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Post N° 37

Post n°37 pubblicato il 09 Ottobre 2005 da unaqualunque_s

Un boato sordo e distante entrò dalla finestra e attraversò il silenzio.
Forse il tempo stava cambiando.
La sera prima avevo lasciato una sedia sul terrazzo.
M'infilai l'accapatoio e uscii per prenderla.
Un uccello sfuggito alla migrazione si era infilato nel cortile e adesso volteggiava spaventato in basso tra le piante del giardino condominiale cercando una via d'uscita.
Lo osservai mentre si fermava in stallo, quasi lottava contro il peso di quell'aria afosa che si era fatta di colpo scura.
Tra poco sarebbe venuto a piovere.
Rimasi all'aperto in attesa di quella frescura che forse si avvicinava.
La sedia, nonostante l'imbottitura non era affatto confortevole.
Un nero battito di ali mi passò sulla testa, l'uccello finalmente era riuscito a spiccare il suo volo verso il cielo.
Nel cortile, l'aria era tornata immobile e pesante.
l temporale sarebbe rimasto lontano.
Tornai dentro e mi lavai i denti.
Che posso farci, sposa mia, questa sera ho voglia di infilarmi nel corpo di una donnetta, di strofinarmi addosso la sua testa rafia.
Ho voglia di un fiato caldo, di un cane che mi lecca la mano nel buio.
E' l'ultima volta, te lo giuro mentre dormi.
Stavo per tradirla ancora, non mi andava di guastarmi la serata.
A mano a mano, mentre abbandonavo la città e m'infilavo dentro quella bidonville, diventavo sempre più euforico, perchè era come andare in un altro mondo, in una città di palafitte, al di là dell'acqua, una piccola Saigon.
E tutta quella bruttura che si appressava, quelle luci tremolanti, mi saltavano incontro come un luna park rimasto aperto solo per me.
Era la prima volta che andavo di notte da lei.
E mi piaceva riconosere le cose, tastarle nel buio, come un ladro.
Risucchiavo l'aroma malsano di quei luoghi come un balsamo, insieme a quella parte di me che temevo e invocavo nel buio.
I gradini incerti, la sporcizia sotto le mie scarpe, le lunghe ombre dei piani, tutto taceva, tranne il mio cuore di lupo.
La scala di ferro all'esterno era inghiottita dalla notte, precipitai nel suo tunnel, in un avvinghiamento sempre più allettante.
L'ultima tappa, il terrapieno sotto il viadotto.
Fermo come un mare finito.
Poi gli ultimi passi verso la sua palafitta, verso la piccola maitresse della mia Saigon.
Dalla finestra oltre il ballatoio non arrivava nessuna luce.
Chiusi la mano e bussai contro la porta verde.
Ero inciampato sui gradini, mi faceva male una caviglia.
Misi il pugno di traverso e bussai con più insistenza, a martello.
Dov'era a quell'ora?
Fuori con i suoi amici, perchè non doveva avere una compagnia di amici?
In uno di quei locali notturni che sembrano capannoni industriali con un faro puntato verso il cielo.
Stava ballando tra la calca, con gli occhi chiusi, come la prima volta che l'avevo vista appesa al juke-box.
Perchè non avrebbe dovuto ballare?
Magari aveva un uomo, un pezzente come lei, che ora la stava stringendo e io non esistevo nei suoi pensieri.
Forse era una prostituta, d'altronde accettava i miei soldi senza sdegnarsi.
In questo momento le sue gambe scheletriche solcavano un marciapiede buio, chissà dove, in un viale sperduto della città.
Il braccio appeso al finestrino di una macchina, contrattava il prezzo di se stessa, con quella faccia patita, quegli occhi fondi, sudici di trucco.
Forse dentro quella macchina c'era Manlio.
Lui ogni tanto si divertiva a dragare qualche creatura notturna.
Allora perchè non lei?
No, lei no.
Avevo smesso di bussare, il braccio estenuato mi tremava.
Lei non era bella, era scialba, deprimente.
La sua pochezza mi sembrava una tutela, nessuno poteva immaginarla quando diventava un'altra e il suo corpo spento si accendeva di vita.
Ma forse era così con tutti.
Chi ero io per meritarmi qualcosa di più?
Alzai il braccio dolorante e bussai ancora.
Non era in casa.
La puttana non era in casa.
Sconfitto, voltai le spalle contro la porta e guardai la notte.
Il viadotto deserto, e più giù le baracche dove frusciavano lievi sentori di vite ancora sveglie.
Forse è lì che va, dagli zingari, si ubriaca nelle loro roulotte, si fa indovinare il suo destino di stracci.
Sentii in piccolo gemito e qualcosa che frusciava dall'altra parte della porta.
Pensai al suo corpo, alle sue mani, e ancora una volta mi sorpresi a non ricordarla con nitore, come avrei voluto.
"Italia" sussurrai, "Italia..."

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Commenti al Post:
volandfarm
volandfarm il 24/03/09 alle 16:07 via WEB
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