UNA VOCE

Questo blog, un mondo un cuore ... UNA VOCE, nasce per dare voce a Karl. Un innocente ingiustamente condannato e rinchiuso in carcere da 20 anni. Sopravvissuto a 14 anni di isolamento, senza nessun contatto umano, senza un abbraccio o una semplice stretta di mano. Sopravvissuto in un mondo crudele in cui la morte, la tortura, la violenza, il grido dei pazzi sono il pane quotidiano … Un uomo che desidera comunicare al mondo la conoscenza appresa dalla sofferenza, dalla profonda introspezione, dal contatto con lo spirito universale, il Creatore, gli Angeli…

Creato da Lakota13 il 03/02/2010

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KARL LOUIS GUILLEN - UNA VITA DA INNOCENTE NEL CARCERE IN U.S.A. - La sua voce attraverso i suoi libri

Post n°7 pubblicato il 03 Giugno 2010 da GayusElenMoyam
 

Betrayal of Innocence

 

Florence, Arizona - Giugno 2001; K.L.Guillen, autore Internazionale, fornisce con Betrayal Of Innocence uno sguardo approfondito dentro i confini di un carcere Americano.

Ai margini del deserto di Sonora, in mezzo al nulla dell'Arizona, c'è un inferno senza eguali;
Il Cork, un carcere di 2400 uomini, circondato da alte mura rossicce sormontate da filo spinato a rasoio, dove i gladiatori combattono ancora fino alla morte, e i matadores non lasciano l'arena senza averla inzuppata del loro sangue. Nei sotterranei, sotto i tori ed i leoni, in celle celate al pubblico, un'esistenza folle e surreale si fa beffe dei bandi contro la detenzione in isolamento e degli ipocriti trattati per i diritti umani.
In questo vortice viene gettata l'innocenza. Brock McCool è stato condannato a 15 anni di detenzione nel Cork per un crimine che non ha commesso, ma che se rivelato significherà certamente per lui una morte violenta.
Video segreti su calunniose storie di sesso, psicopatici serial killer simili a squali, e anche l'amore e l'amicizia, figurano nello svolgersi degli eventi. Ora, se solo Brock MacCool riuscisse a sopravvivere a questo vortice... questo Tradimento dell'Innocenza.
Poiché questo lavoro si basa sull'esperienza diretta, lo sguardo che ci viene offerto da dietro le sbarre dell'industria carceraria Americana è cupo e complesso.

Seguono alcuni estratti.


 

 Dal primo capitolo:
Comincia la fine


Straight Ray era un tossico di vecchia data, e Brock lo aveva aiutato a superare le sue crisi di astineneza, nonostante fosse bianco e Straight Ray nero. C'era qualcosa in quell'uomo che gli piaceva, oltre ai suoi racconti di lotta per la vita di strada. Sempre sotto l'effetto della droga. Sempre alla ricerca del prossimo buco e vendendosi per ottenerlo.
“Sto bene, Ray. Grazie di avermi svegliato.”
“Lascia perdere, amico.”
Brock aspettava la prossima frase.
“Me la lasci quella radio, vero?”
Brock ridacchiò fra sé. Erano cinque giorni, da quando Ray aveva scoperto che Brock stava per andare in giudizio, che faceva dei velati accenni a quel cazzo di radio da 20 dollari con le cuffie. Tutti i detenuti sapevano che non si potevano portare la radio al carcere di stato. C'era un piano fra i sistemi carcerari di stato e quelli della contea; le radio venivano confiscate dallo stato e rivendute ai detenuti della contea.
“Finiscila di rompere con quella radio, Straight Ray.” Brock si riappoggiò al materasso poi aggiunse: “In più sei talmente vecchio che comunque non potresti sentire niente. Ti ho visto leggere le labbra.”
“Sei pazzo amico, se ci sento proprio bene, MacCool.” Straight Ray si rimise giù pensando a come poteva convincere il ragazzo bianco a lasciargli la radio. Si pigliano più mosche col miele, ripeteva in silenzio il vecchio assioma che il suo compagno gli diceva sempre fino al giorno che è morto. Perse il filo dei suoi pensieri quando la piega del suo gomito destro gli cominciò a pizzicare il ché gli scatenò un crampo alle budella. Il bisogno impellente, fisico e mentale, di farsi una dose lo prese alla pancia e gli venne da scoreggiare da quel vecchio tossico malato che era.
“Ah Ray, amico.
Credevo che le tue crisi d'astinenza fossero finite”
“Non è più quello, ragazzo, e solo che mi ci devo abituare.”
Brock lo lasciò dire. “Però gira il culo dall'altra parte.” Aveva programmato di lasciare la radio al vecchio che non possedeva nulla, ma doveva essere sicuro che nessuno della sua stessa razza la volesse. Uno doveva stare attento a non venire bollato come traditore della propria razza. C'era un codice che lui stava ancora cercando di imparare, che dettava legge nelle relazioni interazziali. Specialmente per ciò che riguardava i regali. Lui capiva che Straight Ray, con i suoi 22 anni di esperienza di carcere, lo sapeva. Portare rispetto significa buona intenzione. Faceva tutto parte del gioco.

(...) “Quindici anni senza condizionale?” Straight Ray ci pensò su.
Non era sembrato così tanto quando era uscito dall bocca del giudice, ma adesso l'idea lo paralizzava. Avrebbe avuto quasi 47 anni quando e se fosse uscito. Passato il fiore degli anni, passata la sua gioventù. Niente risparmi, niente pensione. Il suo socio nell'impresa di mantenimento delle piscine si era trasferito di nuovo in California, da dove erano venuti per cercare affari migliori.
Brock sentì su di sé un sottile moto di compassione. Il suo sguardo tornò al vecchio.
“Andrai al Cork.”
Brock aveva già sentito prima quella parola. Era il carcere più duro dello Stato dell'Arizona, e da quel che aveva detto Ray, "pericoloso come un ago sporco." La gente lo usava come un biglietto da visita che significava che chi era stato là era un duro e poteva avere una sua propria gang, o essere collegato a una delle tre gang carcerarie. In altre parole, non fatevela con nessuno del Cork. I nodi erano venuti al pettine, ma cercò di non mostrare alcuna emozione. Specialmente la paura, il nemico più grande che un uomo possa avere quando sta dentro, dove i leoni e predatori minori, ma pur sempre predatori, potevano recepirne l'odore lontano un miglio.

(...) Ma si manteneva sano e vigoroso, sempre con la speranza che Heather avrebbe ritrattato e avrebbe raccontato la verità. Ma lei non lo avrebbe fatto, pensava ricordando le parole di sua madre. Una volta che una donna mente è raro che ritratti, a meno che la sua menzogna non venisse provata. Sotto quel punto di vista le donne erano differenti dagli uomini.
“Cerca solo di sopravvivere,” lei gli aveva detto al telefono. Lui si era sforzato di udire la sua debole voce al telefono del carcere. “Cerca solo di sopravvivere,” lei gli aveva ripetuto. Aveva promesso di farlo. “Ti voglio bene,” era stata l'ultima cosa che Brock le aveva detto, senza essere nemmeno sicuro che lei lo avesse udito.

(...) Che ci faceva lì? Mio Dio? Mi farai uscire da tutto questo? Chiese in silenzio, tornando con la mente a casa, come un figliol prodigo. Come avevano fatto migliaia prima di lui.
Desiderò ardentemente di essere fuori nel deserto, tra i Joshua trees, la yucca, i cactus e le piante della scopa. Ogni tanto recepiva un movimento, una lepre Nordamericana o un cinghiale dell'Arizona. Aveva percorso questa strada molte volte nei due anni che era stato qui, ma non l'aveva mai apprezzata prima come faceva adesso. Poteva essere l'ultima volta, una voce gli diceva, così stava a fissare fuori cercando di non battere le palpebre, mentre il monotono ronzio delle ruote faceva da sottofondo musicale.

(...) Girò la testa per vedere il furgone che partiva. Dietro il parabrezza le guardie erano atterrite, paralizzate. Fissò Ramirez per un secondo poi il furgone li lasciò. Era stato abbandonato, gettato oltre le linee nemiche per essere torturato e giustiziato in ogni maniera loro volessero. La realtà del tradimento della società portò lacrime roventi, ma lui combattè per trattenerle, non volendo dar loro questa soddisfazione. Il dolore crebbe e gli scappò un'altra maledizione. Un calcio lo colpì, lo bloccò e lo sollevò rigettandolo sulla schiena. Le manette gli si serrarono istantaneamente ai polsi, ora intrappolati contro le reni.
Poi tutto tornò tranquillo. "Chi gli ha tirato un calcio in faccia? Chi di voi due stronzi l'ha preso a calci?” abbaiò una voce nuova.
Il sangue gli riempì di nuovo la bocca e lui tossì e boccheggiò. Sentì l'ondata cremisi scorrergli giù per il mento e il collo mescolandosi ai capelli. Era finito tutto velocemente come era cominciato. Fu salvato dal fatto di essersi morso la lingua.
“Benvenuto al Cork,” disse il Sergente Winslet. “Portatelo in infermieria.”
Una sirena risuonò nell'unità.
“Benvenuto nel mio mondo, galeotto,” lo avvisò McGill.

Dal terzo capitolo: Arrivo e Verifica

Fuori si fermò e guardò il sole che tramontava. Lo toccò neI profondo, nella parte istintiva della sua anima, e lo turbò. Questo fenomeno quotidiano sempre disponibile per tutto il genere umano, che basta che uno si fermi a guardarlo e che è preso per scontato, se ne sente la mancanza solo quando si è infognati in una cella senza vista. E' non è solo qualcosa di cui si sente la mancanza, ma qualcosa a cui si anela, come il compagno della tua vita ora perduto.

Dal quinto capitolo:
Seguendo la corrente


Erano passati quasi tre mesi dalla sua iniziazione. La sua lingua era guarita, una cicatrice rosa allo specchio quando si lavava i denti era l'unico ricordo. Lì in carcere veniva rispettato e nessuno lo pigliava per il culo, nemmeno Negro. Ma era sempre sottoposto a pressioni e a decisioni da prendere; Special K voleva che lui provasse di essere uno dei Bianchi. Questo faceva appello al suo bisogno di una famiglia. Era qualcosa che aveva perso quando suo padre aveva lasciato lui e sua madre in giovane età. L'urgenza di avere la protezione di una famiglia, di avere legami di sangue, era forte. Tormentava il suo buon senso che gli diceva di aspettare che i suoi appelli si fossero conclusi per decidere se unirsi o no a una gang. Ma sapeva anche che Special K aveva detto a Negro di smetterla di rompergli le balle. Eppure quello sporco Messicano aveva un modo di stargli addosso! A volte quando era disteso in cuccetta si immaginava con un coltello in mano, e poi tagliava la gola a Nigro, o lo pugnalava, faccia a faccia, occhi negli occhi, con il coltello che entrava e usciva, appiccicoso di sangue e di intestini, guizzanti come pesci argentei, che si rovesciavano dal buco in mucchi enormi. Questi pensieri morbosi lo tenevano sveglio fino a tardi, eppure lui sapeva che non doveva lasciare che quell'uomo gli fottesse il cervello. Poi c'era la questione della sua razza. Lui era in parte Indiano. Cosa avrebbero pensato i Bianchi del suo perpetuare un inganno simile? Non pensava che la cosa sarebbe piaciuta ai sostenitori della razza bianca, nonostante avesse visto alcuni fratelli dall'aspetto dubbio. Lo stesso Special K era a malapena razzista. Sarebbe andato bene come Bianco?

Dal sesto capitolo:
Come sabbia tra le dita...


Si girò verso la foto e tirò fuori un taccuino chiedendosi se quello che Petey, e quasi ogni altro detenuto, diceva fosse vero; che c'era un invisibile buco nero, dopo due anni, che risucchiava le persone amate e le faceva sparire in un vuoto chiamato, Lontano Dagli Occhi, Lontano Dal Cuore. La gente si scordava dei detenuti, o per una scelta inconscia, o per allontanarsi dall'inferno che c'era dietro i recinti e le mura. Abbandonavano semplicemente. Per il detenuto cessavano di esistere, eccetto che nella sua mente. Di solito ci volevano due o tre anni e, come granelli di sabbia tra le dita, scivolavano via, dimenticandosi dei loro amici o parenti in prigione. Dopo un certo periodo rimanevano solo pochi granelli di sabbia. Normalmente i genitori o i nonni e qualche raro coniuge molto eccezionale.

(...) Tirò fuori un nuovo pezzo di carta da disegno e cominciò ad abbozzare la rosa, mentre un'ondata di speranza gli cresceva nel petto. Le sarebbe piaciuta una rosa disegnata? si chiese Brock quando finì e gli dette un'occhiata scettica. La sua rosa migliore fin'ora. Se solo avesse avuto qualcosa per aggiungeci un po' di colore, pensò, poi si mise a cercare una penna rossa.
Riusciva a sentire tutt'attorno l'odore del burritos che si cuoceva giù nella cella di Chuck, e lo stomaco gli brontolò.

Dal settimo capitolo:
Conoscendo il linguaggio

Aveva un'ora per scrivere. Erano le nove. Alle dieci la luce doveva essere spenta, eccetto che per coloro che avevano da fare del lavoro legale, o che avevano degli appoggi. Le parole riempivano la pagina, sui suoi disegni, sulla bellezza di lei, sull'amore, sul sesso, e sull'onestà. Non si rendeva conto della solitudine che guidava le sue parole piene di passione e amore. Dopo, quando rilesse la lettera, quasi la strappò, ma che cavolo, pensò. “Con affetto Brock,” si firmò. "Spero di vederti..." Fece un postscriptum: "Questa l'ho quasi strappata. Scusa se è così sdolcinata. Un sorriso."
Sigillò la busta, ci mise un francobollo e la mise sulle sbarre. La guardò per un attimo, chiedendosi, sperando. Le guardie avrebbero letto quelle parole e questo lo spinse ad allungare la mano e riprenderla. Ma la lasciò lì. Se non avesse spedito questa lettera avrebbe perso la possibilità di lei e di tutte quelle cose piacevoli che lei gli avrebbe procurato, anche solo con la sua presenza nella vita di lui.
Aveva controllato ogni parola dell'ultima lettera di Lisa, e aveva cercato di afferrare ogni metafora e ogni sottigliezza racchiusa nelle parole, nelle frasi, nelle espressioni. Le domande erano tante riguardo quella semplice firma “Sinceramente tua, Lisa.”

 

Cosa significava il cuore, disegnato in rosso, accanto al suo nome? Cosa significava "Chiamami"? Poi c'era il profumo, che procurava una sensazione fisica alle sue fantasie già vivide.
"Ho bisogno di una donna", mormorò fra sé, cercando di immaginarsi Lisa dal collo in giù, poi anche lui si unì al coro della notte.

Dal sedicesimo capitolo:
Yin e Yang


Il campo di ricreazione era nel solito stato dopo una rissa o un accoltellamento. Come in un film, dove le comparse attendevano l'ordine del regista; “AZIONE!”
Faceva caldo, nemmeno un po' di brezza offriva refrigerio. Il cielo era azzurro. Una giornata perfetta, pensò Brock mentre si avvicinava alla porta. Una tranquillità sinistra stava sospesa nell'aria.
Contro il muro, proprio all'interno della serie di porte collegate, sedeva un ometto che fumava una sigaretta. Brock pensò fosse un detenuto bianco, ma non aveva sentito di problemi con nessuno.
“Cool,” Brock sentì quella forma sospetta che lo chiamava. Oltre le porte, vicino all'edificio della ricreazione, Brad lo spione stava seduto con Dale e Special K. Brock si focalizzò velocemente sull'uomo.
“Chuck?” fece di corsa gli ultimi 20 metri. “Chuck?”
“Piano,” disse Marcia. Non l'ascoltò.
“Ma che cazzo, Chuck?” chiese Brock, lasciando cadere la barella accanto al suo amico.
Vide il sangue che scorreva dalla bocca e dal naso di Chuck.
Con un sorriso sanguinolento Chuck disse, “Di' fratello, credo che ci sia del fumo che mi esce dalla schiena.” Fece un debole tiro di sigaretta e tossì.
“Chi ha fatto questa stronzata?”
Prima di parlare Chuck si guardò intorno per assicurarsi che nessuno sbirro fosse a portata d'orecchio. “Brad la spia.” Tossì.
“Metti via quella fottuta sigaretta, figlio di puttana.” Ma gliela lasciò.
“-prendimi da dietro-” Tossì. Sanguinò. “Credo che qui abbia scoperto la sua professione.” Mouse lottò per respirare prima di parlare.
“Mi ha bucato i polmoni. Di' addio a Rachel per me-”
“Chiudi quella fottuta bocca.“ Brock cercò la ferita. “Tu non morirai fratello.” Vide tre profonde ferite in punti vitali.
“Tu sei l'unico che mi chiama con rispetto, fratello - ti voglio bene amico.”
Una debole risata si trasformò in tosse. Il sangue inzuppò la sigaretta fino alla brace. Sfrigolò e si spense. “Dovresti vedere la tua faccia...”
Un residuo di vita passò sugli occhi castani di Chuck ed era andato.
“Chuck?" Su! - Fratello?” Brock tirò su il corpo dell'amico e lo mise sulla barella. Vide Marcia proprio mentre lo raggiungeva.
Ferita posteriore al polmone! Mettiamogli la maschera d'ossigeno e portiamolo all'elicottero di soccorso!”
Vide le lacrime ma non disse nulla. “Li ho già avvisati - Fai piano così gli posso mettere l'ossigeno.”
“Su piccolo amico!” Insistè Brock, pompando il petto di Chuck. Aveva imparato la rianimazione dall'Infermiera Rein e ora la praticava come se la sua stessa vita fosse dipesa da quello. Non avrebbe dovuto perdere tempo parlando di stronzate su Brad la spia e Rachel, si rimproverò mentalmente e pigiò più veloce.
Il battito si affievolì, se mai c'era stato. Stavano andando troppo velocemente e a scossoni perché lei potesse leggere i dati. Si dette una mossa, per la prima volta da quando aveva cominciato a lavorare al Cork, ma non voleva dirgli di no, o che il suo amico era andato.
“Piano!” Ordinò una offuscata forma marrone, e fu ignorata.
Raggiunsero l'eliporto improvvisato al limite Est dell'unità, una sezione quadrata di una cinquantina di metri stracolma di sudicio. Era qui che molti erano morti, aspettando arrivasse l'elicottero ironicamente chiamato "di soccorso". Per dieci lunghi e dolorosi minuti Brock continuò a pompare il magro torace di Mouse, e chi lo vedeva era spinto ad aiutarlo da ciò che era solo la sua volontà, pura e semplice. Nessuno era capace di dirgli che era finita.
“Non è finita proprio per niente!” Gli urlava Brock quando ci provavano.
Il suono martellante dei rotori che battevano l'aria gli ricordava quei film sul Vietnam, dove John Wayne atterrava, gettava grugniti e occhiate assenti dentro il fango e raccoglieva i feriti dallo sguardo vitreo. Sentiva le voci, suoni cupi e gorgoglianti come se il mondo intorno a lui avesse cominciato a muoversi a rallentatore. Il vento e la polvere lo attaccarono ma lui combattè, muovendo i pugni serrati su e giù, su e giù; sangue dentro, sangue fuori. Vide entrare la polvere negli occhi di Chuck. Batti le palpebre Chuck, perchè non batti le palpebre?, si chiese.
“Figliolo, lascialo andare adesso figliolo.” Il vecchio veterano del Vietnam guardò dentro il suo passato quando osservò il viso di Brock. Aveva guidato troppe azioni di salvataggio in zone calde, dove gli uomini rimanevano accanto ai loro camerati morti, con gli occhi pieni lacrime e cadevano in preda a shock proprio lì nel bel mezzo del fango. Aveva pronunciato quelle parole centinaia di volte prima, in quelle fosse puzzolenti piene di merda, e adesso ripeteva loro: “Figliolo, noi ci prenderemo cura di lui. Lo abbiamo preso noi.”
Brock alzò lo sguardo, oltre le bianche sopracciglia cespugliose, in quegli occhi fidati. C'era un collegamento telepatico. Permise alle mani di qualcuno di staccare le sue dal petto di Chuck e poi il suo amico venne portato via in fretta. I due medici della squadra di soccorso continuarono la rianimazione, il che gli dette una confortante speranza.
Ma il vuoto non fu colmato.
Chuck, il piccolo amico, Mouse, topolino, non Rat, spia, ma Mouse, era andato.
Sentiva freddo. Strano, pensò, il sole splendeva forte.
“Addio, Chuck,” sussurrò in mezzo al battito dei rotori.
“Brock? MacCool?” Marcia Glasser vide ciò che stava per accadere. “Guardia!”

 

 
 
 
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