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Post N° 320

Post n°320 pubblicato il 19 Agosto 2005 da corsaramora
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TACCUINO DI BORDO

Le notti stellate, la sciara di lava il passito di Calogero Mannino E i clandestini? Seduti al sole in attesa dall’altra parte del molo

bruno vespa,il mattino,19/8/2005

 Mi insaponò lentamente, come solo i barbieri napoletani e siciliani sanno fare. Lavorano per la storia, che fretta c’è? Mai entrato in vita mia in un salone per farmi radere. Ma la voglia di farlo qui a Lampedusa chissà perché mi era rimasta da cinque anni. Eccomi dunque sdraiato, unico cliente del salone di via Roma, a farmi insaponare. «È la prima volta che faccio la barba a uno della televisione», dice il barbiere. E infatti non si accorse dei nei. Mi chiese di indicargli dove stava nascosto sotto la schiuma quello più grosso e rischioso. Superato felicemente il pericolo, si rilassò

il barbiere mi disse che suona il clarinetto e che non ha mai visto un tedesco a Lampedusa. «Gli stranieri non vengono. Perché? E chi lo sa? Gli italiani vengono dal Nord. Quanti? Meno dell’anno scorso». «Per forza - sibilò il proprietario dell'albergo La Palma, ancorato davanti al porto vecchio -. Trenta per cento in meno dell’anno scorso in agosto. Cinquanta in luglio. Con tutti questi sbarchi di clandestini. Anzi, non sbarcano più. Andiamo a prenderceli direttamente noi in Libia. Siamo partiti, ci venite incontro per favore? Pronti. Motovedette, elicotteri, navi: tutto a disposizione». Provai ad obiettare che quei disgraziati nulla tolgono a turisti e bagnanti. L’albergatore rispose che la gente non lo sa e l’idea che qui arrivano i clandestini disturba. «Sono Angela, la leghista di Pantelleria, si ricorda di me?», mi disse la vivacissima proprietaria di un ristorante. Grazie ai clandestini, il Senatùr ha mietuto anche qui. «Angela è un’eccezione...», si giustificò la profumiera nel cui negozio l'avevo incontrata. Ma il problema, qui, è avvertito. I clandestini mi avevano svegliato poco prima dell’alba. Non loro, poveracci, che stavano ancora a combattere col mare. Tre sirene spiegate di polizia,carabinieri, finanza. Tante sirene a Lampedusa?, mi chiesi. Saranno arrivati i clandestini. Comodo archiviare un pezzetto di tragedia riprendendo sonno dopo il piccolo disturbo sonoro. Al mattino me li trovai sull’altro lato del molo: 160 con due sole donne. Seduti tutti sotto il sole. Senza nome, senza documenti, senza parola per ritardare il più possibile indagini e rimpatrio. Notte dietro le sbarre del centro d’accoglienza (duecento posti, tutto esaurito) e al mattino successivo in fila di nuovo - una bottiglia d'acqua e qualche panino nel sacchetto di plastica - per salire sul traghetto Siremar verso la Sicilia. Guardai col binocolo uno per uno quei volti scuri del tutto incerti sulla propria sorte e noi della loro: sarebbero tornati nella miseria libica, avrebbero trovato da noi un onesto lavoro, sarebbero scomparsi per poi riapparire sui giornali come rapinatori e stupratori? Li guardai a lungo e ripensai ai miei vecchi abruzzesi e veneti e siciliani e napoletani in attesa del controllo sanitario sulla banchina del porto di New York. Storie diverse, ma il cuore mi si strinse ugualmente. Non so se anche a Lampedusa sia venuta davvero tanta gente meno dell’anno scorso. Certo, la sera al passeggio di via Roma non si passa. Giovani, moltissimi giovani richiamati dalla bellezza del mare e dalla suggestione (innegabile) di stare geograficamente in un lembo d’Africa dove si parla italiano e si paga (purtroppo) in euro. L’isola - una magnifica portaerei di roccia, tagliata a strati come fosse una meringa e adagiata nella parte inferiore del Canale di Sicilia - l’isola è bella, soprattutto nella costa nord-ovest, opposta a quella del porto. Le pareti non sono minacciose, come accade altrove, ma s’aprono ogni tanto in piccole spiagge, dove la sabbia bianca e finissima rende il fondo turchese. In una di queste cale (non frequenti, peraltro) intitolata alla Madonna che nel ’600 salvò dai turchi un coraggioso marinaio, almeno duemila persone assistettero alla cerimonia della restituzione al mare, a cura del Wwf, di sei grandi tartarughe marine curate e talvolta operate per liberarle dagli ami nei quali si fossero imbattute. Se camminare non vi spaventa, una lunga passeggiata su strada disconnessa (sarebbe il luogo ideale per bellissime riprese dell’ascesa al Calvario) vi conduce sulla baia che si apre davanti alla bellissima isola dei Conigli, dove l’accesso via mare è vietato. Evitare, se possibile, il mese di agosto. Una casa con aria condizionata per quattro persone costa in alta stagione 1200 euro alla settimana, alla trattoria dei Gemelli - quella più alla moda - si spendono sessanta euro per una buona cena. Avviso ai naviganti: il gasolio costa 1,40 euro al litro. Record nazionale. Record precedente: Ponza, 1,30. Lampedusa è diversissima da Pantelleria - che dista una settantina di miglia - e da Linosa, che ne dista venticinque sul versante opposto, verso Malta. Pantelleria, a sessanta miglia dalla costa tunisina, offre notti stellate che recentemente avevo visto soltanto coprire il mare turco. Sdraiarsi a luci spente per guardare la via Lattea è un’emozione infrequente. Pantelleria è isola «difficile», come sta scritto anche sulle guide. C’è l'oggettivo disagio di accedere al mare per chi non abbia la barca e ne sia impedito - come è accaduto a tanti, in questo agosto dispettoso su tutto il Tirreno - dal vento che alza le onde tutti i giorni per settimane. Ma tanta gente se ne innamora perdutamente e non vorrebbe muoversi più. Come Giorgio Armani, che incrociai mentre passeggiava vicino ai suoi dammusi sepolti tra le palme. O Calogero Mannino, uomo tra i più intelligenti della vecchia Dc stroncato da una persecuzione giudiziaria tra le più crudeli e ingiuste, dalla quale sta risorgendo innocente. Ci sono momenti della vita in cui per non impazzire devi occupare la mente con qualche cosa di estraneo a quello che hai sempre fatto. Mannino si ritirò qui a Pantelleria, isola del suo vecchio collegio elettorale, cominciò a studiare il vino (se ne era occupato da ministro dell’Agricoltura) e oggi produce l’Abraxas, il più strepitoso passito di Pantelleria. Le vigne e le altre coltivazioni a terrazza rendono l’isola verde, i bellissimi muri a secco la fanno austera, il mare le dà fascino, l’ampiezza (cinquantacinque chilometri quadrati, con distanze anche di quindici chilometri per raggiungere il porto da una borgata ) rende indispensabile prenotare una vecchia, fascinosa e scassata Mehari prima dell’arrivo. Costo: venti euro al giorno. L’alternativa è pagare cinquanta euro per corsa all’unico, cortesissimo tassista dell’isola dotato di pulmino. Un bagno tra le rocce di Cala Tramontana, di cala Levante, dell’Arco dell’Elefante o - dall’altro lato - della Ballata dei Turchi vi ripaga di ogni difficoltà. A Linosa Peppino Errera scende a salutarmi al porto. Non vengo da cinque anni, gli dico. Non è cambiato niente, risponde. Lui lo dice con la desolata rassegnazione degli isolani, per me è una buona notizia. Linosa, così com’è, vale il viaggio per chi ama davvero il mare, la solitudine, il fascino di un mondo perduto. La sciara di lava nera che vi accoglie allo scalo principale forma con gli squarci di sabbia gialla un’incredibile tiramisù. Il cavalier Montana sembra lo stesso del ’71, quando sull’isola sbarcò in confino obbligato Angelo La Barbera. Elegantissimo, col suo abito di lino bianco e il suo panama candido. Sbarcammo anche noi giornalisti e Linosa non sapeva se piangere per l’oltraggio o ridere per l’imprevista popolarità che le venne dall'avvenimento. Il cavalier Montana ha ricoperto tutte le cariche possibili dell’isola (quattrocento abitanti) e mi manda il suo figlioccio a fare l’elenco delle lamentazioni. La più fondata è quella del porto. Non c’è. L'imbarcazione di cui ero ospite ha dovuto aspettare che arrivassero e partissero due aliscafi per poter attraccare. Senza sostanziale riparo. Una barca più grande - distintasi per una delle tante guide spregiudicate di questa estate che ha sollevato onde tali da far rovinare due bagnanti dagli scogli e far cadere i nostri piatti da tavola - non ha trovato posto. È un’indecenza. Non per Linosa. Per la Sicilia e per l'Italia.

 
 
 
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