Ira Viola
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3.1 Il
blog come piazza
Dalle
risposte del 20% dei blogger intervistati emerge chiaramente
l’insoddisfazione per la realtà che minaccia la loro
personalità a favore della realtà virtuale che invece
aiuta a essere se stessi. Nella virtualità ci si sente più
veri che nella realtà perché si è veramente
liberi in quanto siamo noi che ci creiamo la nostra interfaccia secondo i nostri gusti, la nostra percezione estetica e dunque la
nostra personalità, non come nella realtà dove sono gli
altri e la società ad imporcela. Come affermava il sociologo
Erving Goffman in Il rituale dell’interazione (Il mulino,
Bologna, 1988) "quando
un soggetto ha la sensazione di essere esposto con la propria faccia,
egli prova un senso di fiducia e sicurezza". Il profilo è dunque una
sorta di carta
d’identità che non ci chiede quanto siamo alti e di che
colore abbiamo i capelli, ma ci chiede cosa ci piace e cosa invece
non ci piace. Ci guarda dentro e non fuori. E questo, in una società
dove l’immagine vale più della sostanza e modelli imposti
dalla cultura ci perseguitano per omologarci al sistema dei valori e
dei canoni dominanti, è rivoluzionario. Possiamo esplorare noi
stessi dando voce a tante identità quanti sono i lati del
nostro carattere.
Come i personaggi pirandelliani si
dimenano sul palcoscenico cercando il proprio autore, che dia loro
una forma e la possibilità di esistere, così le
particolarità della nostra personalità possono emergere
dal torpore che domina nella vita quotidiana ed esprimere il bisogno
di confrontarsi. Negata l’identità, somiglianza, mimesi e
riproduzione formale perdono senso e un ritratto può essere
reso in chiave simbolica, in assenza della persona, per mezzo di
tracce e gesti che ne descrivano le pulsioni emotive, l’universo
interiore.
Sherry
Turkle, sociologa al MIT, dopo vent’anni di ricerche sul campo,
pubblica La vita sullo schermo (Apogeo, 1997) dove si chiede
se la vita reale e la vita virtuale siano veramente mondi distinti e
separati ed evidenzia come il nostro rapporo con il computer stia
modificando la nostra mente e i nostri sentimenti. E’ interessante
ed esplicito questo estratto che segue, da un’intervista per il
quotidiano La Repubblica del 31 maggio 1999:
Quando
si va online, quando si accede a un servizio in Rete, una chat, ci si
chiama “Il ragazzo Armani”, in un’altra “Il Motociclista”,
in un’altra ancora si usa il proprio nome. Quando scegliamo un
determinato nome, compiamo il primo passo verso la creazione di
un’identità grazie alla quale potremo esplorare diversi
aspetti di noi stessi. Non è vero, dunque, che in Rete si
sviluppino identità molteplici o disturbi della personalità;
piuttosto ci si accorge di poter attraversare le varie componenti
della propria natura e credo che in questo modo si arrivi ad
apprezzare meglio il fatto che dentro ognuno di noi c’è una
molteplicità di componenti. Siamo stati abituati a concepire
l’identità come una specie di unità: io sono ‘uno’.
Oggi si guarda all’identità come a una realtà molto
più fluida, che risulta dall’insieme dei tanti sé che
coesistono all’interno dell’uno. Perciò credo che il
nostro concetto di identità stia davvero cambiando man mano
che approfondiamo la conoscenza di noi stessi mediante questo nuovo
mezzo di comunicazione.
C’è, nell’uomo
contemporaneo, la necessità di esistere in uno spazio nella
rete, non più nella luce come nella fotografia, nel movimento
come nel cinema o nelle frequenze come nelle radio libere. Oggi, nel
nuovo millennio, c’è bisogno di una rete che ci acchiappi
tutti e ci sollevi dalle acque torbide di un mare in tempesta?
Nella realtà siamo troppo
alienati, indecisi e premurosi verso la nostra immagine reale, mentre
nel virtuale, con una maschera rappresentata da vari elementi come il
nickname o la grafica del blog, riusciamo a non avere pudori. Ognuno
di noi, andando a scuola dalle elementari al liceo, ricorderà
sicuramente il compagno emarginato, quello deriso, vittima di ogni
genere di bullismo, di solito perché grasso, non vestito alla
moda o con i brufoli. Costui entrava in aula per primo e ne usciva
per ultimo, evitando i contatti con i compagni. Si portava dentro di
sé, ogni anno, un fardello, il peso di essere lo scemo del
villaggio. Non possiamo stupirci se ragazzate adolescenziali hanno
delle conseguenze serie su di un ragazzo più debole degli
altri, così questo giovane avrà sempre paura del
contatto, avrà paura di essere simpatico perché troppe
volte gli hanno riso in faccia, avrà paura ad avvicinarsi ad
una ragazza perché è sempre stato snobbato dalle
compagne. Per lui, la possibilità di interagire con gli altri
attraverso una chat sarà magnifica, quasi provvidenziale. Il
computer, in questo caso, agisce come la livella di Totò: ci
rende tutti uguali. Così il bel ragazzo, idolo delle
ragazzine, in una comunità virtuale sarà considerato
allo stesso modo del ragazzo con i brufoli. Perché l’idea di
noi, che vogliamo dare, possiamo crearla a tavolino, con tutto il
tempo di riflettere e decidere. Se non va bene si può sempre
cancellare, forse con questo gesto estremo una parte di noi morirà,
ma sarà sempre e in ogni caso una nostra libera scelta.
Viviamo nella rete come su di una
piazza, di una città immaginaria, utopica, fondata veramente
su noi stessi, e non come nella realtà che è fondata
sul lavoro, sulle gerarchie e sul valore del denaro. Nella realtà
virtuale ci si veste di parole e di immagini sotto lo sguardo del
passante che ha tutto il piacere di soffermarsi su chi gli sembra, a
prima vista, affine, e non come nella realtà dove non c’è
mai tempo per fermarsi perché le nostre vite sono regolate da
orari rigidi e preconfezionati e la gente va per forza sempre di
fretta, ed è perennemente distratta. Il blog è come un
marciapiede dal quale posso urlare ciò che mi tormenta e
coinvolgere chi passa per caso. Se camminando per Bologna, piuttosto
che bevendo un drink in un bar, vedessi da lontano, venirmi incontro,
una persona che mi ispira affinità per come è vestita
piuttosto che dal libro che ha in mano, e la fermassi per conoscerla,
sarei sicuramente vista in modo sospetto probabilmente come una che
vuole vendere un abbonamento in palestra o se si tratta di un
incontro tra un uomo e una donna, sarei vista come una dai “facili
costumi”. Così il mio tentativo di interagire fallirebbe in
meno di cinque minuti. Nella realtà virtuale invece nessuno mi
considererebbe pazza se iniziassi a parlare con il primo che
incontro. Perché nelle comunità virtuali gli utenti
sono completamente disponibili al dialogo e alla conoscenza reciproca
e magari anche ad un incontro al di fuori della virtualità,
ovvero nella realtà. In rete nascono legami forti, basati o
meno sulla condivisione di una passione o di un problema, che godono
dello stesso rispetto e della stessa dignità dei rapporti che
nascono nella realtà. Nei mmog, come nelle chat, gli avatar si
sposano e le persone vivono la vita dell’avatar con lo stesso
entusiasmo di come vivrebbero la propria esistenza reale.
Proprio per la libertà di
reinventarsi che le comunità virtuali consentono, alcune
persone, quando si collegano ad Internet e assumono una nuova
identità, spesso scelgono un personaggio di sesso opposto al
loro. Uomini si presentano online come donne e molte donne si
presentano come uomini. Magari solo per scoprire come ci si sente ad
esplorare aspetti della propria sessualità che hanno a che
fare con l’appartenenza all’altro sesso, può succedere di
vivere un flirt dall’altra sponda. Per molte persone questo
atteggiamento può diventare una presa di coscienza
sull’universo dell’altro sesso.
Molte
delle mie studentesse si collegano alla Rete con un nome maschile, e
scoprono di non trovare nessuno pronto ad aiutarle come quando
compaiono come donne.
Ma non solo, ci sono persone che
fanno vere e proprie esperienze sessuali online. Inviando, in tempo
reale, ad un’altra persona descrizioni di sensazioni e gesti di
natura sessuale, si masturbano. Il fatto straordinario è la
profondità del coinvolgimento emotivo, le persone si
innamorano sul serio perché ci si rende conto che non si ha a
che fare con una macchina, un computer, ma con un’altra persona.
Dunque Internet diventa come un prolungamento del corpo. Un tempo i
computer aiutavano a pensare, oggi anche a provare emozioni.
La rete dimostra come l’uomo
contemporaneo non sappia più comunicare con i suoi simili,
semplicemente guardandosi negli occhi. Ma lo può fare con un
blog. Infatti, nel caso dei blog che entrano nella tipologia del
diario personale, noi non possiamo sapere chi c’è dietro un
monitor come negli esempi dei blogger che abbiamo fatto prima, in
quanto l’anonimato è una caratteristica comune dei blogger
di questa categoria. E’ come se sopra la persona che scrive la sua
vita ci fosse un velo che lascia intravedere l’essenza, la
lucentezza e fa sentire le emozioni, ma non lascia vedere la persona
reale con i propri tratti somatici. Nella blogosfera l’avatar,
ovvero il proprio doppio virtuale, è incarnato dallo stile
della grafica, dalla scelta delle immagini e dei colori e dal
carattere del testo che si sceglie di usare. Ed è così
che il proprio mondo interiore soffocato nella realtà
quotidiana, affiora nella virtualità.
3.2 Il
paradosso della comunicazione
Come abbiamo detto, la realtà
virtuale nei casi più estremi può essere
provvidenziale. Ma non possiamo ignorare le probabilità che
questa meraviglia si trasformi in una gabbia, dorata sì, ma
pur sempre una gabbia.
Il ragazzo che a scuola è
stato vittima del bullismo dei compagni, potrebbe decidere di
chiudere la porta della realtà per sempre, perché dalla
finestra della virtualità può vedere il suo riscatto,
può vivere la vita che ha sempre sognato. Con la virtualità
può surrogare i bisogni e i desideri che non può
soddisfare nella realtà.
Nell’articolo
Internet addiction: does it really exist? Mark
Griffiths osserva che i giovani dipendenti da Internet possono stare
davanti al terminale una media di 38,5 ore alla settimana, rispetto
alle circa quattro ore degli utenti "normali". Per
questi utenti, Internet viene ribattezzato "Prozac
della comunicazione" in quanto risultano più aperti e
amichevoli sulla rete che non nella vita normale.
A lungo andare, la virtualità
potrebbe portare i soggetti più deboli ad allontanarsi
completamente dalla realtà. Il blog che dovrebbe raccontare e
contenere la vita, finirebbe per essere la vita stessa. Quindi il sé,
con la sua reale fisicità, scomparirebbe a favore di un
simulacro.
Nella rete, il giovane emarginato,
troverà tutto quello di cui ha bisogno e sarebbe finalmente
felice. Ma per preservare cotanta felicità dovrebbe escludere
ogni contatto fisico, reale. Vivrebbe una vita di illusioni. Toccare
i tasti della tastiera del computer non può dare piacere come
stringere la mano della persona che si sente vicino. Però
potrà avere degli amici virtuali pronti a dargli
quell’affetto, che magari anche loro vorrebbero nella realtà,
e che nessuno gli dà. Ma per quanto il computer possa
surriscaldarsi emanando calore, non sarà mai caldo come
l’abbraccio di un amico reale, in carne ed ossa. Per quanto possano
nascere degli amori, non sentire il battito del cuore di chi ci sta
accanto non può darci quella sicurezza e quella fiducia che
solo negli occhi luccicanti di una persona innamorata si può
leggere.
La donna sposata appassionata di
poesia, dell’esempio del primo capitolo, restando in casa per il
quieto vivere farà il gioco della società. Se ella non
ci trova nulla di male a frequentare altre persone, dovrebbe lottare
per poterlo fare, affrontando a testa alta le malelingue del vicinato
e le preoccupazioni del marito.
Un blogger che si sfoga in un post
raccontando i suoi problemi riceverà sicuramente un commento
di qualcuno che cerca di tirargli su il morale con parole speciali e
cariche di affetto. Il blogger sarà felice di quelle piccole,
ma grandi, attenzioni che gli strapperanno un sorriso, ma non potrà
fare a meno di ascoltare il silenzio che lo circonda. Nessuno busserà
alla sua porta per trascinarlo all’aria aperta e fargli sentire
com’è dolce il respiro del vento, altro che valvole del
computer!
La realtà virtuale deve
essere considerata come un’estensione della realtà, non come
un’alternativa di essa. Questa straordinaria tecnologia che ci da
la sensazione di esserere onnipresenti e onnipotenti, una cosa
impensabile fino a pochi anni fa, può trasformarsi in una
minaccia per l’umanità perché mentre ci avvicina,
inevitabilmente ci allontana. Prima dei cellulari e dei programmi di
Instant Messaging, per parlare con un amico o semplicemente per
starci insieme bisognava uscire di casa e incontrarsi per strada,
essere fisicamente presenti in luoghi pubblici. Oggi posso chattare
ed eventualmente con una webcam posso anche videochiamare il mio
amico senza muovermi da casa. La virtualità quindi avvicina le
anime, ma allontana i corpi. Potrebbe farci alienare ancora di più.
Dobbiamo ricordare sempre che prima di ogni altra realtà,
esiste la nostra vita e il mondo che ci circonda.
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Nickname: viralastrega
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Sesso: F Età: 41 Prov: MI |
"...feci il mio ingresso nel mondo con una radicale abitudine alla verità che ha automaticamente eliminato dalla mia vita quella piatta monotonia che devono provare i bugiardi ... e così sono rimasta, in una crudele ricerca di verità e perfezione, come il carnefice inumano di ogni ipocrisia , evitata da tutti, tranne da quei pochi che hanno vinto la propria avversione alla verità per poter liberare quanto di buono c'è in loro."
Yes, there were times, I'm sure you knew When I bit off more than I could chew. But through it all, when there was doubt, I ate it up and spit it out. I faced it all and I stood tall; And did it my way.
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Ho una gran paura, ma soltanto
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Guimaraes Rosa
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