Un blog creato da tuttiscrittori il 07/10/2007

tuttiscrittori

A volte, quando si è un grande scrittore, le parole vengono così in fretta che non si fa in tempo a scriverle... A volte. (Snoopy)

 
 
 
 
 
 

SOSTIENE... KREMUZIO

Kremuzio

Sull'orlo del precipuzio

 
 
 
 
 
 
 

ALBERGO A ORE (HERBERT PAGANI) PERF. EDITH PIAF

 
 
 
 
 
 
 

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ARTE & DINTORNI

mostra evento di Costantino Giovine presso Il trittico - Roma Piazza dei satiri - inaugurazione sabato 26 febbraio alle 18.30

locandina

 

 

 
 
 
 
 
 
 

YOU'LL FOLLOW ME DOWN - LABORATORIO CONCORSO

Il presidente della giuria, Luigi Bernardi, ci comunica che

   The winner is Paolo Zaffaina

La motivazione:

Statale 61 è un bel racconto giocato su molteplici livelli, tutti resi con stile adeguato.
I continui cambi di prospettiva, fino allo scioglimento finale, ne fanno un testo godibile ed estremamente accattivante.
Un bel saggio di scrittura al servizio di un'ottima idea.

adesso rileggiamolo iniseme >>>clicca qui

Scrivere è viaggiare senza la seccatura dei bagagli (E. Salgari) 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Messaggi di Febbraio 2008

 

e Manfredi continua a sognare...

Post n°54 pubblicato il 28 Febbraio 2008 da tuttiscrittori
 

Probabilmente il nostro Giancarlo Manfredi - ancora lui - mangia pesante la sera...

"Munnezza"?

Fu un evento del tutto casuale, anzi una sequenza di processi tra loro indipendenti, impossibile certo da prevedere.
Si trattò forse di una miscela chimica unica, di una combinazione fisica erratica; il calore degli incendi, la fermentazione delle sostanze, il fulmine di un temporale...
L'alchimia della miscela divenne formula aurea e fu così che l'immondizia accumulata per le strade prese a vivere di vita propria.
Nei primi giorni nessuno notò le strane concrezioni di spazzatura: con tutto quello che accadeva, chi mai poteva pensare che quelle collinette di "munnezza" fossero in realtà i primi timidi tentativi che la creatura sperimentava per darsi una forma propria?
Ma nel frattempo il "quid" vitale si propagava, invisibile, tiepido liquame che portava con se per infiniti rivi fetenti, l'informazione primordiale: la scintilla della vita.
Fu una reazione nucleare, un processo a catena che coinvolse via, via sempre più pattume, fino ad arrivare alla massa critica.
Allora la capacità di calcolo e di memoria, l'abilità di produrre autonomamente energia e di costituirsi in un corpo materiale - scheletro, carne, muscoli, pelle, occhi fatti della stessa materia prima presente nella spazzatura non differenziata - si combinarono nel più spaventoso golem mai immaginato da creatura umana.
A centinaia, a migliaia si sollevarono dal loro stato di discarica abusiva e presero a sciamare lungo viali illuminati dai cassonetti in fiamme.
Con un unico desiderio: l'impulso, innato in qualsiasi essere senziente, di trovare il creatore e unirsi a lui.

 
 
 

POESIA

Post n°53 pubblicato il 26 Febbraio 2008 da tuttiscrittori
 
Tag: Poesie

Qualche giorno fa ho ricevuto un regalo da parte di un mio/nostro caro amico, Giancarlo Manfredi.
Un regalo fatto di parole, di parole che sanno emozionare profondamente.
E' una poesia di un'autrice sudafricana - Sindiwe Magona -  che non conoscevo (lacuna che cercherò di colmare al più presto) e che fin dalla prima lettura ha cominciato a risuonarmi dentro... e ancora non smette. Ed è un'emozione che mi piacerebbe condividere con voi...

ROCCIA

Sono una roccia
Risoluta e forte.
Sono una roccia
Dannatamente robusta; non lo dimenticare.
Se così non fosse,
Non sarei qui a raccontarlo.

Non continuare a criticarmi. E smettila di stupirti oltremisura:
le crepe che vedi sono ferite di guerra, amico mio.
Giorno dopo giorno, io sono in battaglia,
Giorno dopo giorno, io dichiaro guerra,
Giorno dopo giorno, io schivo e corro e mi sottraggo e sorrido;
Schivando i colpi delle randellate,
Schivando i colpi sbadatamente scagliati verso di me;
Schivando i colpi sconsideratamente rovesciati addosso a me;
Schivando i colpi orditi con astuzia
E quei colpi, profondamente radicati nel profondo della psiche della nazione.

E a quel punto tu mi domandi: ma perché sanguini?

Sono una roccia
Risoluta e forte
Se così non fosse,
Non sarei qui a raccontarlo. 

- Sindiwe Magona - AMREF

 
 
 

Dalla Vetrina

Post n°52 pubblicato il 22 Febbraio 2008 da tuttiscrittori
 

Cari amici, questa volta sorpresa DOPPIA!

Ci ha scritto Gianpaolo Duina, rivelandoci di essere un principiante assoluto e inviandoci il suo racconto "Una giornata qualsiasi"... che dire? Noi siamo rimasti colpiti e a questo punto aspettiamo con ansia la sua prossima "prova"!

Ed ecco anche  Renata Maccheroni, che invece scrive da molto tempo ed ha finalmente deciso di spalancare il proprio cassetto per condividere con noi questo suo particolare racconto: "Il piccione".

Ve li proponiamo entrambi...

UNA GIORNATA QUALSIASI (di Gianpaolo Duina)

Sembrava una giornata qualsiasi, una di quelle che a sera ti salutano e ti lasciano esattamente come ti avevano trovato la mattina. L'aria era solo più fresca e intorno si notava l'autunno che ovunque iniziava a spargere i suoi colori. Non ebbi nemmeno il tempo di spaventarmi quando fui colpito (leggi tutto )

*****

IL PICCIONE (di Renata Maccheroni)

L'uomo provava avversione per qualunque tipo di volatile, mai ne aveva approfondito il motivo e sempre si contentava di osservarli da lontano, in volo.
Fu agitazione quella che lo prese quando vide un piccione accomodato sulla balaustra del terrazzo. Appena ripresosi dall'abituale disgusto... (
 leggi tutto )


 
 
 

Lo scrigno

Post n°51 pubblicato il 17 Febbraio 2008 da tuttiscrittori
 

un racconto di Marittiello - Pensieroinespresso

Quando con un colpo di reni raggiunsi il cofanetto, il battito del cuore superò il livello di guardia.

Eravamo a non più di quattro metri di profondità con fondali sabbiosi e salmastri che rallentavano i movimenti del corpo e riducevano quasi a zero la visibilità.

Da dieci giorni stavamo esplorando il relitto, che era stato già spogliato di tutto da altri visitatori più esperti, più veloci e, sicuramente, più bravi di noi. Gavino, che conosceva quella costa palmo a palmo, ci aveva indicato, con sorprendente precisione, la zona dell’immersione. Guardando senza binocolo verso terra e fissando punti di riferimento che nessuno di noi riusciva a vedere, dopo quasi un’ora di mare, con una brusca virata, aveva puntato la prua verso il sole e gettato rapidamente l’àncora, senza dire nulla. “E’ qui?”, avevamo gridato in coro. Aveva annuito, ancora in silenzio. Ci eravamo preparati all’immersione un po’ scettici, ma con la voglia di saperne di più. Eravamo in quattro, oltre Gavino, ottimi nuotatori e buoni amici. “Andate giù! Che aspettate?” urlava, assicurandosi della tenuta dell’àncora. L’acqua era verde scuro e lasciava filtrare la luce per non più di due metri, mentre Gavino ci aveva detto che la profondità in quel punto era di circa quattro. Una piccola ferita in una secca che doveva essere lunga varie centinaia di metri. Dopo poche bracciate avevamo raggiunto la zona torbida fino ad arrivare a toccare la sabbia da cui emergevano, inquietanti, resti di fasciame e pezzi di albero conficcati ancora in profondità nel fondo marino. Freneticamente, con gesti convulsi, cercavamo di smuovere la sabbia che custodiva come uno scrigno, forse da secoli, il segreto di quella barca. Un’emozione fortissima durata i pochi minuti della riserva d’aria, ma destinata a ripetersi con la stessa intensità ogni qual volta, in quei dieci giorni, le nostre mani erano arrivate a sfiorare la superficie dello scrigno sabbioso. Ci immergevamo senza sosta, muovendoci su un’immaginaria linea orizzontale, cercando di sondare e smuovere la maggior quantità di sabbia, nella speranza di trovare…A dire il vero, non sapevamo neanche noi cosa sperassimo di trovare, ma eravamo certi che qualcosa sarebbe apparsa all’improvviso a dare un senso alla nostra immane fatica. E così fu. Durante una delle ultime risalite pomeridiane, mentre il corpo era ancora sul fondo in posizione orizzontale, prima di inarcarlo per puntare verso la luce, un colpo di pinna non era andato a vuoto, ma si era spezzato su qualcosa di duro che non era legno. Mi ero girato di scatto e avevo scorto, incastrato nel fasciame, un oggetto metallico che non ero riuscito a distinguere nettamente. Ero subito risalito senza compensare, per respirare a pieni polmoni e ritornare immediatamente giù, sperando di rivedere quello che avevo appena intravisto, mentre Gavino e gli altri dalla barca mi guardavano attoniti.

 

E così, quando con un colpo di reni raggiunsi il cofanetto, il battito del cuore superò il livello di guardia.

 

Dalla barca tutti mi tesero le mani per prendere l’oggetto che stringevo gelosamente sotto l’ascella destra, ma io lo tenni ben stretto e, con la spinta di un solo braccio, risalii a bordo stremato, lasciando cadere il cofanetto ai piedi degli amici. In realtà, vedemmo subito che non era un cofanetto, ma un bauletto metallico di colore indefinito, perché la ruggine e la salinità l’avevano rivestito nel tempo con una patina viscida di uno strano colore verdastro, che lo rendeva scivoloso come uno scoglio a pelo d’acqua coperto di piccole alghe. Cercammo inutilmente di aprirlo con le mani ma, non avendo ferri a disposizione in barca, non riuscimmo a spostare neanche di un millimetro il coperchio, che lasciava appena intravedere la fessura che lo separava dalla parte inferiore. Non vi erano feritoie per chiavi o anelli per lucchetti e dall’interno non proveniva alcun rumore. Sembrava pesantemente vuoto. Tornati in fretta a terra, Gavino si curò dell’apertura. Prese una lama tagliente e dura e con pazienza cominciò a disincrostare la fessura che separava il coperchio dalla piccola cassa. Un lavoro che durò quasi un’ora. Poi a colpi di martello riuscì ad entrare nella feritoia con due lame, facendo leva e, contemporaneamente, spingendole in senso orizzontale con un movimento ampio e risoluto dei polsi. Dopo un’altra ora circa il coperchio cedette.

Due dita di sabbia impastata d’acqua e nient’altro. Ci guardammo allibiti. Poi Gavino, col palmo aperto della mano, tastò il fondo della piccola cassa, filtrando la melma con le dita, come un cercatore d’oro fa col setaccio. Vedemmo il suo volto all’improvviso cambiare espressione. “C’è qualcosa”, urlò con gli occhi fissi nel buio impenetrabile del bauletto. “Sento qualcosa di ruvido”, aggiunse, questa volta a voce bassa, parlando a se stesso. “Dai, forza, tira fuori la mano”, gridai, roso da una curiosità ormai incontrollabile, che mi pareva superiore a quella degli altri che, invece, in sacro silenzio aspettavano la mano di Gavino, come si attende quella di un prestigiatore dal cappello a cilindro. Dal fondo melmoso della cassa, lentamente emersero, prima, due piccole stelle marine, poi il palmo della mano che le reggeva, come su un piatto, offrendole al nostro sguardo.

Erano intrecciate fra loro per un lembo, rigide e ruvide, ma ancora colorate, procurando in noi la stessa impressione che di certo provarono gli archeologi alla comparsa dei corpi avvinghiati di Ercolano.

La mattina dopo, con la prua rivolta al sole, Gavino le riconsegnò al mare.

Un raggio di luce le avvolse, accompagnandole delicatamente sul fondo, mentre in superficie due monete di sole con i lembi intrecciati segnarono, ancora per qualche istante, il loro passaggio.

 

 

 
 
 

lo adoro!

Post n°50 pubblicato il 16 Febbraio 2008 da tuttiscrittori
 

 ... suggerimenti agli aspiranti scrittori :)))

 
 
 
 
 
 
 
 
 

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BOCCONCINI DI SCRITTURA - 3

 

Terzo bocconcino caldo caldo. Da sbocconcellare in pochi minuti. Questa volta parliamo un po' del punto di vista del narratore. Prima persona? Terza persona onnisciente o quasi? (entra)

 

 
 
 
 
 
 
 

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