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Ricordo di Padang

Post n°490 pubblicato il 01 Ottobre 2009 da vertiginek

Padang conta più di ottocentomila abitanti. Era una di quelle città in cui si respira l’aria delle vacanze. Della felicità. Quell’atmosfera che si ritrova solo in quegli angoli di mondo in cui le condizioni di povertà passano in secondo piano per motivi che a noi – turisti, occidentali, ricchi, benestanti, annoiati e con la puzza sotto al naso – resteranno per sempre ignoti. A Padang la gente vive alla giornata. Lì non esiste domani, ma solo oggi. Non si pensa al futuro, perché il presente è urgenza. Nessuno ha il tempo materiale, durante la giornata, di pensare a ciò che sarà. Ho visitato Padang poco tempo fa, assieme ad amici indonesiani di Sumatera. Una gita di qualche giorno prima di fare tappa in un’isola meravigliosa della zona. Sovia e Julianto mi parlavano di Padang come del paese dei balocchi, dove c’è aria di festa, dove anche senza un soldo in tasca si può godere di un mare e di una spiaggia da sogno. Mentre mi raccontavano, pensavo a quanto siamo poveri noi occidentali. Poveri di testa, di cuore, di animo. Svuotati dal troppo.
Bella Padang, crocevia di turisti che vanno e vengono da questa e da quell’isola. Julianto mi ha mandato un sms quando ancora in Italia non era arrivata la notizia del terremoto devastante. Immagino che abbia scritto quando la terra ha cominciato a tremare; immagino che avrà pensato ad un’ennesima scossa di sisma a cui gli indonesiani sono abituati ma subito si è reso conto che questa volta era diverso. Mi ha scritto: “end”. Il suo telefono non squilla più e il numero di casa risulta sempre occupato. Seguo minuto per minuto le notizie che arrivano. La conta dei morti è interminabile, come quella dei dispersi e dei senzatetto. I tg riferiscono di Padang come di un enorme cimitero. Penso ai miei amici, alle loro case di legno e paglia. Mi viene in mente quel chiosco in cui ci fermammo a bere succo di cocco e una scimmia mi portò via gli occhiali da sole. Alle bancarelle colorate del mercato dove io e Sovia ci regalammo un braccialetto che vale più di brillanti e diamanti promettendoci che ci saremmo riviste una terza, una quarta e anche una quinta volta.   
E mentre penso a questo, mi sento violentata dalle cazzate sparate a raffica da gente con cui non avrò mai niente da spartire. Sento da quasi un’ora un imbecille (un dirigente da 70mila euro l’anno) che si lamenta perché la macchinetta del caffè stamani non gli ha dato dieci centesimi di resto. Lo cheti uno tsunami mentale.

 
 
 
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