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RENDITA URBANA E GOVERNO DEL TERRITORIO

Post n°9 pubblicato il 11 Ottobre 2008 da claudiofondelli
Foto di claudiofondelli

La città come risorsa economica [rinnovabile]

Le principali teorie fino ad oggi elaborate sulla rendita urbana focalizzano l'attenzione sull’edificazione del suolo [partendo dal presupposto che la città sia un organismo in progressiva – allorché non costante – crescita], considerando tale rendita  l’effetto diretto – dunque sostanzialmente non replicabile – della sua trasformazione e conseguentemente tutte le disposizioni che regolano la contribuzione alla realizzazione da parte dello stato delle opere di urbanizzazione connesse a tale processo si concentrano esclusivamente sulla realizzazione [e successiva trasformazione] del prodotto derivante da esso: il bene immobiliare; il manufatto edilizio.

Basta infatti una semplice lettura alla legislazione vigente in materia urbanistica per constatare come l’immobile ed il suo utilizzo sono da essa considerati due elementi imprescindibilmente legati, soggetti alla medesima procedura amministrativa e ad un’unica contribuzione [oneri di urbanizzazione e costo di costruzione], ritenendo lo svolgimento della funzione un diritto intrinseco alla proprietà dell'immobile in cui essa viene esercitata.

Proprio come in passato accadeva per il diritto ad edificare; considerato una facoltà direttamente collegata al  possesso del suolo  [jus edificandi].

Certamente nessuno mette in dubbio l’esistenza di uno stretto legame tra l'immobile e la funzione in esso esercitata, non è questo in discussione, ma ritengo occorra interrogarsi se tale legame sia, nella società contemporanea, da considerarsi ancora inscindibile e soprattutto un diritto intrinseco [ovvero legittimato dalla mera esistenza del manufatto edilizio] al bene immobiliare.

Siamo certi che ancora oggi, in una società fluida dove l’accesso a beni materiali ed immateriali rappresenta – in luogo del possesso come accadeva nella società industriale – il più importante carattere identificativo sociale [e dunque l’elemento principale di ogni transazione di carattere economico], il conseguimento della plusvalenza economica in ambito immobiliare si manifesti “una tantum” all’atto dell’edificazione del suolo [ed alla trasformazione del manufatto ivi costruito] e che l’uso sia una componente marginale nella determinazione della rendita urbana?

O tale rapporto si è invertito e si conseguono significative plusvalenze economiche prevalentemente in relazione all’uso – continuativo – che si fa di un determinato manufatto edilizio a prescindere dalla sua edificazione?

Si realizzano maggiori rendite trasformando da agricola ad edificabile un’area a destinazione commerciale oppure utilizzando continuativamente l'immobile costruito  [ma il ragionamento vale, in misura variabile, per ogni tipologia d’uso], soprattutto se l'area è collocata in una posizione strategica per accesso e presenza di infrastrutture?

Credo si possa affermare senza ombra di dubbio che le maggiori rendite si conseguano, di gran lunga, nel secondo caso.

E se è così, considerato che tale uso è dipendente dall’interazione con le infrastrutture e reti urbane pubbliche esistenti, perché si deve contribuire ad esse “una tantum” all’atto di una trasformazione antropica [oneri di urbanizzazione] e non periodicamente come le plusvalenze che si conseguono?

Del resto tali infrastrutture e reti necessitano di manutenzione continua e rappresentano un costo fisso a carico della collettività; dunque non ci sono validi motivi per cui queste debbano consentire la realizzazione di un utile economico individuale ripetibile nel tempo senza alcuna contropartita.

Ciò premesso si tratta quindi di individuare gli strumenti con cui sottoporre a contribuzione tali plusvalenze che, essendo replicabili, possono rappresentare una significativa risorsa economica "rinnovabile" per la collettività, in quanto si riproduce nel tempo senza "consumare" suolo edificabile [come accade quando, a causa dell'insufficienza dei trasferimenti statali, gli enti locali sono di fatto obbligati a prevedere quote edificabili per incamerare oneri di urbanizzazione da destinare alla spesa corrente], oltre che equa perché, a differenza di altre forme di tassazione, non colpisce indifferenziatamente il possesso di un bene patrimoniale ma è connessa alla rendita che esso produce.

Come agire dunque? 

A mio avviso, anche senza dover modificare il quadro legislativo vigente, è sufficiente separare il diritto edificatorio da quello d’uso, disciplinandoli con distinti atti di governo del territorio, uno a regolamentazione dell’edificazione del suolo e della trasformazione del patrimonio edilizio esistente [Regolamento Urbanistico] ed uno a regolamentazione dell’uso del suolo e del patrimonio edilizio edificato [Piano delle funzioni] che prevedano, ciascuno per la parte di competenza, distinte procedure amministrative [Concessione Edilizia-Dia per l’edificazione/trasformazione e Licenza per l’uso], durata dell’efficacia degli effetti [illimitata per l’edificazione/trasformazione e limitata nel tempo - soggetta a rinnovo - per l’uso], titolarità del diritto [Diritto edificatorio attribuito all’immobile e Diritto d’uso attribuito al soggetto fisico/giuridico titolare del bene interessato, con facoltà di cessione a terzi] e contribuzione [edificazione/trasformazione e uso soggetti alla corresponsione di distinti oneri di urbanizzazione all’atto del rilascio e/o rinnovo della relativa autorizzazione]. 

Ciò consentirà, attraverso una rimodulazione dell’incidenza degli oneri di urbanizzazione [ridotti per l’edificazione/trasformazione rispetto a quelli attuali  - non essendo più ricompresa in essi la facoltà d’uso – e modulati in relazione alla durata, alla posizione ed alla tipologia per l’uso], di assicurare una risorsa economica sostanzialmente costante nel tempo [in quanto se l’edificazione/trasformazione, in particolare dove la disponibilità del patrimonio edilizio esistente supera il fabbisogno, è di carattere episodico e dunque non costantemente replicata nel tempo, diversamente l’uso è continuativo] per il soddisfacimento dei bisogni della popolazione residente sul territorio [in termini di reti ed infrastrutture pubbliche e di servizi], invertendo la tendenza in atto al degrado fisico dell’ambiente urbano ed alla contrazione quantitativa e/o qualitativa dei servizi dovuta alla strutturale carenza di risorse. 

 
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