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Post N° 18

Post n°18 pubblicato il 09 Agosto 2005 da unaqualunque_s

Il viso di mia madre mi passò davanti agli occhi, tanti suoi sorrisi in sequenza, fino all'ultimo, il viso serrato dalla morte, quando chiesi ai becchini ancora un attimo per poterlo guardare.
Scossi la testa con un moto d'ira per scacciare quel pensiero.
Ora camminerò fino alla mia macchina, pagherò il meccanico, metterò in moto e arriverò da Elsa.
Avrà i capelli ancora umidi, e la sua camicia di garza ciclamino.
Andremo in quel ristorante, in quel tavolo in fondo dove con il buio entrano le luci del golfo.
Lascerò guidare lei, così potrò posare la testa sulla sua spalla...
Non parve sorpresa, anzi ebbi la senszione che mi aspettasse.
Arrossì mentre ritraeva per farmi entrare.
Involontariamente feci un passo maldestro e urtai lo scaffale sul muro.
La bambola di porcellana cadde in terra.
Mi chinai a raccoglierla.
"Non si preoccupi" disse, e oscillò verso di me.
Indossava una maglietta diversa, bianca, con un vistoso fiore di strass.
"La macchina?" sussurrò.
La sua voce era incerta, come la sua bocca senza più rossetto.
Guardai oltre le sue spalle, la casa ordinata e miserevole, e mi parve ancora più triste di poco prima.
Ma non provai nessun fastidio, anzi provai un misterioso piacere sentendo che tutto intorno a me era davvero squallido.
"La stanno aggiustando."
Sentii lo strofinio delle sue mani, ce le aveva dietro la schiena.
Abbassò lo sguardo, poi lo rialzò.
Mi sembrò che tutta la sua figura vibrasse impercettibilmente, forse ero solo ubriaco.
"Vuole telefonare?"
"Si."
Tornai in camera, tornai con le mani su quella ciniglia tabacco.
Guardai il telefono, lo guardai come un attrezzo di plastica che non mi avrebbe messo in comunicazione con nulla.
Non lo sfiorai nemmeno.
Chiusi il cassetto del comò.
Aggiustai il Cristo storto sul muro.
Mi alzai, e mi diressi verso la porta, volendo andarmene e basta.
La vodka mi aveva restituito una testa sgarbata.
Forse non vado al mare, forse torno in città, mi metto a dormire, non ho voglia di niente, di nessuno.
"Ha trovato qualcuno?"
"No."
C'è quel camino spento dietro di lei, vuoto e nero come una bocca sdentata.
La prendo per un braccio e la trattengo.
Lei respira a bocca aperta.
Il suo alito è quello di un topo.
In quell'improvvisa vicinanza il suo volto si deforma.
Gli occhi pesti sono immensi, si dibattono tra le ciglia come due insetti progionieri.
Le sto torcendo il braccio.
E' così estranea e così vicina a me.
Penso ai falchi, al terrore che ne avevo da ragazzino.
Alzo la mano per scaraventarla lontano, lei. i suoi ninnoli, la sua miseria.
Invece afferro quel fiore di strass e me la tiro contro.
Cerca di mordermi la mano, la sua bocca si agita nel vuoto.
Ancora non so di cosa deve aver paura, non conosco le mie intezioni.
So solo che con l'altra mano le sto stringendo forte quei capelli di rafia, glieli ho presi a mazzo e la trattengo come una pannocchia.
Poi le vado addosso con i denti.
Le sbrano il mento, le labbra dure di paura.
La lascio gemere perchè ora ne ha motivo.
Ora che le ho strappato dal petto quel fiore di strass, ora che le raccolgo i seni scarni e li strofino.
E lem ie mani sono già tra le sue gambe, tra le sue ossa.
Non assiste alla mia furia.
Abbassa il viso sul collo, alza un braccio vago nell'aria, e quel braccio trema.
Perchè le ho trovato il sesso, magro come il resto, e già agguanto il mio.
La spingo contro il muro, presto.
E prima ancora di presto.
La testa gialla scaravenata in basso, lei è una marionetta slentata contro il muro.
La tiro su per le mandibole, le colo nell'ansa delle orecchio.
La mia saliva corre lungo la sua schiena, mentre mi muovo nel suo cesto di ossa come un predatore dentro un nido usurpato.
Così faccio scempio di lei, di me, di quel pomeriggio balordo.

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