Creato da lavocecelata il 28/06/2007
nel confessionale delle nuvole

 

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Bettole svizzere

Post n°10 pubblicato il 28 Giugno 2007 da lavocecelata

“ Come bettola non c’è male” .
Manrico sedendosi su una legnosa e chiara panca ad angolo si guarda intorno, nell’aria fumosa della stanzetta colma di fanti in uscita libera serale.
Mélanie è l’unica donna là dentro, e di quelle che danno nell’occhio, ma i militari nemmeno sembra che se ne siano accorti.
Rudolf sta già studiando il menù, anche abbastanza curato.
Anche Mélanie scorre la lista dei piatti.” Qui fanno il miglior ‘rosti ‘ di tutta la regione, Manrico.Per non dire della ‘ fondue’ o della ‘raclette’.Vogliamo che tu mangi ‘svizzero’,vero Rudolf?”
Rudolf sente pronunziare il suo nome ed alza lo sguardo.Sorride accattivante: non parla italiano.
Mélanie ha deciso.Si guarda intorno in cerca di una giovane cameriera che non aspettava altro.
La cameriera scrive mentre Mélanie le parla, poi se ne va con un sorriso.
” Allora, cos’hai deciso che mangeremo?” Manrico sistema tra i suoi polpacci la borsa che fa ormai parte della sua vita.
” Fondue.” Ha un sorrisetto, Mélanie.
” Raccontamela un po’, questa ‘ fondue’.Almeno mi preparo.”Manrico è un po’ all’antica.
 Si taglia del Gruyere a fettine sottilissime. Si scioglie del burro in un tegame di terracotta. Poi si trita finemente uno spicchio d'aglio e lo si unisce  al burro.Si unisce il Gruyere affettato sottilmente e su il tutto si versa vino bianco secco fino a sommergerlo: un Riesling od un Alsace et Lorraine o un Pinot nero vinificato in bianco. Mescolando in continuazione con un cucchiaio di legno su fiamma moderata, si fa fondere completamente il formaggio, amalgamandolo al vino. Si spolverizza il tutto con pepe bianco macinato al momento ed un pizzico di noce moscata.Si unisce il succo di limone. Poi si stempera  della maizena nel Kirsch e si versa nel tegame, continuando a mescolare. Quando tutti gli ingredienti sono ben amalgamati, si trasferisce il tegame nel centro della tavola sopra un fornelletto a spirito, in modo tale che la fondue rimanga ben calda e fluida per tutta la durata del pasto. A questo punto, con  le forchettine da fondue, lunghe e strette, si infilza il pane croccante tagliato a cubetti e lo si zuppa dentro il tegame per raccogliere il formaggio filante.”
” Formaggio? E basta? Tutto qui?” Manrico sognava una bistecca.” Scusa Mélanie, sto scherzando.Va benissimo.”
Mélanie sembra sicura del fatto suo.
” Guarda che non è finita qui.”

“ Come? C’è dell’altro? “ Le speranze di una bistecca si fanno di nuovo vive nella mente di Manrico.
” Devi sapere che c’è anche un giochino, dietro alla fondue.”

“ Un giochino?Quale giochino?”
” Dunque.Ogni volta che con la forchettina si perde il cubetto di pane dentro il tegame si deve pagare pegno.”
” Pegno?Che pegno?Una specie di penitenza?”

“ Proprio così.Una penitenza.Che si decide prima di cominciare a mangiare.”
Nell’aria fumosa ed alla luce incerta, Manrico non lascia gli occhi di Mélanie perché vorrebbe leggervi qualcosa d’altro, oltre la fondue.Il tavolo è stretto, come è stretta la stanza, e su tutti gli odori che gravano nell’aria, odori di fumo, di cibo, di pastrani militari, l’odore di Mélanie, un misto di profumo, di alito dalla sua bocca mentre gli parla, dei suoi capelli lunghi che si muovono ondeggiando ogni volta che la sua testa si muove, lo avvolge e lo fa estraniare, come all’inizio di una sbronza, quando ancora senti che puoi smettere, che puoi decidere di non bere più, che ancora hai le piene facoltà di decidere se ubriacarti davvero, oppure alzarti dal tavolo ed andare via.
La voce di Mélanie, decise per lui.
”..ogni volta che un cubetto di pane cadrà nel tegame, berremo un bicchiere di Riesling tutto d’un fiato.”
” Ma come la metti con la Mustang? Mi sembra che da queste parti se ti prendono un po’ alcoolico al volante ti sbattono in galera.”
” C’è Rudolf.Stasera tocca a  lui non bere.”
Rudolf alla parola ‘bere’ sembra aver avuto un minimo di comprensione ed ha assunto una buffa posa malinconica.
” Allora questa partita ce la giochiamo io e te?”
” Vincerò io.Tu non sei pratico.” Sorride Mélanie.

Manrico aprì il suo palcoscenico interiore ed ascoltò gli echi che provenivano da un tempo lontano, da quando per la prima volta aveva percepito  quel ronzìo insistente ed inesplicabile che lo assentava e lo spediva in una parte di mondo incomprensibile e strano.Come nel racconto di chi ha vissuto il coma e ne ritorna, lui si percepiva dall’esterno, incongruo, sfilacciato, quasi che quel suo corpo lo indossasse come un paramento, una specie di veicolo mobile in cui si fosse installato o quasi, ma comunque estraneo.
Viveva sempre.
Ma in un modo differente.
Disattese sé stesso ed i suoi sensi: un’altra vita cominciò a rombargli nelle orecchie e gli s’infilò dentro la mente, e non erano più le sue difficoltà economiche o le preoccupazioni d’ordine materiale che sempre  perduravano nei suoi pensieri, a distrarlo.
Anni di aridità vissuti in fretta, senza pensare a quel suo io interiore, sempre trascurato ed inibito, come se fosse un lusso, perdersi nei propri sogni o riflettere su sé stessi, domandarsi perché si è, cosa si è e dove si va.

Domande inutili.Per anni.Riposte in un bugigattolo buio da qualche parte della sua testa, che se ne stessero lì e non facessero rumore alcuno.Qualcosa per cui non valeva la pena perdere tempo.Qualcosa che avrebbe potuto inquietare, disorientare, intrappolare, farlo magari insorgere contro quella specie di vita che si era forgiato, lavorando in un mondo disincantato e dubbioso.
Qualcosa di dolcemente pericoloso che invece ora gli era stato scagliato nella mente e lo aveva costretto a sollevare il sipario.

E lui non c’era avvezzo.
Il suo corpo era là, in quella bettola fumosa, ma lui  non c’era con la mente, ed anzi si vedeva  dall’esterno, gesticolare e bere, e sentiva anche la sua voce roca che sopperiva alla sua assenza, dando mostra d’esserci, all’amico e a quella donna, Mélanie, che solo con la sua presenza ed in modo del tutto inaspettato, in quelle poche ore l’aveva indotto a mettersi al cospetto di sé medesimo, a guardarsi di nuovo, a chiedersi spiegazioni, a riflettere sul suo passato, sul suo presente, e perché no, sul suo futuro.
Scivolò in un lattemiele di bontà repressa ed amò tutto quello che c’era in quella bettola, soldati compresi e più in là, lungo la strada buia  che gli era parsa ostile, l’aria gelida di quel paese straniero che pure odiava quelli come lui.
Riconobbe quello stato di grazia che l’aveva già pervaso una volta.
Aveva smarrito molto del suo tempo e aveva  smarrito qualcosa di sé, che adesso era tornato, che lo volesse o no.
Sul palcoscenico, la scena è una bettola fumosa.

A volte si può rinascere in posti davvero strani.

O re-incantarsi.

 
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