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Post N° 85

Post n°85 pubblicato il 10 Giugno 2005 da corsaramora
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   c'e' un motivo personale del perche' io stamattina voglia dededicare un post a Pietro Gobetti

Chi era?? In primo luogo un personaggio straordinario, meteorico: nato a Torino nel 1901 morirà a Parigi nel 1926. In questi 25 anni egli riesce a segnare, con la sua poliedrica figura, la cultura dei suoi anni; critico letterario e teatrale, teorico e osservatore politico di finissima capacità, editore - fu peraltro il primo a pubblicare "Ossa di seppia" di Montale -, fonderà una rivista, "Rivoluzione Liberale", destinata ad avere un ruolo fondamentale nell'opposizione al fascismo. Intorno ad essa si raccoglierà il fronte più intransigente della secessione Aventiniana. La piccola rivista "Rivoluzione Liberale", una rivista da intellettuali, con una scarsa diffusione, giungerà tuttavia a preoccupare fortemente le autorità, che ne chiederanno più volte il sequestro... lo stesso Mussolini fu autore di un noto telegramma in cui egli chiedeva di far tacere quell'"insulso oppositore" ...
    Gobetti è particolarmente interessante come interprete del fascismo. Da Gobetti prende le mosse  una tra le principali correnti
interpretative, quella che vede il fascismo come fatto eminentemente nazionale, italiano. Secondo questo filone interpretativo il fascismo è il necessario compimento e realizzazione di condizioni preesistenti ad esso: dietro a questa interpretazione sta l'idea che la democrazia italiana sia nata e si sia sviluppata in modo imperfetto. Tuttavia è pericoloso incasellare Gobetti in questo filone interpretativo che da lui si diparte ma che, col tempo, ha finito per significare qualcosa di completamente diverso da quanto egli sosteneva.
    Difatti esistono due aspetti rimarchevoli nell'interpretazione del fascismo di Gobetti che lo pongono che lo pongono decisamente "fuori dal coro" e in stridente contrasto con la "vulgata resistenziale" del fascismo.
    L'antifascismo di Gobetti è "istintivo" perché, secondo lui il fascismo è negazione della dialettica democratica. Tuttavia cos'è la dialettica democratica, per Gobetti? Come egli esprime in modo indiscutibilmente chiaro ne "La nostra fede" la dialettica democratica non è il luogo della discussione pacata, fatta solo di indifferenza e di tolleranza distratta; è piuttosto il luogo davvero dialettico e anche feroce dello scontro delle opinioni. "Democrazia", per Gobetti, non è semplicemente rispetto delle opinioni altrui o difesa della legittimità di ogni forma di pensiero. E' indubbiamente questo, perché laddove non vi è rispetto di ogni forma di pensiero non può esservi democrazia. Ma, affinché esista la democrazia deve esistere partecipazione vera: laddove vediamo apatia, indifferenza, accettazione passiva non può esservi democrazia; la democrazia deve essere sostenuta sempre da una ferrea determinazione di coerenza rispetto alle proprie idee. Solo questo consente alle idee di "scontrarsi" e divenire vera dialettica. Insomma, secondo Gobetti la "Democrazia" è fatta da due cose:
1)- Tolleranza e rispetto delle opinioni altrui
2)- Assoluta coerenza rispetto alle proprie idee.
Il fascismo secondo Gobetti non è antidemocratico perché "intollerante": Gobetti, fedele testimone di quegli anni vedeva continuamente il triste spettacolo della violenza politica compiuta dall'una e dall'altra parte e certo non faceva gran differenza tra l'intolleranza dei fascisti, quella dei cattolici e quella dei marxisti. La ragione per cui il fascismo non è democratico, per Gobetti, va ricercata nel fatto che esso riguarda con troppa disinvoltura la questione della coerenza. Insomma ciò che non va, nel fascismo, non è tanto la violenza - che da sempre larga parte dell'antifascismo ha visto come elemento saliente, per non dire identificante del fascismo - ciò che non va, nel fascismo è piuttosto il fatto che esso genera una unanimità consenziente, una dimensione in cui tutti sono daccordo su tutto e in cui, di fatto, si rinuncia alla dialettica democratica vera e propria:

[...]il fascismo è stato qualcosa di più; è stato l'autobiografia della nazione. Una nazione che crede alla collaborazione delle classi; che rinuncia per pigrizia alla lotta politica, è una nazione che vale poco (da l' "ELOGIO DELLA GHIGLIOTTINA")

L'opposizione Gobettiana al corporativismo fascista nasce proprio dall'idea che la contrapposizione dialettica, e al limite lo stesso conflitto, siano elementi indispensabili al progresso di una società moderna:

Privi di interessi reali, distinti, necessari gli Italiani chiedono una disciplina e uno Stato forte. Ma è difficile pensare Cesare senza Pompeo, Roma forte senza guerra civile. Si può credere all'utilità dei tutori e giustificare Giolitti e Nitti, ma i padroni servono soltanto per farci ripensare a La Congiura dei Pazzi ossia ci riportano a costumi politici sorpassati.(da l' "ELOGIO DELLA GHIGLIOTTINA")

Fuori da ogni retorica Gobetti è istintivamente antifascista perché crede che non vi sarà progresso alcuno mediante il fascismo; non è antifascista perché il fascismo "irreggimenta le persone", le "inquadra", le violenta: è antifascista perché il fascismo addormenta il paese; perché il fascismo, secondo Gobetti non funziona...
    Gobetti sembra intuire i caratteri salienti del fascismo prima ancora che essi vengano fissati in un corpus dottrinario definito: il fascismo che aborre il "pensiero pensato", che esalta solo il "pensiero pensante", che considera idee e principi come ipostatizzazioni che limitano la libertà e il coraggio del fascista è, di fatto, un fascismo che esalta l'incoerenza come un valore: vivere pericolosamente, senza sentire il bisogno di obbedire a schemi precostituiti. La mistica fascista del coraggio, dell'uomo che non ha bisogno, per vivere, della sicurezza garantita da un coerente insieme concettuale di valori e di principi trae giustificazione da una negazione del carattere oggettivo delle idee e dei valori: al primo posto si colloca l'individuo, la sua libertà assoluta, il suo potere creativo. Questa esaltazione della incoerenza, che altrove ho chiamato "incoerenza virtuosa" (Il Gobetti, dicembre 2000) sembrava trovare giustificazione e rinforzo, negli anni 20-30 dal clima rivoluzionario che attraversava l'intera  cultura occidentale e segnatamente la scienza (si pensi alle interpretazioni relativiste o all'interpretazione di Copenaghen nella fisica). E in effetti "l'incoerenza virtuosa" fu una pratica costante del regime: senza di essa non si comprende perché il totalitarismo fascista fu sempre imperfetto, scarsamente efficace e non si comprende come il fascismo abbia potuto passare da una impostazione razziale di tipo imperialista ed etnocentrico a una segregazionista (oggi siamo tutti convinti che sia l'imperialismo etnocentrico che il segregazionismo razziale siano due cose ugualmente brutte; tuttavia esse obbediscono a principi assolutamente opposti: per l'imperialismo etnocentrico le culture e le razze diverse devono essere assorbite, a costo dell'annientamento dei loro caratteri culturali; per il razzismo segregazionista le razze non sono emendabili e nessuna integrazione è possibile).
    Esiste tuttavia un altro aspetto che dovremmo considerare, nel valutare la sua interpretazione del fascismo: quest'ultimo non è un accidente nella nostra storia: per Gobetti il fascismo è l'autobiografia della nazione, qualcosa che non poteva non essere, qualcosa che nasce nel nostro stesso corpo... di nuovo siamo del tutto fuori da una certa retorica antifascista secondo cui il fascismo fu l'occasionale presa del potere da parte di uno sparuto gruppo di persone che si impose al paese con la violenza..... una retorica che fu certo il segno di un errore propagandistico dei fuoriusciti già negli anni trenta e che poi, per ragioni anche in parte legittime - legate alla credibilità in politica estera dell'italia del dopoguerra - si è voluto imporre a tutti i costi. Quando i governanti italiani del dopoguerra parlavano agli alleati o all'Unione Sovietica essi dovevano, in un certo qual modo fare propria e imporre quella visione retorica proprio al fine di convincere i vincitori recalcitranti a offrire migliori condizioni di pace e maggiori aiuti economici al nostro paese.
    Ma le astuzie diplomatiche possono risultare utili sul piano dei rapporti internazionali, non certo su quello della comprensione storica. Leggendo Gobetti  non si può fare a meno di pensare che il fascismo, anziché essere superato sia stato semplicemente rimosso dal paese; che in qualche modo esso alligni ancora nelle nostre carni, nel nostro sangue.
    Al riguardo vale la pena di notare come l'interpretazione delineata (il fascismo come "incoerenza virtuosa") contrasta in modo lampante con certe recenti valutazioni del fascismo, che colgono un momento particolarmente rivelatore nei mesi della Repubblica Sociale: alludiamo principalmente alla distinzione tra fascismo-movimento e fascismo-regime, particolarmente cara a De Felice, secondo cui la vera anima del fascismo sarebbe più facilmente individuabile negli anni di Salò, in cui riemergerebbero gli aspetti più salienti del fascismo-movimento. Al contrario, nell'interpretazione su delineata, Salò, con il suo atteggiamento di ardua coerenza e di intransigenza sembra qualcosa di strutturalmente diverso dal fascismo stesso.

 
 
 
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