« non mi abbandonare!e l'estro continua.... »

due menti un solo amore....per i cani...e mi chiamavan mimì dedicata da maurizio...

Post n°17 pubblicato il 02 Agosto 2008 da atlantide_112
 
Tag: amore, cani, per

L’ ultima lacrima

 

Amava i cani Vasco, li amava da sempre, forse una delle poche stravaganze di una vita normale, dedicata alla famiglia, alla casa, al lavoro. Una vita normale e un amore segreto, bello e impossibile per Mimì. Da bambino il desiderio di avere un cane fu frenato dal padre che non  gli permetteva neanche di mettere il guinzaglio ai suoi per una passeggiata, per via della convinzione che quelli abituati a giocare con i bambini divenivano inetti alla caccia. Un po’ più grande ne ebbe uno tutto suo, un trovatello, una bestiola raccattata in strada con la quale condivise le sue scorribande per lunghi mesi. In quei tempi non esisteva la baby sitter nè la Play Station, i padri andavano al lavoro e le madri si occupavano delle faccende domestiche e dei lavori nei campi. Giornate di fatica, sotto il sole in cambio di un cesto di pomodori o di un fascio di erba per i conigli. Non c’ era miseria ma non era neanche periodo di vacche grasse. I bambini passavano le giornate in strada e la strada era la loro maestra di vita. Ringo era il compagno di giochi un trovatello  meticcio mezzo cane da caccia e mezzo da guardia, fu amore a prima vista, si trovarono ivi e in passarono insieme giornate indimenticabili agli occhi di un bambino. Il loro legame fu interrotto due volte e dentro l'anima il ricordo era ancora vivido. La prima volta  il papà di Vasco caricò in macchina Ringo e lo abbandonò in un paese vicino cercando di mettere fine a questo rapporto, a suo modo di vedere, troppo ingombrante. Vasco si disperò per la scomparsa del suo amato amico, i genitori cercavano di convincerlo che era scappato in cerca di libertà ma lui non abbandonò mai la speranza di ritrovarlo né si perse d’ animo. Tutte le sere faceva il giro del paese urlando a squarciagola “Ringo, Ringo” ! Poi una sera il destino volle che, mentre era in macchina col padre, lo vide lungo la strada, saltò dall’auto tamente in fretta che il padre fece appena  in tempo a frenare e saltando dalla gioia Vasco abbracciò Ringo con un abbraccio infinito e tenero. Per i genitori fu giocoforza riportarlo al paese. La seconda volta la separazione fu definitiva e atroce causa una fucilata di un vicino di casa al quale Ringo aveva ammazzato una gallina. Vasco pianse  per giorni quella cattiveria assurda e accanita sul suo piu caro amico e maledì con tutto il cuore il vicino che dopo anni si suicidò con una coltellata in gola facendogli provare anche un po’ di rimorso, come se l'esito della sua jettura avesse avuto effetto su quell'uomo dal cuore assassino. Poi venne il periodo dell’ adolescenza, delle frustrazioni, delle polluzioni notturne, degli amori immaginari e immaginati, si allontanò dal suo amore viscerale per i cani ma 18 anni ottenne  la sua  prima licenza da caccia. Amava i cani Vasco e con i suoi cani era stato sempre amore a prima vista. Se ne rese conto la prima volta che si trovò a scegliere un cucciolo tutto suo. Era partito da casa con l’ idea di acquistare un setter bianco arancio maschio poi, una volta nel box una moltitudine di cuccioli lo circondarono e cominciarono a fargli le feste, lui distribuì carezze a tutti poi uno per volta questi si allontanarono e tornarono ai loro soliti giochi, solo uno rimase con lui dimostrandogli la voglia e l’ intenzione di diventare il suo cane e fu così che invece del setter maschio dal manto bianco arancio, portò a casa Tundra, una Pointer dal mantello bianco nero. Amava i cani Vasco, e dopo Tundra ne ebbe molti altri e con tutti fu amore e complicità. A tutti perdonò le marachelle e a tutti dispensò carezze, anche quando avrebbero meritato una punizione. Forse per questo i suoi cani lo amavano. Lui aveva compreso in tutto il tempo osservandoli e vivendoci di fianco, che il sentimento che lega il cane al padrone non è di affezione ma di amore puro, perché nessun essere vivente ama incondizionatamente come ama il cane, senza se e senza ma, sempre, nella buona e nella cattiva sorte, senza cedere a nessuna lusinga, dando tutto senza chiedere in cambio niente.

Vasco cresceva e l'età delle stagioni che passavano inesorabili lo portarono a pensare che quando sarebbe arrivato il suo momento gli sarebbe piaciuto che questo fosse avvenuto in montagna con la compagnia dei suoi cani , che fosse avvenuto in  una giornata bella di luce e sole con il tepore della primavera . Pensava che gli sarebbe piaciuto diventare vecchio ma non vecchio rimbambito, insomma se ne sarebbe voluto andare nel pieno delle sue facoltà intellettive, lontano da letti di ospedale, flebo, ossigeno e diavolerie varie; piuttosto in montagna, su quella montagna che per lui era stata ragione di vita, con la sola compagnia dei cani e del pensiero per Mimì. Gli piaceva pensare che tutto fosse avvenuto alla svelta, giusto il tempo di rendersene conto, di ripercorrere velocemente a ritroso la sua esistenza, di ringraziare Dio per le cose belle che gli avevano dato gioia e per quelle meno belle che avevano contribuito a formargli il carattere.

 

Vasco era ormai diventato vecchio, quel giorno si sentì pervaso da una strana inquietitudine, forse era l’ ansia della vigilia. Il giorno dopo si sarebbe dovuto ricoverare per degli esami all’ ospedale. Lo aspettava una operazione dall’ esito incerto alla sua età. Era vecchio e malandato, il cuore era stanco e affaticato, i polmoni non funzionavano più a dovere e le articolazioni erano ormai arrugginite e causa di forti dolori,. Il freddo e le bagnature provate in gioventù si facevano sentire inesorabilmente e per lui, abituato a salire sulle cime delle montagne, era diventato difficoltoso anche salire i gradini delle scale di casa.

 

Quel giorno lo assalì una strana smania, una smania che lo aveva animato per anni e da anni aveva ormai represso. Approfittando dell’ assenza dei suoi familiari tirò fuori gli abiti di caccia riposti da tempo e cominciò a vestirsi con movimenti misurati e solenni che ricordavano  la vestizione dei guerrieri prima di un duello all’ ultimo sangue. Prese la doppietta dalla fuciliera e le baciò le canne,il suo pensiero corse ai cani e si diresse nel box  Dardo e Furia, i pointers del figlio, sonnecchiavano pigri nel box e quando lo videro arrivare furono sorpresi di vederlo vestito in quel modo con la doppietta in spalla,ma lo seguirono senza timori. Arrivato in montagna aprì il cancello di filo spinato e cominciò a salire il sentiero che aveva percorso centinaia di volte fino a qualche anno prima.  Il viottolo che aveva sempre percorso speditamente sembrava un muro insormontabile ma lui non si perse d’ animo, arrendersi non era nelle sue note e con passo lento, pesante, frenato dall’ affanno e dai dolori alle articolazioni continuò l’ ascesa. Il sentiero era una ferita inferta ai fianchi della montagna non ancora completamente cicatrizzata, in alto disegnava un ampia curva che assecondava il pendio in quel punto più dolce, la fine di questa curva era una porta che immetteva in quella che era la sua piccola Crimea, un posto segreto, magico, dove per anni aveva vissuto bellissime emozioni di caccia in compagnia dei suoi cani. Dardo e Furia cercavano con buona lena e le aspettative non furono deluse. Andarono in ferma simultaneamente proprio lungo il tragitto, dove i carpini erano più radi. Vasco si avvicinò lentamente e al suo arrivo la beccaccia partì rapida, poi stranamente fece una virata improvvisa e tornò a ritroso passandogli davanti, pulita e lenta, per il più facile dei tiri. Sollevò il fucile e mirò; quando gli fu di fianco i loro sguardi si incrociarono, gli occhi marroni e profondi della beccaccia lo confusero, rimase ammaliato a guardarli come impotente. La beccaccia approfittò del momento favorevole e si dileguò scendendo lungo il sentiero. Vasco pensò all’ occasione mancata, ma stranamente non ne fu rammaricato, ripensò allo sguardo di quegli occhi languidi, dolci e teneri che lo avevano penetrato,quasi come se fosse lo sguardo di una donna innamorata. Fu cosciente che il peso del fucile cominciava ad aumentare così come il ritmo della respirazione e dei battiti del cuore. Si sedette in terra appoggiando la schiena ad un albero, Dardo e Furia gli furono accanto in pochi istanti, li accarezzò come aveva fatto tante volte con i loro padri  anni prima, quando insieme festeggiavano la cattura di una preda. Si rese conto che stava accadendo qualche cosa di grave e provò una profonda angoscia anche se stava avvenendo nel modo che aveva sempre desiderato. Il vento sospingeva le nuvole contro le rocce facendo assumere loro dei contorni indefiniti e cupi. In una sorta di delirio onirico cominciò a vedere tutto quello che lo circondava ora nitidamente ora offuscato, al ritmo segnato dai battiti del suo cuore che sembravano cannonate sulle tempie; la nebbia che si era impadronita delle pendici della montagna e dei suoi occhi, a tratti oscurava tutto. Il respiro era sempre più affannoso capì che era arrivato il suo momento. Vide la beccaccia risalire il sentiero che aveva disceso, poi la vide scomparire tra i flutti della foschia e come emersa dalle viscere della terra, vide una figura esile, diafana, dai lunghi capelli biondi venire nella sua direzione,era lei , era lei col suo sorriso gioioso e con il suo sguardo audace, era circondata da una luce vivissima e accecante,gli fu accanto ,Vasco l'accarezzo con lo sguardo , il suo volto e quegli occhi languidi, dolci e teneri, Mimì....la mia tenera dolce Mimì che se ne era andata qualche mese prima,in  una mattina di settembre ,mentre fiorivano i glicini nel suo giardino , quell'anno i grappoli di fiori erano di un colore cosi lilla chiaro da sembrare bianchi come candidi fiocchi di neve al sole . Mimì col suo amore eterno era li e  gli porgeva  la mano dicendogli “vieni Vasco, sono venuta a prenderti”. Provò un grande senso di dolcezza quando l’ ultima lacrima gli rigò il volto.    

 
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