedotto da lei.
Ho subito la sua tirannia, a tratti estasiato, a tratti intimorito, e infine con sommessa fatica.
Se la guardo attentamente adesso, tanto lei non si accorge di me, sta facendo l'inventario dei cosmetici nel beauty-case, se la guardo adesso, che ha uno sguardo fisso e ottuso, la mascella rilassata, adesso penso: Che ci fa questa donna qui?
Che c'entra con me?
Perchè non sta nella casa di fronte con quell'uomo che ogni tanto vedo passare in mutande, un uomo con un pò di pancia ma nerboruto?
Perchè non attraversa la strada, s'infila nell'altro portone, e va nel letto di quell'uomo a frugare lì nel suo beauty-case?
Si, sarebbe meglio se fosse lì adesso, con quella faccia un pò abbovata.
Magari io prendo la piccolina, quella rossa che vive accanto all'uomo nerboruto con la pancia, magari è simpatica, magari parliamo un pò, magari le piace sentire i pensieri di uno che tutto il giorno sbuzza la gente.
Guardo mio moglie e non c'è una sola cosa che mi piaccia di lei, una sola cosa che m'interessi.
I suoi capelli sono bellissimi, è vero, ma per il mio gusto sono troppi, il suo seno è perfetto, pieno senza essere esagerato, eppure non ho nessun desiderio di toccarlo.
Si sta infilando gli orecchini, ha già chiamato il taxi.
Le lascio tutto, non discuto su nulla, non mi metto a dividere neanche i libri, butto qualcosa in una valigia e me ne vado.
Ciao.
"Ciao, io vado."
"Dov'è che vai?"
"A Lione, te l'ho detto."
"Mandami una cartolina."
"Una cartolina?"
"Si, mi farebbe piacere. Ciao."
Elsa ride, prende la sua borsa di camoscio maculato e esce dalla stanza.
Chissà se lo scrittore berlinese ha il cazzo floscio come una papalina o rigido come un képi?
Baciai l'ombelico di Italia.
Era un ombelico grinzoso e rientrante.
Quel piccolo nodo di carne mi risucchiava a sè.
Lì si era stretto il suo laccio con la vita.
Ora mi sembrava di poterlo penetrare, di poter schiudere con le labbra quell'uscio molle per infilarci dentro il capo, poi le spalle, una alla volta, e tutto me stesso.
Si, volevo essere nel suo ventre, attorcigliato e grigio come un coniglio.
Chiusi gli occhi nella mia saliva.
Ero un neonato nel suo fondo d'acqua.
Fammi nascere, fammi rinascere, amore mio.
Avrò più cura di me stesso, ti amerò senza maltrattarti.
Aprii gli occhi, guardai il poco che c'era intorno, la cassettiera laccata, lo scendiletto a righe stinte, e, oltre i vetri, il grigio pilastro del viadotto.
E poi la foto di quell'uomo appoggiata allo specchio.
"Chi è?"
"Mio padre."
"E' vivo?"
"Non lo vedo da troppi anni."
"Come mai?"
"Non era un uomo per la famiglia."
"E tua madre?"
"Lei è morta."
"E non hai fratelli, sorelle?"
"Tutti più grandi di me, tutti sparsi in Australia."
"Mi pacerebbe vedere il tuo paese..."
"Non c'è niente. C'era una chiesa bella, ma l'ha tirata giù il terremoto."
"Non importa, voglio vedere dove sei cresciuta, la strada dove abitavi."
"Perchè?"
"Per sapere dove stavi quando non ti conoscevo."
"Stavo qui dentro", mi toccò la pancia, e la sua mano era caldissima.

 
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