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TORINO. Lo scudetto dell’Inter come Bosman, punto di partenza di una rivoluzione del calcio scaturita da una sentenza della Corte Europea. L’idea è degli Amici della Juventus di Paolo
Bertinetti, l’associazione nata quest’estate, che raccoglie intellettuali, vip e molti esponenti del mondo accademico e che ha intenzione di dare battaglia fino alla fine per vedere restituito il tricolore della discordia, ovvero quello tolto alla Juve e assegnato all’Inter nel corso della terribile estate del calcio italiano.
All’attacco dello scudetto di
Moratti va, quindi, una truppa che va dall’economista Nerio
Nesi al violinista Salvatore Accardo,
dall’avvocato Andrea
Galasso al giornalista Piero
Ostellino, tanto per citare alcuni dei più celebri soci onorari dell’associazione, che ieri si è presentata ufficialmente, con il presentatore Massimo Giletti a condurre la conferenza.
Amore per la Juve e per la Giustizia, discorsi seri e aneddoti di innamoramenti profondi nei confronti della Signora, come quello narrato da Nesi: «Avevo appena assistito a un trionfale concerto di Accardo ed ero andato nel suo camerino per complimentarmi. Non ho fatto in tempo ad aprire bocca, che lui, appena sceso dal palco, m’è venuto incontro domandandomi: e allora? Cosa mi dici di questo
Ibrahimovic? Il pubblico stava ancora applaudendo, lui pensava già alla Juve».
E la passione di questi insigni tifosi non consente loro di assistere passivi a quella che viene definita da Galasso «la più grande ingiustizia della storia ». Ecco quindi il piano per portare fino al più alto grado di giudizio il nodo cruciale dello scudetto scucito da Guido Rossi.
Spiega Bertinetti: «In questo momento ci sono due ricorsi al Tar, portati avanti da due altre associazioni, l’Ego di Napoli e
Giù le Mani dalla Juve, qualora queste iniziative non dessero i risultati sperati, gli interessati potrebbero avvalersi di un ulteriore grado di giudizio, quindi la Corte Europea in termini di giustizia ordinaria, il tribunale del Cio (ovvero il Tas di Losanna) per quanto riguarda la giustizia sportiva. A quel punto noi saremo pronti a dare tutto il nostro appoggio giuridico alle due associazioni, mettendo a disposizione uno studio legale, per portare avanti questa battaglia».
D’altronde un eventuale pronunciamento della Corte Europea o del Tas dovrebbe essere accolto dalla Figc, come a suo tempo la sentenza Bosman diventò un obbligo per tutte le Federazioni europee.
Gli Amici della Juventus, insomma, non scherzano. Anzi, sì. Perché sullo scudetto scippato,
loro provano anche a riderci su e hanno istituito un concorso per la migliore barzelletta su Guido Rossi, l’ex commissario della Figc e in quanto tale, titolare del tavolino sul quale è stato assegnato lo scudetto all’Inter in estate. Mille euro (garantiti da un socio che ha voluto mantenere l’anonimato) di premio, vinto dalla seguente battuta, che nella barzelletta viene pronunciata dallo stesso Rossi: «Massimo, che dici, se ne accorge la Juventus se gli rubiamo uno scudetto? Ne hanno così tanti...».
I mille euro, però, potrebbero non essere mai intascati dal vincitore: la proposta dei soci onorari è infatti di devolvere in beneficenza la somma: «Il nostro concorso è partito un paio di mesi fa ed è terminato in un momento particolare, in cui forse ridere non è opportuno. Per questo vorremmo mettere quei soldi a disposizione della Questura di Catania, affinché venga pagata l’iscrizione all’Università del più meritevole dei figli degli agenti semplici. Un modo per ricordarci di quello che è accaduto la scorsa settimana».
Corte Europea, borse di studio, ma anche calciomercato, perché alla fine sempre di tifosi si tratta. E così l’ultima battuta è di Giletti: «Chissà se ci saranno abbastanza soldi per una grande campagna acquisti. Se no, non ci resta che sperare in un mio contratto con Mediaset. Se mi danno quanto all’interista
Bonolis posso contribuire al ri-acquisto di Ibrahimovic». Alessio Secco prenda nota del-l’offerta.
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VINOVO. Didier Deschamps è adirato, usa parole forti anche in tv dopo averlo fatto davanti alla squadra, tra quattro mura. Per spiegare che è infuriato, sceglie l’aggettivo, anzi la parolaccia, che da francese italianizzato, sa quanto possa rendere bene l’idea. «Sono inc... ». Eppure ha il pregio di non perdere mai il controllo. Qualcosa di assolutamente straordinario per un allenatore. Non smarrisce la freddezza, Deschamps, neppure quando deve commentare, davanti alle telecamere di Juve Channel,
l’inaspettata cassa di risonanza che ha evidenziato il faccia a faccia nello spogliatoio di lunedì scorso. Resta relativamente sereno, senza però nascondere un chiaro risentimento: «Non mi piace che escano certe frasi, non ha senso riportarle sui giornali, trasmettere all’esterno la vita del gruppo. Negli spogliatoi si può dire di tutto e non dovrebbero davvero uscire certe frasi...». Freddo ma decisamente piccato. Qualcuno non rispetta la consegna del silenzio, qualcosa non funziona come dovrebbe negli equilibri interni della squadra. Un altro allenatore al posto suo, uno a caso tra i predecessori o quelli che potrebbero essere i successori, avrebbe reagito con molto, molto meno aplomb.
Perché il momento di Deschamps è decisamente scomodo. E avrebbe offerto suo malgrado l’immagine di un tecnico che inizia a soffrire di solitudine se non fosse per un tempestivo intervento dell’ad Jean Claud Blanc, ieri sera su Sky. Tempestivo, anche se forse lo sarebbe stato ancor di più qualche giorno fa. L’opera di stimolo esercitata da «alcuni quotidiani» ha infine provocato qualche effetto. «Da parte nostra c’è massima fiducia nei confronti dell’allenatore che sta svolgendo un ottimo lavoro. Ha gestito bene il gruppo nonostante gli infortuni, anche se non ha mai potuto schierare la stessa difesa... Grande fiducia a Didier che ha guidato ottimamente la squadra nella prima parte della stagione, fiducia anche per l’esito finale e per il futuro, che sarà ancora con questo allenatore come del resto prevede il suo contratto. Deschamps fa parte totalmente del progetto che è stato presentato al Consiglio di Amministrazione ». Così Blanc rimette in ordine la situazione.
Sono le parole che Deschamps attendeva. Il disagio resta comunque evidente. Non ha fatto in tempo a confutare ( con l’aiuto di Trezeguet) le voci che dipingono uno spogliatoio lacerato, che subito si è visto costretto a prendere nota degli spifferi che dallo stesso spogliatoio soffiano verso l’esterno. E dire che l’insofferenza dell’allenatore era addirittura precedente a questi ultimi sviluppi. Era direttamente collegata alla prestazione allegra dei bianconeri a Vicenza.
«Possiamo fare meglio di così. Sono ancora inc... per quello è successo sabato scorso. Ma ora c’è da pensare alla prossima partita, contro il Crotone, e a non commettere gli stessi errori di Vicenza». Dove la Juve cadetta ha vissuto una giornata esemplare in negativo. «Dà fastidio buttare via due punti. Abbiamo tenuto l’atteggiamento giusto per un’ora, poi abbiamo mollato. Al primo gol del Vicenza sembrava ci fosse crollato il mondo addosso. Dobbiamo imparare a non permettere agli avversari di rientrare in partita grazie ai nostri errori». Probabilmente Deschamps aveva previsto che proprio in questa fase della stagione sarebbero emersi problemi sul piano psicologico. «Ma non si è trattato di presunzione. Siamo calati psicologicamente, il calo è stato anche fisico. Tutto questo mentre gli avversari prendevano fiducia. Bisogna lavorare su questi aspetti, correggere queste imperfezioni sarà importante». Lavorare, lavorare e lavorare, come già aveva detto Blanc.
Viene il dubbio che alla Juve, in questo momento, manchi soprattutto un giocatore di personalità a centrocampo. Uno alla Deschamps, in poche parole. «Ma io sabato in panchina mi sono inc... esattamente come mi sarei inc... in campo. La partita la giocano i ragazzi, io cerco di prepararli a tutte le situazioni che si possono incontrare nel corso dei novanta minuti. Ma non sempre è sufficiente». Non può bastare, specie se il rendimento della squadra non è costante nel corso di una partita. «Non riusciamo a restare aggressivi per tutti i novanta minuti. Così rischiamo ogni volta di buttare via il risultato». E che in questo modo la Juve rischi addirittura di non risalire in serie A, Deschamps lo aveva già detto all’interno dello spogliatoio. Tra spifferi e venti di tempesta.
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TORINO. Adesso la palla passa all’Uefa. Perché, dopo aver incassato il sì del Comune di Torino e la doppia garanzia da parte del Governo e della Federcalcio nell’arco di ventiquattr’ore, alla Juventus non resta che attendere il 18 aprile la decisione del massimo organo calcistico europeo di assegnare gli Europei 2012 all’Italia per trasformare la vittoria per il nuovo Delle Alpi in un vero e proprio trionfo. Il club non può che essere soddisfatto perché già sono andate in porto due delle tre condizioni che ha posto per partire con il rifacimento dello stadio: all’ok della città alla variante del piano regolatore, ha fatto subito seguito l’impegno da parte dei ministeri competenti, attraverso il protocollo d’intesa firmato con la Federcalcio, di garantire agevolazioni finanziarie a tasso zero, o comunque vicinissimo allo zero, sugli interessi maturati dal prestito di 120 milioni di euro, tanto è il costo dell’opera.
Un punto focale perché l’amministratore delegato Jean Claude Blanc aveva più volte ribadito che l’aiuto del Governo è basilare per il progetto stadio. Non a caso ieri mattina il Consiglio di amministrazione della Juventus è stato in costante contatto con Roma in attesa di notizie confortanti dalla riunione a Palazzo Chigi. Al termine dell’incontro, il sottosegretario allo Sport Giovanni Lolli ha immediatamente telefonato al presidente Giovanni Cobolli Gigli
per rassicurarlo dell’esito positivo del confronto. Nella sede della Juventus è arrivata poi una seconda telefonata, altrettanto fondamentale: il commissario Luca Pancalli ha chiamato
Blanc per illustrargli il «piano Marshall» della Federcalcio sugli stadi. Un’iniziativa rivoluzionaria che fa della Juventus la società pilota nell’ottica di avere sempre più stadi di proprietà dei club. In pratica, i debiti che la società si accolla per costruire il nuovo impianto non saranno conteggiati nei parametri per l’iscrizione al campionato: per costruire lo stadio, non sarà dunque necessario vendere David
Trezeguet.
Le garanzie romane hanno permesso alla Juventus di rompere definitivamente gli indugi: il Consiglio di Amministrazione bianconero ha così dato mandato all’amministratore delegato di sottoscrivere gli impegni necessari per completare la documentazione a supporto della candidatura italiana. «E’ un passo avanti per la costruzione della Juventus del futuro - ha sottolineato Blanc -, anche se solo il 18 aprile potremo avere la certezza che il nostro progetto possa prendere forma. Oggi non possiamo che esprimere il nostro apprezzamento per lo spirito di collaborazione della Città di Torino, che ha approvato in tempi straordinariamente rapidi il nuovo progetto di stadio e il protocollo d’intesa, e per l’approccio costruttivo di Figc e del Governo, che hanno compreso gli sforzi della società, apprezzando il nostro modo di interpretare il calcio». Stamattina il dossier della Juventus arriverà in Federcalcio: un’impresa al fotofinish perché è l’ultimo incartamento mancante (le altre sette città candidate hanno già consegnato i loro impegni) per completare la documentazione da presentare domani all’Uefa.
Terminata la questione stadio, e in attesa del 18 aprile, la Juventus si concentra adesso sul piano di sviluppo a medio termine, meglio conosciuto come piano industriale. I consiglieri di amministrazione hanno avuto gli incartamenti nello scorso CdA e sono chiamati ad analizzare le strategie e i numeri. Anche nell’incontro di ieri i dirigenti hanno continuato a lavorarci, come spiega il direttore finanziario Michele Bergero: «Essendo un piano di cinque anni gli scenari possibili sono legati a molte variabili. La prospettiva cambia, per esempio, se si costruisce o meno lo stadio. Occorre perciò ponderare bene ogni scelta, a seconda anche delle risorse a disposizione, come i diritti televisivi, e della stessa categoria di appartenenza. E’ chiaro che l’obiettivo del management è quello di riportare la Juventus a livelli di grande competitività. Gli investimenti sulla squadra restano la priorità». E proprio in nome dei rinforzi per affrontare, nella prossima stagione, il ritorno in serie A, il piano di sviluppo dovrebbe essere approvato entro la fine di marzo e non aspettare metà aprile per sapere la scelta dell’Uefa. «Lo stadio incide sugli anni più lontani del piano quinquennale, adesso c’è urgenza perché si sappia quanto prima l’ammontare delle risorse destinate alla campagna acquisti» ammette Bergero.
Cifre ufficiali non ce ne sono ancora, ma indiscrezioni parlano di 35 milioni a disposizione degli uomini mercato per costruire una squadra forte. L’ok al piano deve però arrivare dal-l’Ifil, la società finanziaria della famiglia Agnelli che detiene il 60 per cento del capitale Juventus e che ieri ha vissuto uno dei momenti più difficili della sua storia. La Consob ha infatti sospeso per sei mesi il presidente Gianluigi Gabetti e per quattro Franzo Grande Stevens dagli incarichi nei CdA delle società quotate in Borsa e inflitto sanzioni per 16 milioni di euro ai vertici di Ifil e della Giovanni Agnelli & C. in relazione alla vicenda dell’equity swap su azioni Fiat, un’operazione finanziaria di due anni fa che consentì alla famiglia Agnelli di mantenere il ruolo di azionista di riferimento del Lingotto, nel momento in cui le banche si trovarono a possederne il 28 per cento.
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TORINO. Un divorzio. Un brutto divorzio. Da qualunque lato lo si guardi, quello tra la Juventus e Igor Tudor è un divorzio che non può essere considerato indolore. La società bianconera informa che il 7 febbraio 2007 ha presentato ricorso, ai sensi dell’articolo 15 dell’accordo collettivo tra calciatori professionisti e società sportive, al Collegio arbitrale della Lega nazionale professionisti, richiedendo la risoluzione del contratto con il calciatore, o, in subordine, la riduzione alla metà del suo compenso, fino alla scadenza del contratto di prestazione sportiva (30 giugno 2007). Nell’attesa del responso, il club. Già si ritiene svincolato, il giocatore. Che difatti se n’è andato a Monaco di Baviera per farsi curare dal luminare del Bayern, su consiglio di Robert Kovac. Insomma, divergenze sulla rieducazione, dopo l’operazione alla caviglia in agosto e il lungo calvario, compreso un soggiorno in Belgio. Saltato il trasferimento all’Hajduk, Tudor ha cercato altre vie per provare a tornare a giocare, ben sapendo che il contratto era in scadenza. Così, ad un certo punto, ha rotto gli indugi; ha deciso di muoversi e di lasciare Vinovo. Definitivamente.
Tra l’altro, alla famiglia in Croazia ha detto di aver optato per un divorzio «consensuale » e «amichevole», per non lasciarsi da nemici, dopo una storia comunque lunga, con qualche nota lieta ( strepitoso un gol al Real Madrid in Champions League) e diverse delusioni. L’anno a Siena l’aveva rilanciato su buoni livelli, così le partite con la nazionale croata in coppia con Kovac che poi avrebbe ritrovato alla Juve, nell’estate dei processi e della retrocessione. «Ho deciso: da ora in poi giocherò come difensore centrale. A ventotto anni è meglio la stabilità, basta con il su e giù dal centrocampo al reparto arretrato», aveva detto nel ritiro di Pinzolo. Invece, dopo l’amichevole con lo Spezia a Rovereto, lo scontro con Dionigi, è iniziata l’odissea. Sino all’allontanamento dalla Juve.
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TORINO. Da qui alla fine del campionato Didier
Deschamps potrà lavorare serenamente e portare a termine la missione aziendale che gli è stata affidata l’estate scorsa dal nuovo
management: riconsegnare la Juventus subito alla serie A. Poi, una volta raggiunto questo obiettivo, i dirigenti del club prenderanno in considerazione il futuro, cioè l’assetto della squadra per la stagione del riscatto e dell’aggancio alla Champions League, che porta in dote gloria e denari. Tanti denari. Il primo a rendersene conto è proprio il diretto interessato che, nonostante si picchi di non leggere i giornali e di prestare poca attenzione alle tv, non vive sotto una campana di vetro. Sa di essere un osservato speciale e di coesistere con il fantasma di Marcello Lippi, il suo maestro. Ieri Deschamps ha ricevuto il sestegno dello spogliatoio, benissimo, ma il consolidamento della sua posizione sbriciola qualsiasi alibi sulle prestazioni che non soddisfano e sulla frenatona dell’ultimo mese: messo nella condizione per esprimersi e per esprimere le potenzialità del gruppo, di gran lunga il più competitivo, il tecnico francese è quasi obbligato a vincere e a convincere. Sempre lo spogliatoio, attraverso David Trezeguet, megafono collettivo per un giorno, ha raccontantato di non essere spaccato, di non avere all’interno teste calde e contestatori, bensì di puntare coeso verso un’unica direzione. Naturalmente assieme all’allenatore. Una presa di posizione - nell’ordine - scontata, doverosa e utile: non ci fosse stata sarebbe scoppiato il finimondo.
Conviene andare oltre e non fermarsi alle parole ancorché importanti e pesantissime. Deschamps è stato encomiabile nel tenere unita la Juventus tra luglio, agosto e settembre, in pieno marasma di Calciopoli, e ha dimostrato una discreta abilità nel lanciarla subito all’inseguimento della vetta della classifica, ma è fuori discussione che una volta raggiunto il vertice si sia un po’ afflosciato. E, con lui, la squadra, vittima del mal di trasferta e - per la verità - del mal di infermeria. Una flessione che ha cominciato a preoccupare i dirigenti e che ha aperto contemporaneamente un tavolo di riflessione per il futuro. Sostenere che Didì sia già stato bocciato è una menzogna, dire che la società stia valutando il modo in cui affronta il girone di ritorno a livello di gestione umana, tecnica e tattica dell’organico invece è la pura verità. E si tratta di un’accortezza che rientra nei diritti di chi deve poi rendere conto al padrone. Non tutti, ad esempio, condividono l’emarginazione “ a prescindere” di Valeri
Bojinov, che avrà pure difficoltà a frenare la lingua però rimane una risorsa dei bianconeri; molti gli imputano uno scarso ascendente sui giocatori, perché se da un lato non è necessario essere dittatoriale come Capello dall’altro è indispensabile spogliarsi della veste di ex giocatore: ci sono situazioni in cui è doveroso usare il pugno duro e non guardare in faccia nessuno, neppure i ricordi; non tutti sono d’accordo sulla lettura che fa delle partite: dall’esordio a Rimini fino al pareggio di Vicenza, troppe scelte a gara in corso hanno sollevato perplessità e c’è il sospetto che qualcuno gli suggerisca consigli sbagliati.
Ecco la ragione per la quale Lippi è qualcosa più di un’ipotesi. L’ex ct della Nazionale fino a prova contraria è il più bravo del mondo, ha totale possesso dell’ambiente, conosce la maggior parte dei giocatori, è un allenatore di cervelli, gode dell’amore incondizionato dei tifosi, stimola sentimenti di riscatto solo a nominarlo, è pronto a rituffarsi nella mischia dopo una stagione di vacanza per disintossicarsi dallo stress del Mondiale. A primavera deciderà dove prendere domicilio, intanto si guarda intorno: Silvio Berlusconi lo considera l’erede di Carlo Ancelotti, se e quando il tecnico di Reggiolo cambierà aria, dall’estero giungono proposte anche suggestive, però la Juventus rimane la Juventus. Il secondo ritorno lo consegnerebbe a una dimensione sacrale e il fatto di poter rivincere in bianconero senza l’ombrello protettivo della Triade rappresenta uno stimolo professionale straordinario persino per chi ha fatto razzìa di successi. Chi ha minima confidenza con Lippi sa che non interferirà nell’attività di un collega, meno che mai di Deschamps, con il quale ha condiviso momenti indimenticabili: per questo non uscirà allo scoperto prima del tempo, né se dovesse firmare per la Juventus, né per un’altra società. Resterà a Viareggio, si lascerà cullare dalle onde del suo mare, consumerà il telecomando. Aspettando una telefonata: prefisso 011...
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