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Post N° 706

Post n°706 pubblicato il 18 Luglio 2006 da corsaramora

                               

Le elezioni legislative in Kuwait, il 30 giugno scorso, provano ancora una volta che la democrazia non è una tecnica ridotta all'esercizio del voto, bensì una cultura che ha bisogno di tempo e di pedagogia per affermarsi in un paese, ma soprattutto per impregnare le mentalità e penetrare nel costume di una società. Non è certo il caso di rimproverare i kuwaitiani per aver fatto un tentativo che ha l'odore della democrazia, mentre l'America di George Bush sta cercando di mettere in pratica nel mondo arabo la sua tesi sull''esportazione della democrazia'. Un'esportazione tentata in Iraq con l'invasione e l'occupazione militare, ma ben lontana dall'essere realizzata. La democrazia non si pratica sotto l'alta sorveglianza di un esercito straniero. Ma questo è un altro problema. Il Kuwait ha voluto smuovere qualcosa. Tanto meglio. Anche se il risultato è tutt'altro che soddisfacente.

Ad esempio, le 198 mila elettrici (il 58 per cento degli aventi diritto al voto) non hanno eletto neppure una donna a rappresentarle in parlamento. Nessuna delle 29 candidate. Ma c'è di peggio: la maggioranza è andata agli islamisti, quegli stessi che hanno fatto una campagna denigratoria contro le donne, di una violenza inaudita. Gli uomini hanno vissuto quel diritto come un'aggressione alle loro tradizioni, e anche al loro comfort.

La donna, dicono, deve restare in casa, e soprattutto non occuparsi di questioni pubbliche quali la politica e l'andamento delle istituzioni. Pensano che dopo il diritto di voto rivendicheranno altri diritti, per entrare a poco a poco nello spazio pubblico. Il che comporterebbe per loro la necessità di fare i conti con le donne, e soprattutto di smettere di considerarle inferiori. Il diritto di voto alle donne è un progresso politico importante, in una regione ove la sharia fa le veci della costituzione. Nella vicina Arabia Saudita le donne non hanno neppure il diritto di guidare la macchina. La democrazia non cade dal cielo, non spunta da qualche parte come un genio o un miracolo. Il popolo va preparato a questo sconvolgimento delle sue abitudini. Forse le elettrici non hanno sufficiente fiducia in se stesse per dare ad altre donne il potere di rappresentarle in parlamento. Non solo hanno scelto i loro rappresentanti tra i maschi, ma hanno eletto i sostenitori dell'islamismo, che non dà alcuna speranza al divenire della donna in una società di uomini. Questo atteggiamento è quasi normale. Si sono viste donne manifestare nelle piazze delle capitali arabe con quegli stessi islamisti che negano loro ogni diritto. E qualcuna ha persino giustificato il ripudio e la poligamia come "un modo per lottare contro la prostituzione".



L'opposizione islamista, che ha conquistato 35 seggi su 50, non mancherà di silurare l'emendamento del 1 articolo della legge elettorale, che data dal 1962; un emendamento voluto dallo sceicco Sabbah al Ahmed al Sabah, l'emiro del Kuwait, e ratificato il 16 maggio 2005.

In questo paese di 3 milioni di abitanti, di cui 2 milioni sono immigrati, non esistono partiti politici, ma solo movimenti, il cui principale riferimento è l'Islam. Il fatto che sui 253 candidati vi fossero 29 donne è già un progresso - anche se non molto significativo - rispetto al trattamento riservato alle donne nei paesi vicini.

Il miglior criterio per valutare il grado di modernità e di progresso di un paese rimane la condizione della donna. Gli Stati del Golfo, popolati da ex beduini, grazie al petrolio sono diventati ricchi, ma non necessariamente moderni. La modernità consiste nel riconoscimento dell'individuo, nell'uguaglianza dei diritti di uomini e donne, nella cultura dei valori democratici, nell'apertura verso il mondo.

Questi paesi, che pure sanno usare a loro profitto i progressi tecnologici, rifiutano di fare un passo verso una modernità etichettata come occidentale, e quindi "inadatta alle loro tradizioni e alla loro cultura". E si richiamano al Corano, interpretato secondo i loro interessi. Alcuni ricordano che le donne francesi hanno ottenuto il diritto di voto non prima del 1945, e che in alcuni cantoni svizzeri lo hanno solo dall'inizio degli anni 1970.

L'esperienza kuwaitiana è interessante e va seguita, poiché rappresenta un gesto simbolico in materia di cambiamento delle mentalità e delle prassi politiche. Stavolta le donne hanno fatto un'uscita pubblica. La prossima sarà la volta della loro incursione in campo politico. Siamo lontani dalla parità occidentale; ma è solo un inizio. La democrazia è una lotta di lungo respiro. Nel Kuwait è appena incominciata.

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