Nei suoi occhi non c'era più nulla.
C'era quell'assenza che avevo già visto, come se si stesse svuotando di ogni volontà.
Nel palmo delle mani sentii il sudore dei palmi di lei rimasto sui manici delle borse.
Scendemmo per le scale di ruggine, approdammo sul terrapieno.
Lei aprì la porta, e io la richiuse alle nostre spalle.
Tutto era avvolto dalla stessa immutata desolazione, il telo fiorato sul divanetto, il poster della scimmia con il biberon tra le zampe, lo stesso odore di varichina e di veleno.
Sentii uno smottamento, una pasta morbida e calda che s'insinuava sotto la mia crosta lentamente.
L'impulso sessuale non aveva fretta, ero molle, balordo.
Posai le borse per terra.
Una lattina di birra rotolò sotto il tavolo.
Lei non si chinò a raccoglierla.
Era appoggiata al muro, guardava verso la finestra, tra le lame delle persiane accostate.
Mi allentai il nodo della cravatta mentre mi avvicinavo.
I testicoli mi pesavano tra le gambe, mi facevano male.
M'impensierivano i suoi occhi, in fin dei conti era una faccenda mia.
Volevo godermi quella sfilza di costole, quella nuca.
Forse le graffiai la schiena, ma non riuscii a evitarlo.
Dopo, cercai nella tasca dei pantaloni il portafoglio.
Le lasciai il denaro sopra il tavolo.
"Per i surgelati..."
Non rispose, Angela.
Forse ero riuscito a offenderla.
Tua madre era in giardino con Raffella, che d'estate prendeva in affitto un cottage sulla spiaggia non lontano da noi.
Ridevano.
Mi abbassai e sfiorai la guancia di Elsa con un bacio.
Era stesa su una sedia a sdraio, mi passò una fiacca mano in mezzo ai capelli.
Mi ritrassi subito.
Temevo che si accorgesse di un altro odore.
Raffaella si alzò.
"Vado, ho promesso a Gabry che le avrei portato la mia mousse."
Passava buona parte della giornata in acqua, con un cappello di spugna in testa.
Galleggiava a pochi metri dalla riva in attesa che qualcuno sulla spiaggia si decidesse a farsi un bagno.
Poche bracciate, e te la ritrovavi davanti come una boa.
Adorava chiacchierare a mollo e aveva molte storie da raccontare perchè viaggiava di continuo.
Elsa si faceva viola al suo fianco.
Raffaella invece non pativa il freddo, il suo costume era perennemente bagnato anche dopo il tramonto.
Fissai gli occhi sulle cosce robuste, senza motivo.
Sconfisse il mio sguardo con la solita ironia.
Rise.
"Cosa vuoi" disse, indicando Elsa, "le magre hanno sempre un'amica del cuore grassa."
Raccolse il suo pareo.
"Sei pallido, Timo, perchè non prendi un pò di sole?"
E' morta tre anni fà, lo sai.
L'ho operata due volte.
La prima al seno, la seconda ho inciso e richiuso l'addome nel giro di mezz'ora.
L'ho fatto perchè si trattava di un'amica, ma sapevo che non c'era speranza.
Dopo la prima operazione non era mai tornata per un controllo, era andata in Uzbekistan.
Aveva lasciato al sarcoma la possibilità di metastatizzare indisturbato.
Era una donna tollerante, Raffaella, lasciava vivere chiunque.
A quell'epoca naturalmente non aveva il cancro.
Aveva un paio di zoccoli che a contatto con il mattonato producevano un rumore insopportabile.
Rimasi in attesa finchè quel fastidioso scalpiccio non sprofondò nel silenzio della sabbia.
Le caviglie di Elsa e i suoi piedi sporgevano oltre la sdraio.
Mi sedetti lì in basso e cominciai a carezzarla.
Le mie mani correvano fino ai suoi ginocchi, la sua pelle era liscia, profumata di doposole.
Ogni volta che arrivavo da lei al mare, ogni volta che pensavo a quell'arrivo, ero contento.
Adesso ero lì, accucciato in fondo alla sua sdraio, senza allegria.
Mi ero accorto di uno scompenso.
Quello che avevo aspettato non c'era.
Trascurabili disattenzioni: niente di fresco in frigorifero, il mio costume rimasto a scolorire in un angolo assolato dall'ultimo bagno, la mia camicia preferita ancora da stirare.
E sopratutto Elsa, la sua faccia senza stupore.
Non mi sentivo atteso, non mi sentivo amato.
Ingiustamente.
Elsa mi amava, con la ragionevolezza a cui io per prima l'avevo piegata, perchè lei senza dubbio era stata più appassionata di me.
Per amore si era adattata ai miei cingoli frenati.
Mentre io, morto mio padre, regredivo.
Sentivo incertezze, sommosse interiori schivate durante l'adolescenza affiorare intatte.
E mi aspettavo che lei, che era tutta la mia famiglia, si accorgesse di me.
Ma tua madre, Angela, non ha mai amato le persone deboli, e io purtroppo lo sapevo, l'avevo scelta per questo.
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il 25/03/2009 alle 08:08
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