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Post n°112 pubblicato il 19 Marzo 2008 da gaibo
19 MARZO 2008
Il nostro autista ha 38 anni. Ci insegna qualche parola di curdo e, con un po’ di fatica capiamo che ha una moglie e tre figli. Mentre ridiamo e scherziamo scopre il suo braccio che mostra delle grandi calcificazioni ai polsi. Con l’aiuto dell’interprete ci racconta che le fratture sono dovute ad una seduta di tortura subita con l’accusa di avere due fratelli “arruolati” nella guerriglia. I militari lo arrestarono con l’accusa di detenzione di armi destinate ai guerriglieri. Ma a mettere quelle pistole nel bagagliaio della sua auto, proprio durante la perquisizione, erano stati gli stessi poliziotti.
Ogni famiglia curda ha storie come questa da raccontare: storie di repressioni, di brutalità, di torture e violenza contro persone che chiedono solo di vivere liberi sulla propria terra.
UN ALBERO CHIAMATO AZADOgni famiglia curda ha storie come questa da raccontare: storie di repressioni, di brutalità, di torture e violenza contro persone che chiedono solo di vivere liberi sulla propria terra.
L’intera giornata è stata dedicata ad Hasankeyf, stupendo sito archeologico che la diga di Ilisu sommergerà. Gli abitanti di questo luogo da sogno sono destinati ad andarsene come tutti gli abitanti dei villaggi circostanti (circa 50 mila). Per il momento non hanno nessuna certezza riguardo la riallocazione degli abitati, con buona probabilità andranno ad alimentare le masse di sfollati che trovano spazio nelle periferie delle grandi città di questa regione.
La loro terra, le loro piccole case saranno sommerse, come i resti della nostra civiltà nata lungo il Tigri, in Mesopotamia.
Non si vedrà più l’alta cupola del minareto che da sempre ospita il nido delle cicogne. Non si potrà giungere in cima alle colline per vedere i resti archeologici confusi tra le grotte naturali, per osservare il volo dei falchi o coricarsi sull’erba immaginando la vita degli Assiri, i medi e gli Ottomani che in questo luogo hanno vissuto.
Uno scempio che diventa violazione di diritti per chi qui è nato e vuole continuare a vivere. E un sopruso a cui è necessario opporre un secco no. Insieme a tutte le delegazioni europee ci siamo così dati appuntamento oggi ad Hasankeyf per chiedere insieme ai nostri compagni curdi di salvare questo incantevole sito in cui affondano anche le nostre radici storiche. Eravamo in tanti, con i nostri striscioni ed era presente anche la deputata del Dtp Ayla Akat, oltre al vicesindaco di Hasankeyf e agli studenti dell’Università e i rappresentanti di associazioni e della società civile.
La loro terra, le loro piccole case saranno sommerse, come i resti della nostra civiltà nata lungo il Tigri, in Mesopotamia.
Non si vedrà più l’alta cupola del minareto che da sempre ospita il nido delle cicogne. Non si potrà giungere in cima alle colline per vedere i resti archeologici confusi tra le grotte naturali, per osservare il volo dei falchi o coricarsi sull’erba immaginando la vita degli Assiri, i medi e gli Ottomani che in questo luogo hanno vissuto.
Uno scempio che diventa violazione di diritti per chi qui è nato e vuole continuare a vivere. E un sopruso a cui è necessario opporre un secco no. Insieme a tutte le delegazioni europee ci siamo così dati appuntamento oggi ad Hasankeyf per chiedere insieme ai nostri compagni curdi di salvare questo incantevole sito in cui affondano anche le nostre radici storiche. Eravamo in tanti, con i nostri striscioni ed era presente anche la deputata del Dtp Ayla Akat, oltre al vicesindaco di Hasankeyf e agli studenti dell’Università e i rappresentanti di associazioni e della società civile.
Come segno di speranza e di pace qui abbiamo piantato molti alberi. Alcuni ragazzi curdi ci hanno chiesto quale nome avevamo scelto per il nostro albero e così abbiamo deciso di chiamarlo “Azad”, che significa libertà.
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