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Post N° 52

Post n°52 pubblicato il 11 Dicembre 2006 da purafolliadgl

 

Una creatura è invischiata nel fango, ha gli abiti
sudici di questa melma grigia, fa fatica a tenersi in piedi,
il peso
della terra sporca è insostenibile, i muscoli sono in tensione
come un Prometeo incatenato, ogni movimento risulta
rallentato, appesantito, difficile. Nell’atto di voltarsi
ovvero avvitarsi
su se stesso nel pieno dello sforzo, la creatura mostra le ali.
Anch’esse, come il resto del corpo, sono lerce ed
imbrattate di terriccio, gocciolanti, neanche il ricordo di
 quelle che
furono quando vibravano nell’aria consentendogli di
spiccare il volo
nel cielo. Ora pendono in basso bagnate, ipotoniche, atrofiche:
arti inutili, arti mal funzionanti, arti nel fango come esperienza
di dolore. La creatura nel fango fu un angelo dalle ali bianche
che, distratto alle cose della terra, faceva giravolte nel cielo
avendo come unico disegno quello di avvicinare la stella più
grande, la più luminosa. Era un angelo solitario, appartato,
così soddisfatto delle proprie ali bianche da risultare sordo ai
rumori che gli uomini urlavano nei loro mille traffici.
Il cielo era
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l’unica parte della casa ove ogni creatura cessava il suo verso,
le sue parole, i suoi latrati, il suo guaire esasperato.
E l’angelo
amava dire in silenzio affinché nessuno ascoltasse, nessuno
replicasse il suo pianto. Ora l’angelo nel fango ricorda la sua vita
celeste e silenziosa con una certa rabbia.
Quando decise di volgere
lo sguardo agli uomini trafficanti, ebbe un sussulto e fu
sul punto di desistere. Partì verso il latrare umano
divenendo improvvisamente maleodorante. Intuiva che qualcosa
non avrebbe funzionato ma la necessità di andare era più forte
del bisogno di restare nel cielo. La potenza del desiderio
degli angeli è pari alla massa universale. Un angelo che
volge lo sguardo agli uomini è origine di maremoti. Quando
l’angelo precipitò nella melma, ci fu effettivamente un
maremoto. L’angelo solleva lo sguardo al cielo, smette di tirare,
tutto sembrerebbe compiuto, non resta che desistere e
lasciarsi andare nella terra.
Ed invece.
Abbassa lo sguardo a terra, ricomincia a tirare, una nuova
forza sembra impossessarsi di lui, le ali battono a liberarsi
della melma per farsi di nuovo leggere, non è tutto perduto,
bisogna tirare più forte, bisogna lasciare esplodere i muscoli,
allargare le braccia, serrare le dita in un pugno di rabbia, allargare
le gambe e fare presa maggiore a terra. E’ possibile venirne
fuori, è possibile volare via dal fango. L’angelo smette di
guardare i suggerimenti celesti e fiducioso offre i
suoi occhi alla
terra fangosa, in quel misto di argilla, sangue, sudore, pianto,
forza, desiderio, muscoli, ossa, petrolio.
“Avevo in mente di scriverti qualcosa qui..e leggendo capisci
da solo perché mi ha ricordato te..t bacio”








 
 
 
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