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Il dominio dell'ego

Post n°42 pubblicato il 09 Marzo 2010 da Tanysha

   Non esiste al mondo nessun genere espressivo, che,  come la scrittura, rechi traccia, riga per riga,  dell’ego dell’autore che l’ha creata. Direi quasi che la scrittura creativa è nata proprio per esaltare l’ego, per metterlo su un piedistallo, più o meno alto, più o meno sofisticato o immediato, ma sempre di cornice dell’ego si tratta, cioè di un supporto in grado di far risaltare il proprio ego sull’ego di chiunque altro.

L’ego si nutre di pensiero, di parole, di ragionamento, di una finta consapevolezza, che più viene rincorsa, più ci sfugge. E’, purtroppo, la scrittura un genere che  finisce per trascinare chi la usa, nel tranello di una soddisfazione fasulla, che pure genera altra voglia di scrivere, di esporsi, di stupire. Questa dinamica è connaturata in ogni autore, in ogni persona in grado di usare la scrittura per comunicare qualcosa che vada oltre i bisogni primari. Difficile non restarne coinvolti. La scrittura creativa ha in sé, ancor prima di nascere il seme dello stupore, in fondo se dobbiamo scrivere solo per comunicare qualcosa, non si tratta più di scrittura creativa, ma di cronaca. E in questo suo nascere, in questo suo generarsi, è inevitabile non lasciar trapelare almeno un pezzetto del proprio ego.

Certo, gli scrittori geniali, i veri artisti, sono in grado di andare oltre l’ego, probabile che un Hesse o un Mishima  siano riusciti a valorizzare l’essere più profondo. E forse il vero limite tra un’opera sublime e un’opera appena leggibile è proprio questo: riuscire a trasmettere a chi legge qualcosa che vada oltre il proprio ego.

Non ho scelto a caso questi due autori come esempio, essendo, secondo me, due grandi rappresentanti della narrativa esistenziale del novecento. Ambedue hanno scritto grandi romanzi di formazione e di crescita, pur se diversissimi nell’approccio spirituale, sono stati capaci di trasmettere il senso più profondo dell’esistere.

            Molti autori di media capacità sono dominati dalla necessità di colpire, di superare il già detto, il già sentito, riuscendo molto spesso nell’intento, ma quanto pesa l’ego nelle loro opere e quanto l’essere?

 
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madmax.ro
madmax.ro il 16/03/10 alle 10:01 via WEB
E' vero che molti elementi si ripetono, come le 4 mattonelle del nostro codice genetico, o i 20 aminoacidi di cui siamo composti ma non per questo il costrutto non puo' essere originale (malgrado i millioni raggiunti su ogni "specie" letteraria). Che "sta tutto dentro di noi" e' na teoria che va presa con le pinze; se cosi' fosse, nessuna evoluzione troverebbe un senso. C'e' molto dentro, ma non tutto ed il non apprendere da altri (con il rischio di trovare tante strade gia' percorse) non porta all'originalita' ma spesso al trogloditismo o alla banalita'. Se Siddhartha fosse vissuto (da/) solo nella foresta si chiamerebbe Tarzan.. Chiaro che se sai "troppo" e vuoi per forza apparire o riproponi o t'inventi cose "originali" basandoti sulle strausate ricette associative con ingredienti esotici e simbolismi stravaganti e vaghi... idee senza idee, rose conficcate nel formaggio e messe in una mostra. Funziona alla grande, il 90% della letteratura e dell'arte contemporanea e' finta e si basa sul desiderio snob di pervenire (anche di chi la consuma, purtroppo), gli editori sono contenti di promuovere chi fa l'originale ma sta "nel sistema" etc. Comunque, saltando il discorso sociale sul perche' di tale fenomeno credo che ci sia ancora da dire e che le persone che hanno dentro la scintilla ("il seme dello stupore", come lo chiama Tanysha) sono in grado di portare idee (o sensazioni) veramente nuove, anche se tanto -ma mai tutto- e' stato gia' detto. Se cosi' non fosse, potremmo tranquillamente chiudere "l'enciclopedia umana" in un disco rigido bello capiente, protetto per qulche millione di anni (tempo per un'altra specie di acquistare la parola) e.. passare al seppuku di massa :)
 
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