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Creato da IlCercatoreDiParole il 17/12/2008

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Una citazione al giorno... può stimolare qualche pensiero!

Post n°29 pubblicato il 02 Ottobre 2009 da IlCercatoreDiParole
 

Ogni mattina mi sveglio con il proposito di fare una colazione sana, nutriente e abbondante.
Latte, cereali, miele, frutta, un quadretto di cioccolata per risollevare l'umore provato dalla non lieta prospettiva di dover cominciare un nuovo giorno di lavoro. Pessimista?
Più mi guardo intorno e più capisco che c'è una moltitudine di gente alla deriva sulla stessa barca...

Credo, in tutta onestà, che il lavoro abbia molti aspetti positivi. Ci rende maturi, consapevoli, ci insegna come fare a risolvere problemi apparentemente molto complicati (non voglio scrivere irresolubili perché un problema impossibile, logicamente, non può preoccupare e nemmeno interessare chicchessia. Che senso ha preoccuparsi se la soluzione non esiste?).

L'abitudine della colazione tra le mura domestiche, tuttavia, richiede di svegliarsi con almeno mezz'ora di anticipo rispetto all'ora cui siamo abituati ad alzarci.

Così mi capita, quache mattina, di fare colazione al bar.

Ce n'è uno non molto distante dall'azienda in cui mi trovo adesso a prestare la mia modesta attività pseudo-consulenziale. La barista è carina, simpatica (un po' troppo), peperina.
Credo abbia più o meno la mia età (va bene, è un po' più piccola!).
Ma non è di lei che voglio scrivere.

Di fronte al bancone troneggia un bel calendario, sulle cui pagine è possibile leggere una citazione diversa ogni giorno. Ciò che si suole solitamente definire un'autentica perla di saggezza.

Giuro che alcune sono folgoranti; altre, invece, mi lasciano abbastanza indifferente.

Quella che ho letto stamane mi ha molto colpito, perché trabocca di un sentimento che spero non mi abbandoni mai: l'amore.

E' proprio questo sentimento, insieme all'impressione suscitata dalla citazione che mi appresto a trascrivere, che mi ha spinto ad inforcare gli occhiali e digitare queste poche righe strampalate che nemmeno rileggerò. Non mi curo della forma, mi preme solo condividere l'emozione che quelle parole mihanno suscitato.

Recita più o meno così:

"Le cose più importanti nel cammino della nostra vita non si studiano, né s'imparano. Si incontrano".

Dimeticavo, è di Oscar Wilde.

 
 
 

Risvegli

Post n°28 pubblicato il 11 Settembre 2009 da IlCercatoreDiParole
 

Alcune canzoni hanno un potere.
Il potere di ristabilire il contatto con la nostra anima.
Risvegliarla dolcemente, anche se giace in un sonno profondo.
Spesso è corrotta, spossata, contaminata dall’arroganza, dall’ipocrisia dei comportamenti propri o di quelli altrui.

Certe canzoni evocano sentimenti desueti, ridestano quel briciolo di vitalità annichilita dal trascorrere inesorabile di giorni, mesi, anni.
La metamorfosi si compie subdolamente, sfugge ad ogni controllo, approfitta della nostra viltà.

Lo stralcio di un romanzo affiora dai cassetti della memoria, ravviva il ricordo di un’emozione perduta.

Salgo sul letto, con gli occhi cerco, dentro lo scaffale, la copertina di cui rammento il colore.
Estraggo il volume con un piccolo sforzo, sfoglio le pagine sino al punto giusto;
un segnalibro è giunto in mio soccorso.

E' una lettera d’amore, il sorriso di chi abbiamo amato.
Il sogno coltivato, sbocciato, fiorito, appassito.

 
 
 

Guzidé (dal diario del 27.01.2008, con qualche lieve modifica)

Post n°27 pubblicato il 25 Agosto 2009 da IlCercatoreDiParole
 

Non credo di aver mai scritto niente di Guzidé prima d'ora.
Eppure, sono trascorsi quasi due anni.
Di lei mi resta una splendida fotografia, scattata in un suggestivo locale maltese in riva al mare, Il Bedouin Bar.
E' un pub caratteristico, con buona musica, cocktail esotici e fumo di narghilè.
D'estate si popola di giovani provenienti da ogni angolo del pianeta.
Quell'anno, c'ero anch'io.
Ricordo la pelle abbronzata, il fisico asciutto e atletico, il caldo africano dei pomeriggi trascorsi sulla spiaggia.
In sottofondo, le voci di ragazzi che non hanno ancora vissuto.
Credo, a mente fredda, che il mio modo di essere e di pensare, l'inclinazione al dialogo, le priorità della mia vita, non siano mai stati influenzati così in profondità in un così breve lasso di tempo.
Nel momento in cui scattai quella foto, ero felice. Immensamente.
Ne scattai altre, in verità, alcune delle quali mi ritraevano.
I miei occhi e il mio sorriso tradivano qualcosa d'ineffabile: la sensazione di essere felici, di voler vivere un presente traboccante di meraviglie.
Invidio il me stesso che fui.
Entrò dalla porta principale senza bussare: carnagione olivastra, capelli neri e lucenti, denti bianchissimi. Una corporatura esile impreziosita da un bel vestito rosso scarlatto.
Una turca moderna, di Istanbul: Guzidé.
Conservo pure un foglio di carta stropicciato, dove, in un pomeriggio alla fine d'agosto, distesi su un'incantevole spiaggia rocciosa, scrisse per me qualche parola in turco. Voleva insegnarmi la sua lingua, voleva apprendere la mia. Ascoltava la mia modesta lezione d'italiano con grande interesse, come una studentessa modello; avevo la sensazione che volesse trarne il massimo dell'utilità. Progettava di prendere lezioni private il semestre successivo, e di vivere in Italia, almeno per un'estate. Al contrario del suo entusiasmo, a me non importava un fico secco d'imparare il turco, intento com'ero nel rimirare la sua bellezza, nell'odorare il profumo d'incenso sprigionato dalla sua foltissima chioma. Un mio maldestro tentativo di baciarla ruppe l'incantesimo, oltrepassammo senza accorgercene il vertice della parabola, iniziammo a percorrere la discesa.
Ma non voglio rievocare la tristezza; ciò che mi sta a cuore, adesso, è dipingere il suo ritratto, con la massima accuratezza possibile. Da molto tempo volevo farlo, ma ho sempre desistito, temendo di non trovare la giusta ispirazione. Oggi intendo farlo, senza un motivo particolare.
O forse un motivo c'è: Guzidé non è più presente nei miei pensieri, almeno non come prima, e proprio per evitare che il suo ricordo sbiadisca fino a dissolversi, voglio renderle omaggio scrivendone.
Non ricordo di preciso quando la vidi per la prima volta.
Probabilmente fu in riva al mare, dato che entrambi - dopo la lezione d'inglese - trascorrevamo i pomeriggi tuffandoci nelle acque terse della baia di St. Julian's. Appena la conobbi capii subito che quella ragazza aveva qualcosa di speciale, intuii che avrebbe potuto nuocermi. Così è stato, in verità, ma tutto sommato ne è valsa la pena.
Tornato a casa, associai la sua figura al personaggio romanzesco di Holly Golightly - strampalata protagonista del capolavoro di Truman Capote - come lei eccentrica e adorata da tutti.
Ormai la mia passione per la ragazza turca è volata come un foglio di carta al vento, ed è questo che più mi nuoce. Soffocare i sentimenti nel timore che aprire il cuore agli altri possa recarci qualche pena è una colpa grave, non un semplice errore.
Siamo circondati dalla sofferenza, ma non è questo un buon motivo per temerla, per starsene vigliaccamente in disparte.
Ricordo bene, invece, il momento in cui le rivolsi la parola.
Fui io a rompere il ghiaccio, cosa abbastanza inconsueta dato il mio carattere schivo.
Eravamo in barca, al largo del golfo di St. Julian's, molto prossimi all'isola di Gozo. Lei se ne stava in disparte, da sola. Tutti si divertivano al ritmo della musica e dell'alcool, almeno così mi sembrava. Si era seduta in quel punto, accovacciata, perché voleva attirare la mia attenzione, sperava che le rivolgessi la parola.
- Are you alone? le dissi.
Cominciò così.
Mi rispose che aveva la tosse, che era stata ammalata, indovinò subito che ero italiano.
Mi raccontò qualche dettaglio squisito sulla sua vita, le sue avventure nell'isola di Malta, il suo paese e la sua favolosa città: Istanbul.
Mi piacque subito, tanto. La nostra storia fu assolutamente platonica; non aggiunto un "è stato meglio così!" per non macchiarmi d'ipocrisia. Si protrasse per poche settimane e fu scandita da lunghissime conversazioni peripatetiche, durante le quali ascoltavo rapito il suo originalissimo punto di vista sulla vita e sugli eventi che la toccavano da vicino: i progetti futuri, le relazioni amorose, le mille ambizioni. Ciò che più mi ha colpito di lei è stata la (cordiale) fermezza nelle convinzioni, il rispetto di quelle altrui, la fede nel mondo delle idee e dell'amore. Ci lasciammo con la promessa di rivederci. Ma da allora, non ci siamo più incontrati, né scritti o sentiti.
Ho fantasticato molto su di lei, su Istanbul e i suoi minareti, sull'immenso fascino della cultura araba.
Ogni tanto, quando sono triste, mi soffermo ancora a contemplare la sua foto, e il suo sorriso spensierato mi restituisce intatta la gioia della felicità perduta.

 
 
 

Impunità (dal diario del 13.01.2008)

Post n°26 pubblicato il 20 Agosto 2009 da IlCercatoreDiParole
 

 

Ancora ubriaco.

Mi sono svegliato tardi, mi sono infilato sotto la doccia nel tentativo (rivelatosi vano) di smaltire la sbronza di ieri sera. L’indomani di ogni sera in cui alzo troppo il gomito mi sento sempre, irrimediabilmente colpevole. Non saprei fornire una spiegazione razionale: percepisco una sensazione di colpevolezza, punto e basta.

Oggi, tuttavia, la ragione di tale sentimento può essere ricercata in un paradosso, che mi appresto a narrare. Tutte le volte in cui mi capita di guidare ubriaco cerco sempre di percorrere le strade più sicure, quelle più deserte e isolate, dove non mi è mai capitato di imbattermi in un appostamento delle forze dell’ordine. Ricordo che proprio ieri mi vantavo con un amico dicendo: “fino ad oggi, non li ho mai incontrati. Posso stare abbastanza tranquillo, la distanza che mi separa da casa è breve e la strada è buia e poco trafficata”. Fatalità, li ho beccati proprio questa mattina, verso le quattro, dopo una notte brava in discoteca. Aperta parentesi: odio la parola “discoteca”, credo sia una delle più sintetiche nell’intero panorama della lingua italiana. Però mi vedo costretto ad usarla, perché i sinonimi sono pochi e il loro impiego denota uno sforzo dell’intelletto che si affanna inutilmente nella ricerca (locale da ballo, ritrovo notturno, e via dicendo). Quindi, siamo quasi obbligati a scrivere “discoteca”. Chiusa parentesi.

Ebbene, ho intravisto i lampeggianti di una pattuglia ferma sul ciglio della strada principale. Provenivo da una strada secondaria e, seguendo lo sconquassato percorso, mi sarei fermato in prossimità dell’incrocio dove i carabinieri si erano appostati. Avrei potuto fare inversione a U, ma la strada era stretta e dissestata, senza considerare che una siffatta manovra avrebbe attirato la loro attenzione. Un inspiegabile istinto di onestà mi ha spinto verso le forze dell’ordine a cuor leggero, come se il ritiro della patente non costituisse una sanzione da evitare attingendo ad ogni possibile risorsa, ma rappresentasse, invece, la remissione simbolica di tutti i miei peccati. Non dico che sarei stato felice, ma forse avrei tirato un sospiro di sollievo. Una Panda vecchio modello mi precedeva. Ho riacquistato subito un barlume di lucidità; credo che la mia espressione fosse seria e non tradisse del tutto l’imbarazzante quantitativo di l’alcol che circolava nel mio sangue. Un brivido mi ha percorso la schiena dall’alto verso il basso, ho percepito un’odiosa sensazione di freddo. Lo sguardo del carabiniere era serio, quasi compassionevole. Non mi hanno fatto accostare. Non saprei spiegarmelo, ma credo che abbia intuito la mia condizione e, ciononostante, mi abbia concesso l’ultimo, caritatevole gesto di clemenza. Così, ho superato il posto di blocco indenne, e sono rientrato a casa senza curarmi della mia mediocrità.

Forse, se stamattina mi sento colpevole, la ragione è legata (paradossalmente) al mio status di impunito.

 
 
 

Cronistoria di un viaggio

Post n°25 pubblicato il 19 Agosto 2009 da IlCercatoreDiParole
 

Before leaving

Sono in partenza per Firenze. Da Firenze prenderò un treno che mi porterà a Roma, da lì saliremo in auto e guideremo fino alla Calabria! E’ un’avventura incredibile! Il pensiero di dover guidare tutta la notte un po’ m’inquieta, ma in fondo spero di poter dire, con il senno di poi, di aver scelto il mezzo di trasporto migliore. Non aggiungo altro perché sono già in ritardo: devo ultimare i preparativi, accertarmi che nella valigia ci sia tutto l’occorrente, mettere i bagagli in macchina e partire!
Al ritorno spero di avere un po’ di tempo per dedicarmi alla lettura, e scrivere il resoconto delle mie esperienze e delle principali impressioni sulle pagine virtuali di questo diario.

Two weeks later…

Finalmente a casa. Ho trascorso due settimane in Calabria, ospite di alcuni amici di famiglia in un paesino pressoché sconosciuto della provincia di Reggio Calabria. Cosa raccontare del soggiorno? Confesso che non avevo mai visitato prima d’ora la “penisola nella penisola”, e adesso che è giunto il momento di scrivere un breve resoconto non posso trattenermi dall’esprimere incredulità e soddisfazione per un’esperienza unica.
La Calabria è una regione selvaggia, a tratti incontaminata. Ci sono alcune località turistiche piuttosto famose (in primis, Tropea), ma la maggior parte dei paesi vive ancora una condizione di relativa arretratezza. Il turismo non è sviluppato, gli stabilimenti balneari si estendono a macchia di leopardo, le spiagge sono semideserte (un confronto con la Versilia lascia a dir poco esterrefatti!), pochissimi i locali per l’intrattenimento dei giovani (se si escludono le città più importanti della regione).
La famiglia che ci ha ospitato risiede a Bova marina, un paese situato sulla punta estrema della penisola, tra Melito di Porto Salvo e Brancaleone Marina. A pochi chilometri di distanza, avventurandosi per una tortuosa strada di collina, è possibile ammirare un grazioso centro storico, alle pendici dell’Aspromonte: Bova. E’ un autentico gioiello architettonico; la Comunità Europea ha stanziato fondi per un progetto di restauro tuttora in corso. La valorizzazione e conservazione dei luoghi storici rappresenta senza dubbio un elemento chiave per rilanciare il turismo e l’economia di molte regioni italiane.
I paesi circostanti formano la cosiddetta area grecanica: un insieme di borghi antichi che affonda le proprie radici nella storica Magna Grecia. Non l’avreste mai detto? In realtà, non c’è da meravigliarsi: il mare è stupendo, non ha niente da invidiare a quello delle isole greche.

Ebbene, non avrei mai pensato di conoscere persone così ospitali e al tempo stesso rustiche, gioviali, sempre pronte a conversare e condividere il proprio vissuto.
Per usare un’espressione cara ai calabresi, mi sono davvero “scialato”!
Usanze e modi dire, persone e luoghi sono distanti non solo in senso geografico dalla nostra quotidianità. Ho apprezzato la semplicità dei vecchi. La prelibatezza di alcuni specialità culinarie: i pipichini, le melanzane alla parmigiana, la pasta alle melanzane, la ‘nduja, le trecce calde e il latte di mandorla, i fichi e i ficarazzi.
E ancora, il profumo intenso e raffinato del bergamotto, le granite con panna a Palizzi, l’antichissimo dialetto greco-calabro, la meravigliosa ospitalità degli abitanti del luogo.
I calabresi sono un popolo fiero delle proprie radici, custode delle tradizioni e orgoglioso della sua storia. Hanno capito, forse più dell’italiano medio, che conoscere la storia del proprio paese, della propria regione, della propria nazione significa conoscere ciò che siamo, acquisire consapevolezza della nostra identità.
E’ buffo come a distanza di pochi giorni senta già affiorare un sentimento di malinconia.

Chissà se, e quando, tornerò ad ammirare il lungomare di Reggio, o i suggestivi tramonti sul mare cristallino della costa calabra? Ogni partenza suscita in me emozioni contrastanti. Provo nostalgia, la volontà di custodire ricordi, frammenti del passato che temo di dimenticare. Ma sento anche che la tristezza è in un certo senso necessaria, compie un’azione rigeneratrice, di rinnovamento; rinverdisce la speranza in un futuro altrimenti avvolto nelle tenebre.

 
 
 
 
 

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