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Creato da Tanysha il 15/01/2008
Scrivere è vivere e apprezzare ogni tipo di espressione.
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Non ho più nulla da dire , almeno non nella lingua che ci si aspetta di sentire. Ho esaurito gli argomenti comunicabili e di interesse comune, o forse ne avrei di nuovi, ma molto probabile non interessino nessuno o quasi, perciò mi congedo da questa comunità con leggero rammarico, ma non più di tanto, visto che ciò che dico suscita zero o quasi reazioni e non farebbe altro che alimentare l’inutile fluire delle miriadi di parole che girano nell’etere foraggiando le tasche dei soliti pochi che beneficiano di questo impazzare logorroico. Forse qualche sparuto essere, magari disincarnato e non di questo mondo, si rammaricherà di questa mia decisione, ma onestamente mi dispiace di ingrassare, anche se di poco, le pance di coloro che guadagnano dai nostri blog semplicemente con i clic di chi accede e quindi, non essendo il mio dire così nazional-popolare, mi sembra opportuno togliere il disturbo e levare le tende da questo micro-mini spazietto periodico. Forse dispiacerà a qualcuno in carne ed ossa, forse non dispiacerà a nessuno, forse causerò la stizza di certi signori ben conosciuti di persona che si divertivano alle mie spalle sfottendomi e spacciandosi per millantati personaggi “poco tonificati”, posso solo lontanamente immaginarlo, ma è giunta l’ora di chiudere questo cerchio che si era aperto qualche anno fa. A poco a poco sto togliendo dal web i miei giocarelli virtuali e sappiate che per questo post sospenderò la moderazione, quindi chi vorrà replicare sarà libero di farlo.
Arrivederci (a chissà quando!)
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Ho letto un bell’intervento di Barbara Alberti, autrice che stimo, su Anna di questa settimana a proposito dei genitori che si lamentano dei troppi compiti che ultimamente affliggono sempre di più gli alunni della scuola dell’obbligo. Lei sostiene che i genitori lamentosi sui compiti dei figli siano a loro volta degli immaturi viziati che si sentono più figli che genitori. Vogliamo provare a stabilire la graduatoria dell’immaturità?
Non sono una mamma ma sono una zia che aiuta la nipotina nei compiti e in effetti, devo dire che, a differenza dai nostri compitini di matematica a base di problemi con tanto di risposte e rispostine (ve le ricordate, scritte in piccolo tra parentesi sotto ogni operazione?), i compiti dei bambini di oggi sono molto ma molto più articolati e complessi. Forse, come ha ipotizzato una mia carissima amica esperta del mestiere che purtroppo non c’è più, oggi si vuol trasmettere “un metodo” di studio, proprio quel metodo che ai tempi nostri si diceva ritardasse l’evoluzione a studente modello e che faceva dire a molti insegnanti di una volta: “sarebbe bravino ma gli manca il metodo…”.
Insomma, questo famigerato metodo è costituito da formule complesse, passaggi complicati e algoritmi arzigogolati che trasformano ogni compito (di matematica, grammatica o anche un semplice riassunto) in una mini tesi di laurea.
Ora mi sorge spontanea un’osservazione: ma, almeno attenendomi ai giudizi dei vecchi saggi, una volta non si diceva che il bravo insegnante, specie nella scuola primaria, è proprio quello che esaurisce gran parte della sua capacità e bravura nella spiegazione in classe e nelle esercitazioni e verifiche e non quello che carica i bambini di compiti a casa? In fondo questo tipo di maestro scarica gran parte della propria fatica e responsabilità sui genitori che, non essendo degli ignoranti, (specie in alcuni quartieri socio-economicamente alti) se la caveranno egregiamente a casa ad aiutare i loro figli, visto che in fondo i maestri, il loro dovere primario l’hanno fatto e che se la sbroglino loro la matassa, questi genitori. (In effetti vorrei vedere certi insegnanti a lavorare in quartieri difficili pieni di immigrati, si comporterebbero così? Dubito). E’ un rimbalzo di responsabilità quello che si crea: i genitori inferociti e indignati costretti a chiedere il part-time per star dietro ai figli con i loro compiti interminabili che li costringono a tavolino dalle due alle dieci di sera. E il gioco? E il catechismo? E lo sport? Non lo sanno questi insegnanti che il gioco è importante e formativo almeno quanto lo studio? Ma già! Mi ero scordata! Molti di questi insegnanti non sono nati come insegnanti, e quindi esperti in pedagogia, molti di loro sono: architetti, psicologi, fisici, biologi, chimici, ingegneri, laureati in lingue e letterature straniere e tutto avrebbero voluto fare nella vita tranne che insegnare, ma si sa, la disoccupazione costringe a rassegnarsi a scelte che mai e poi mai si sarebbero volute fare. E questi sono i risultati.
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Quando qualcuno mi parla di brutti libri lo prendo sempre con le molle: se riesco a finire un libro non potrà mai essere brutto, per il semplice fatto che nel leggerlo vi ho travasato dentro le mie emozioni, tutti i pensieri, i ricordi che quello scritto mi ha, nel bene o nel male, suscitato. Quindi, come può essere brutta una cosa strettamente avviluppata a qualcosa di mio? Un libro è un libro e basta, fino a che qualcuno non lo legge. Nel momento in cui qualcuno riesce ad andare oltre le prime pagine si crea un botta e risposta con il nostro intimo e a fine lettura il libro non è più del solo autore, ma anche di chi l’ha letto e vi ha trasfuso sprazzi del proprio sé. Per questo tutti i libri sono potenzialmente interessanti.
Certo, se un’opera è davvero illeggibile forse rimane lettera morta, come un mattone sterile lasciato lì a putrefare. Può darsi che questo accada, specie quando si prendono in mano opere che di letterario non hanno nemmeno il titolo, scritte da autori della domenica, e cioè da gente che fa tutt’altro mestiere e che scrive solo per sfruttare il nome. E allora sì, posso capire che ti possono lasciare come ti hanno trovato.
E purtroppo questo genere di libri sono in vertiginoso aumento…
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http://networkedblogs.com/tbZGd
Su questo link troverete un'intervista - che emozione!!! - fatta a me medesima da Livia Rocchi, una gentile collega del FIAE, il gruppo di autori di cui molto orgogliosamente faccio parte. Se qualche curiosone impiccione voglioso dei miei trascorsi letterari e pensieri in libertà vuol sapere qualcosa di me ci clicchi pure su.
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A volte mi chiedo da dove cominci un autore di successo. E l’amara risposta che mi do è che spesso non debutta come autore di narrativa, ma accade sempre più di frequente che emerga prima il personaggio dello spettacolo o della canzone, o addirittura il terrorista o l’assassino, che, in virtù di questa fama, si decida poi a pronunciarsi come romanziere. Difficilmente al giorno d’oggi nasce subito l’autore di narrativa puro. Serena Frediani ha la mano ferma della scrittrice che sa dove arrivare e dove fermarsi e in questo vibrante romanzo ne dà una prova concreta. Io le auguro che questo le basti a farsi conoscere.
Il silenzio del colore nero sta alla pittura un po’ come La solitudine dei numeri primi sta alla matematica. In entrambi i casi si parla di una difficoltà esistenziale, di una sofferenza espressiva. Il protagonista di questo romanzo, Fabrizio Stella, è il giovane rampollo di una dinastia di architetti che però ha dirazzato. Ha scelto l’improvvisazione dell’arte contro la statica sicurezza di un mestiere oramai impresso nel DNA da generazioni. E’ incantato dal mistero della femminilità che cerca in ogni figura di donna, ansioso di riprodurlo su tela.
In questo tormentato e analitico romanzo, sapiente opera seconda di un’ autrice non estranea al mondo dell’arte, proveniente da formazione sociologica, si entra nel rutilante mondo della pittura, delle gallerie e dei vernissage, in un turbinio di mondanità che a volte fa girare la testa. A tutto questo sfarzo fa da contraltare la delicata e sofferta figura di Flavia, che si propone a Fabrizio come modella, pur non mostrandone nessuna credenziale. Flavia nasconde un inquietante vissuto che traspare qua e là attraverso strane ferite sul corpo. Fabrizio ne è inizialmente respinto, così come si può essere respinti dalla sofferenza, per poi lasciarsi quasi fagocitare da uno strano meccanismo attrattivo.
Flavia sembrerebbe a tratti una lontana parente della Fosca di Tarchetti, benchè quest’ultima fosse di una bruttezza molto più repellente, tuttavia capace come lei di avvolgere il protagonista in una spirale ammaliante, tanto da allontanarlo dalle altre sue muse più attraenti e sempre pronte a prodigarsi per lui, così come appunto accade a Giorgio, che arriva al punto di abbandonare la bellissima Clara per la malaticcia Fosca.
La scrittura di Serena Frediani affonda nelle pieghe contraddittorie della psiche con tanta lucidità da portare alla luce l’inconfessabile, riesce a essere profonda senza apparire mai prolissa. Situa la vicenda principale in uno stimolante presente, capace di tenere sulla corda anche il lettore più riluttante, descrive l’indispensabile, senza dilungarsi in inutili disquisizioni, soddisfacendo ogni curiosità, in una perfetta mimesi del pensiero maschile, quello del protagonista.
E la sorpresa principale è che Il silenzio del colore nero è una storia romantica, con leggero retrogusto fiabesco, pur senza avere nessuna caratteristica del romanzo rosa, è una storia d’amore puro, come di rado ci capita di leggere ai giorni nostri, ci riporta alle antiche eroine, Anna Karenina, Jane Eyre o la Kathy di Cime tempestose, dimostrando che una storia d’amore nella nostra era prosaica ha ancora molto da dire.
Ho il piacere di segnalare questa giovane autrice dalla scrittura fluida, elegante e personalissima, spero trovi il dovuto spazio e la giusta attenzione perché merita davvero.
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Inviato da: cassetta2
il 24/07/2019 alle 12:44
Inviato da: Tanysha
il 09/12/2014 alle 14:55
Inviato da: DJ_Ponhzi
il 09/12/2014 alle 14:53
Inviato da: Tanysha
il 22/10/2014 alle 15:49
Inviato da: misai
il 22/10/2014 alle 14:32