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Post N° 56

Post n°56 pubblicato il 08 Novembre 2005 da unaqualunque_s

"Dove mi porti?"
"In ospedale."
"No, voglio andare a casa, sto meglio."
Era scivolata giù dal sedile e si era accucciata in basso.
"Che fai?"
"Così non ti sporco il sedile."
Staccai una mano dal volante e mi chinai verso di lei.
Agguantai un lembo della sua maglietta: "Tirati su!".
Ma lei riuscì a resistere.
"Sto bene quaggiù, ti guardo."
Il pronto soccorso era spopolato, solo un vecchio in un canto, con una coperta sulle spalle.
Conoscevo uno degli infermieri di guardia, un ragazzo corpulento con il quale ogni tanto parlavo di calcio.
Avevo dato a Italia il mio asciugamano da mare rimasto sul sedile posteriore, era scesa dalla macchina con quella spugna girata intorno ai fianchi.
L'infermiera l'aveva fatta stendere nell'astanteria su una lettiga, dove Italia con il collo torto mi guardava.
Il medico di turno arrivò quasi subito, una giovane donna che non ricordavo di aver mai vista prima.
"Venga, saliamo a fare un'ecografia."
Entrammo tutti e tre in ascensore.
La donna aveva tracce di sonno sul viso, sui capelli schiacciati, mi sorrideva ossequiosa, sicuramente sapeva chi ero.
Italia adesso aveva un colorito migliore, era salita in ascensore con le sue gambe.
Durante la visita mi allontanai e mi diressi verso il mio padiglione.
Approfittavo per dare uno sguardo a un paziente che avevo operato il giorno prima.
Mi avvicinai al letto dell'uomo: dormiva e aveva un buon respiro.
"Domani possiamo togliergli il drenaggio, professore?" mi chiese la suora che mi aveva seguito nella camerata.
Quando tornai, Italia stava uscendo dalla stanza per le ecografie.
"E' tutto apposto, c'è stato un parziale distacco di placenta, ma l'embrione ha resistito."
Rimasi per una frazione di secondo a guardae il volto della dottoressa, le mascelle squadrate, la pelle lucida del naso, gli occhi troppo ravvicinati.
Feci un passo indietro e istintivamente mossi lo sguardo oltre le sue spalle, quasi temessi che qualcun altro avesse udito le sue parole.
"Bene" credo di aver detto, "bene."
La donna aveva senza dubbio registrato il mio turbamento.
Ora mi guardava con una strana complicità.
"Io, professore, farei comunque il ricovero. Sarebbe meglio che la signora non si affaticasse, almeno per un pò."
La signora era rimasta qualche passo dietro di lei, tramortita; potevo percepire chiaramente la sua agitazione.
Non era una signora, era una signorina, la mia amante.
Ci guardammo per un solo istante, di sfuggita.
Spostai leggermente il perso del corpo sull'altra gamba per evitare che l'asse del mio sguardo la includesse.
Non dovevo stabilire nessun contatto con lei, non ora almeno.
Ero lì nel mio ospedale, davanti a una donna che mi conosceva per i miei meriti professionali e che adesso di sicuro indovinava qualcosa della mia vita intima.
Dovevo portarla via, si, bisognava che sparisse, poi avrei riflettuto.
Camminavamo verso l'ascensore, le natiche della dottoressa ondeggiavano sotto il camice.
Chi mi garantiva che fosse una donna discreta?
Mi sembrava di cogliere qualcosa di sciatto nel suo modo di camminare.
Domani forse la notizia avrebbe fatto il giro dell'ospedale, sguardi maliziosi mi avrebbero raggiunto, trafitto nella schiena, chiacchiere che non avrei potuto mettere a tacere.
Italia era dietro di me, ora sentivo di essere furioso con lei.
Non mi aveva detto nulla, mi aveva tenuto all'oscuro, aveva lasciato a un'astranea il compito di rivelarmi una cosa del genere, qui nel mio ospedale.
S'era goduta la mia faccia trasecolata.
Avevo quasi voglia di colpirla, di affondarle una manata, cinque dita rosse stampate su quel muso bugiardo.
Tornammo di sotto per l'accettazione.
Mi voltai verso Italia e la guardai in un modo che dovette sembrarle terribile.
"Cosa vuole fare, signora?"
"Voglio andare a casa" balbettò.
"La signora firma per uscire" mi rivolsi all'infermiere: "dammi il modulo".
Tirai fuori la penna dal tascino interno della giacca e compilai io stesso il modulo, poi lo spinsi sotto le mani rosicchiate di Italia, porgendole la penna.
Mossi gli occhi sul suo viso, era tornata molto pallida...
Trattenni la penna.
Non ero più certo di quello che stavo facendo, ero un medico, non potevo rischiare.
E se le fosse venuta un'emoreggia?
Non potevo lasciarla andare così.
Avrei avuto modo di maltrattarla più tardi, ora era importante che restasse lì, al sicuro.
Stracciai il modulo: "Facciamo il ricovero".
Lei tentò di opporsi, ma senza forza: "No...voglio andarmene, sto bene".
La dottoressa mosse un passo verso il tavolo.
"Signora, il professore ha ragione, è meglio che per questa notte rimanga."
Sbrigammo la pratica del ricovero rapidamente, poi risalimmo verso ginecologia.
L'ascensore si aprì al piano.
Nel corridoio notturno c'era silenzio e il solito odore di medicinali e di minestrina.
Io amo l'ospedale di notte, Angela, per me ha il sapore furtivo di una donna struccata, di un'ascella nel buio.
Italia invece sembrava spaventata, camminava quasi aggrappata al muro, l'asciugamano con le stelle marine intorno al sedere, come una naufraga.
Restammo soli per qualche istante.


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Commenti al Post:
temerariadgl
temerariadgl il 08/11/05 alle 23:52 via WEB
non ti muovere...meraviglioso...mirabile anche il film
(Rispondi)
lorteyuw
lorteyuw il 24/03/09 alle 15:17 via WEB
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