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Post N° 29

Post n°29 pubblicato il 29 Agosto 2005 da unaqualunque_s

Era magra magra, in controluce.
Sembrava uno di quei piccoli invertebrati dall'esoscheletro anemico che emergono dalla terra in primavera.
Così lei sembrava affiorare da una fatica.
Andava verso la sua casa in un giorno qualunque della sua misera vita, senza stupore.
Che carattere aveva?
Perchè si truccava così tanto?
La borsa di patchwork a tracolla le sbatteva tra le gambe.
Dovevo andarmene.
Si era fermata dentro un cono d'ombra.
Posò una borsa per terra e si toccò la nuca accaldata, si sansò i capelli albini.
Rimasi per catturare quel gesto, l'alito di quella nuca appiccicata.
Non avevo bevuto, lo stomaco era in ordine, la testa lucida...e proprio in quella lucidità, in quello stomaco digiuno, io la desideravo.
Non mi fidavo più di me stesso, perchè mentre la guardavo già le stavo mancando di rispetto.
Non era vero niente, non l'avevo attesa per scusarmi, mi ero appostato come un falco per atterrarle addosso, per farle di nuovo la festa.
Mi aveva quasi raggiunto.
Sarebbe passata senza notarmi.
L'avrei lasciata sparire nello specchietto e sarei andato via.
Senza tornare mai più.
Abbassai la testa, e mi guardai le mani ferme sulle gambe per ricordare a me stesso che ero un uomo per bene.
La sua pancia si fermò davanti alla portiera.
Si chinò per guardare dentro.
Alzai gli occhi, e dove credevo di trovare due fori di spavento trovai uno sguardo appena un pò spaesato.
Uscii fuori dalla mia tana solo in parte, rimasi appoggiato allo sportello con un piede ancora dentro.
"Come va?"
"Bene, e lei?"
"Dammi del tu."
"Come mai da queste parti?"
"Ho dimenticato di pagare il meccanico."
"Me l'aveva detto, mi aveva anche detto se la conoscevo..."
"Dammi del tu."
"Si."
"Cosa gli hai detto?"
"Che non ti conoscevo."
Non sembrava arrabbiata, non sembrava niente.
Forse è abituata, pensai, è una che va con chi le capita.
E ora la guardavo senza temere più nulla.
Un'ombratura scura circondava gli occhi, affondandoli ancora di più nel cranio magro.
Vene bluaste attraversavano il collo, morivano nella camicia gialla e nera a schacchi, di un tessuto elastico hce brillava sotto al sole, roba da due lire, cucita a macchina da qualche minorenne asiatico.
Non mi guardava più.
Si portò una mano sulla frangia e cominciò a tirarsela, a stenderla in piccole ciocche per camuffare quella fronte troppo grande dove ora si era posato il mio sguardo.
La luce spalancata lambiva le imperfezioni del suo volto, e lei lo sentiva.
Doveva essere ben oltre i trent'anni, ai bordi esterni degli occhi aveva già una ragnatela esile di rughe.
Era un volto patito in ogni scaglia di pelle.
Ma negli spiragli, negli occhi, nelle narici, nel filo tra labbro e labbro, ovunque affiorasse il respiro interno di lei, frusciava un richiamo sommesso, indefinibile, come un vento carico incuneato nel folto di un bosco.
"Come ti chiami?"
"Italia."
Accettai quel nome improbabile con un sorriso.
"Senti Italia" dissi, "mi dispiace per..." spinsi la mano nella stoffa interna della tasca.
"Volevo chiederti scusa, ero ubriaco."
"Vado, sennò i surgelati si squagliano."
E reclinò lo sguardo dentro una delle due borse che non aveva mai posato.
"Ti aiuto."
E già mi ero chinato a toglierle le borse dalle mani.
Ma lei trattenne con decisione.
"No, non pesano..."
"Per favore" sussurrai, "per favore."

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Commenti al Post:
minsterr999
minsterr999 il 25/03/09 alle 06:55 via WEB
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