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Post N° 709

Post n°709 pubblicato il 26 Luglio 2006 da corsaramora

                                  

 Avrà il giusto effetto mediatico l’appello al «cessate il fuoco» che, tra molte strette di mano, partirà probabilmente questo pomeriggio dal vertice di Roma convocato in fretta sull’ultima grande crisi mediorientale. Ma al di là del passaggio obbligato sulla «tregua subito», che sarà accompagnato dalla improcrastinabile avvio di un corridoio umanitario che dia sollievo ai libanesi finiti nella trappola della guerra, il successo del summit si misurerà su un altro, più vasto terreno. È del futuro che, in proprio o conto terzi, sono tenuti con urgenza ad occuparsi i 16 Paesi partecipanti finalmente richiamati, anche per la determinazione della diplomazia italiana, ad abbandonare i riti delle prese d’atto accompagnate da dichiarazioni di intenti e codicilli di disattese risoluzioni messe a punto in sede Onu. Se una regione pericolosamente ribolle per un incendio che può ancora di più propagarsi, non poco si deve all’inerzia che di una comunità internazionale troppo a lungo paralizzata e distratta dal conflitto iracheno i cui riflessi non hanno tardato a manifestarsi prima in Terrasanta e poi, con violenza inaspettata, sullo scenario libanese. Che l’uscita dal lungo letargo possa transitare per Roma non è soltanto un auspicio. Quasi rappresenta un dovere cui i grandi protagonisti della politica mondiale forse hanno avvertito di non potersi sottrarre anche mettendo nel conto, come nel caso degli Stati Uniti, correzioni che contano alle stategie che si erano dati

La Rice che approda in Italia, dopo qualche colloquio anche con gli arabi, resta il grande avvocato di fiducia di Israele, ma nel momento in cui afferma a Gerusalemme che bisogna arrivare ad un «nuovo Medio Oriente», che si intende stabile e in pace, con la nascita dello Stato palestinese, sembra meno intrisa di quell’unilateralismo che ha caratterizzato la politica da sfasciacarrozze dell’Onu di George W. Bush. Nè persevera nella insofferenze da incomprensione verso l’Europa, o almeno con la parte di essa meno servile, che ha caratterizzato negli ultimi anni la politica di Washington. Anzi quasi si fa paladina di uno sforzo globale che coinvolga ancora una volta i regimi arabi moderati alla ricerca di ruoli e funzioni da opporre alle spinte radicali che, dopo l’offensiva israeliana nel Libano, hanno ripreso a minacciarli. Certo, quello di Roma, non sarà un tavolo alla pari, ma nato come è dalla tanto contestata equivicinanza del governo italiano, nemmeno lascerà che molti dei protagonisti rimangano in ombra. A cominciare dall’Egitto che ancora insegue una ledership politica regionale e si propone di costituire il nucleo centrale della forza di interposione di almeno ventimila uomini che prima o poi verrà schierata nel sud del Libano, con piena soddisfazione di Israele, felice di affidare a «contingenti più affidabili di quelli del passato» la costosa gestione della fascia di sicurezza che sta allestendo al di là dei propri confini. Oltre alle voci di Tel Aviv, che arriveranno per interposta persona e con il sostegno degli Stati Uniti, ci saranno anche da ascoltare quelle di altri che possono in qualche maniera dialogare con le frange oltranziste del mondo musulmano, togliere l’alone del sospetto che grava sulla Siria e trovare anche una via di uscita «politica» per Hezbollah inorgoglita dalle proprie capacità di resistenza che hanno sorpreso anche i generali di Israele. Nè si potrà liquidare come un lamento la denuncia dell’orrore che il libanese Siniora, il primo ministro di un Paese finito senza reagire sotto il martello dei carri e degli F16, si riserva di fare, cifre alle mani e con la dose di rancore antisraelianio che gli suggerisce il dramma che il suo popolo sta vivendo dopo essersi scrollato dalle spalle parte dell’opzione di Damasco ed avere vissuto l’esaltante e breve stagione della resurrezione. Se lo spirito della conferenza è quello di perseguire obiettivi di stabilità a lungo termine, già fatti propri da Mosca, dalla Germania e naturalmente anche dall’Italia, tornata ad essere particolarmente attenta alle tematiche mediorientali nella loro globalità, risulterà fortemente ridimensionata la teoria della risoluzioni dei conflitti affidate alle armi e quindi alla determinazione dei più forti, siano o meno portatori di diritti e ragioni. I sorrisi che al suo arrivo a Roma ha dispensato Kofi Annan, ormai a fine mandato, indicano anche che le Nazioni Unite sono fortemente orientate a lasciare l’angolo in cui sono finite per colpe altrui e per intrinseca debolezza. Al momento il segretario generale, che già si è scontrato con Israele e Stati Uniti quando ha proposto di modificare il mandato delle truppe Onu già presenti ai confini del Libano, sembra avere adottato una strategia a geometria variabile in attesa che dalla conferenza di oggi gli vengano indicazioni. Ma già sa di poter contare sulla ritrovata vivacità di un’Europa che come ha ricordato Javier Solana, responsabile della politica estera dell’Ue, garantisce una presenza forte e compatta sotto l’egida dell’Onu che sia in grado di imporre il disarmo agli irriducibili di Hezbollah. Ma anche, per sua natura, di non garantire ad alcuno assoluzioni preventive.

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