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Ortografia e politica

Post n°128 pubblicato il 01 Gennaio 2012 da ventus68

Ultimamente lo scontro politico si è spostato su un argomento che, apparentemente, è tutto tranne che politico: l’ortografia. Come tutti sappiamo la parola ortografia deriva dal greco e significa “giusta” ma in senso letterale sarebbe meglio dire retta, scrittura, vedi piano ortogonale, ovvero angolo retto, diritto.Da tutto questo potremmo, a torto, dedurre che i greci erano fissati, dico i greci antichi, con l’ortografia. In verità dell’ortografia ai greci antichi non è mai importata una emerita sega. Scusate il lieve toscanismo. Scrivevano, infatti, su papiro, tutte lettere maiuscole, attaccate l’una all’altra, senza neanche preoccuparsi dell’inizio o della fine delle parole. Facciamo un esempio: FACCIAMOUNESEMPIO. Ecco come un greco antico avrebbe scritto un blog. Ora questo ha un motivo preciso: per i greci la scrittura era un mero e semplice promemoria. Qualcosa che doveva aiutare la memoria e si dava per scontato che, nell’esempio di poco fa, qualsiasi persona non del tutto rimbambita avrebbe decifrato, facilmente, quel FACCIAMOUNESEMPIO in: facciamo un esempio. Le minuscole, nascono, soltanto col medioevo, ma l’ortografia dovrà aspettare ancora un bel po’. La moderna ortografia, tanto per intenderci e per andare di corsa, nasce solo con la fine del Settecento e l’Ottocento, quando la diffusione di giornali stampati impone un canone comune a tutti. Leopardi scrive ancora sgrammaticato, impipandosene di molte nostre convenzioni ortografiche, seguendo l’esempio di gente come Petrarca, Boccaccio e quant’altri. Detto questo, qualcuno potrebbe dire, e allora Saviano che si rifà a Pirandello o Landolfi ha torto o ragione? Ha torto ed ha ragione. Ha torto perché ignora, pare, che la questione dell’ortografia, risolta a partire da Manzoni, contrappose fino all’Ottocento toscanisti e anti-toscanisti. In parole povere chi, come Bembo, voleva che solo le parole toscane avessero diritto di accoglienza nei nostri vocabolari e chi, invece, come Castiglione, ma anche Leopardi, preferivano un italiano colto, dotto, internazionale (per modo di dire: dalla Sicilia al Piemonte, insomma). È quindi ovvio che, negli autori passati, io trovo qualsiasi esempio mi convenga, per giustificare un mio errore. Leopardi, per esempio, scrive il zappatore, ma qualsiasi scolaro delle medie sa che si dovrebbe scrivere, al limite, lo zappatore. E allora lo scolaro che, come Saviano, allegasse l’esempio leopardiano per prendere sei avrebbe ragione? E’ certamente una questione di stile: io posso, tranquillamente, usare una grafia arcaica e scrivere, se sono uno scrittore, conciosiacosaché, come Della Casa, ma se attuo questi stilemi, come Landolfi, lo devo fare sempre e consapevolmente. Noto tra parentesi che il mio correttore ortografico mi segna in rosso, come errore, conciosiacosaché, nonostante sia usato da alcuni dei più importanti scrittori italiani del Seicento. Il mio correttore ortografico, suppongo, non ha quindi mai letto Della Casa o Dante, il Convivio. Lo sbaglio di Saviano, che scrive in un italiano moderno standard e non certo in landolfese è quello di aver usato esempi antichi per errori moderni, come appunto un moderno scolaro che pretendesse di farci passare il zappatore perché usato da Leopardi. No, noi non scriviamo come Leopardi, come Dante e come Landolfi, a meno di precise scelte stilistiche. È un po’ come se io giocando a scacchi, ad un certo punto, vista qualche difficoltà, cambiassi regole del gioco e introducessi quelle della dama. Non vale Saviano. A me mi (e lo uso consapevolmente) frega una sega che tu scriva qual è o qual’è. Ma se ti sfugge un accento non tirare in ballo Pirandello o Landolfi che avevano standard di scrittura diversi dai tuoi. Dì semplicemente che hai sbagliato, che ti è scappato un apostrofo di troppo. Certo per uno che, di lavoro, fa lo scrittore, non è il massimo: è come un cameriere che scoreggiasse ad un ricevimento (anche il verbo scoreggiare non risulta al mio correttore ortografico), ma sono cose che capitano.Tu Saviano devi solo accettare di non essere il Papa, D’Annunzio e Landolfi e, quindi, di non essere infallibile

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