Creato da lavocecelata il 28/06/2007
nel confessionale delle nuvole

 

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Ad ognuno il suo

Post n°20 pubblicato il 28 Giugno 2007 da lavocecelata

 azzurronero

Il tempo.

Le emozioni.I fantasmi.
Inesorabile la pellicola della vita scorre in un bianco e nero muto.A tratti si colora in technicolor hollywoodiano, falso e sottoesposto.Blu e rossi impossibili, rosati intensi da giardini fantastici, gialli improbabili.Colonne sonore che come pennellate artistiche scandiscono il tempo dei sentimenti e delle emozioni.Memorie affettive che si blandiscono nelle sequenze di attimi che misurano la felicità raggiunta, forse.O solo sognata.
Altre volte sono colori elettrici, screziati, violenti, ombrosi e stridenti, eccessivi e flashanti, che fanno chiudere gli occhi ed imballare la mente e dal passato-presente-futuro si fugge per tornare al quieto bianconero di un film francese degli anni ’70, più grigio che altro.Muzak da supermercato o da aeroporto.Noiosa e cantilenante, dimenticata subito.
Tutto meticolosamente smantellato dal tempo.L’unico vero protagonista che tra lacrime e sorrisi scorre come acqua dal rubinetto, verso il mare, passando per le fogne puzzolenti.Poi evaporando su nel cielo.
Ed il ciclo ricomincia.

L’uomo scese dalla Cadillac tirandosi su i calzoni e le mutande.Vi infilò con gesto sfacciato la camicia bianca, battendosi col  palmo della mano destra sul pene.Poi cominciò ad abbottonarsi fischiettando, come se nulla fosse. Si strinse la cintura in vita, sistemò la cravatta e si abbottonò la giacca ad un solo petto. Guardandolo fisso, con un po’ di spregio, porse la mano a Manrico che invece di stringergliela vi infilò i manici della borsa.
Mélanie tardava ad uscire dalla grossa auto americana.Forse si stava ricomponendo e riassettando gli abiti.
Manrico era gelido, di freddo e di odio. Ecco il Capo. Si era fatto praticare una fellatio da Mélanie, tanto per stabilire le cose come stavano.
Aveva subdorato qualcosa, era evidente. Manrico si rimproverò per aver messo Mélanie in quella condizione.
Tardava a scendere dall’auto, Mélanie.
A Manrico non  importava niente della borsa e di quel pezzo di merda che aveva davanti. Si preoccupava solo per lei, per come si poteva sentire in quei momenti.
Come poteva fare per dirle che a lui non importava, che non era successo niente, che non si sentisse una puttana, per quel che aveva subito. Era stata colta di sorpresa, come lui, del resto. Aspettava sotto casa, il pezzo di merda. E di sicuro li aveva visti in un atteggiamento troppo confidenziale.
Il capo gli stava parlando, chiedendo cazzate, col suo bell’aspetto biondo elegante, blazer blu e calzoni grigi, scarpe di gran prezzo, un tipo all’americana, biondo e capelli a spazzola, ma dalle mani da signorina, che san contare solo i soldi, sicuro del fatto suo, dopo aver ristabilito l’ordine delle cose. Mélanie era roba sua, chiaro? Ma che credeva, quello stronzo? Che un pompino cambiasse una persona?
Mélanie scese dall’auto e senza alzare la testa e dire una parola si diresse verso il portone.
- Andiamo su anche noi. Hein? –
Certo, pezzo di merda, saliamo anche noi. Controlla il contenuto di quel cazzo di borsa e poi si vedrà.
L’unico che non sembrava imbarazzato, una volta nell’appartamento di Mélanie, sembrava proprio il Capo. Girava per la casa come se ne fosse il padrone.
Manrico spiava Mélanie, seduto su una poltrona, accanto al divano dove avevano fatto l’amore la prima volta. La donna sembrava contenere una rabbia repressa: aveva lo sguardo fisso davanti a sé e la testa bassa, concentrata sul muovere oggetti, spostare sedie, aprire sportelli senza motivo alcuno.
Stava recuperando l’umiliazione subita. Manrico sperò che non ce l’avesse con lui.
- Allora è qui che hai dormito? – il Capo faceva il sornione.
- Sì, proprio su quel divano. Non ho soldi da buttare e tu non c’eri. Sennò è già da un po’ che me ne sarei tornato a casa. – Manrico cercava di passare da innocuo, come sapeva fare. L’aria un po’ tonta e dimessa, da figlio di contadino. Stava seduto sulla poltrona come se fosse in equilibrio instabile ed a disagio, le mani in tasca, il corpo ingobbito e l’aria di chi si sente spaesato, davanti ad una cravatta.
Il Capo si stava domandando se Manrico lo aveva fregato. Guardandolo alla luce, quell’italiano gli sembrava proprio un mezzo deficiente. Non voleva altro che convincersene. Non poteva, Mélanie, averlo fregato proprio con una persona così banale. Intanto i soldi c’erano tutti. In fondo era lui che non era stato puntuale all’appuntamento. Si sentì magnanimo e vincente. Sorrise e si avvicinò a Mélanie.
Manrico li sentì parlottare in tedesco. Mèlanie non gli rivolse uno sguardo, mentre parlava col suo Capo. Il suo tono di voce era irosetto. Manrico scommise con sé  stesso che stava rimproverando l’amante ufficiale del servizietto che era stata costretta a fargli in auto. Mentre lui aspettava fuori, nel buio. Forse l’italiano era deficiente, ma non fino a quel punto.
Il Capo assunse un’aria contrita e capì che era meglio levare le tende e tornare dalla sua famigliola.
- Bene. – il Capo dette un’occhiata circolare alla stanza, raccolse la preziosa borsa che finalmente Manrico aveva potuto consegnare. – Domani parti, allora? – era quasi un ordine.
- Non vedo l’ora. –
Il Capo tergiversò, ritornando a parlare in tedesco a Mélanie. L’ultima raccomandazione, forse.
Quel che gli rispose Mélanie fu convincente, perché con un gran sorriso fece ciao-ciao con la manina delicata alla volta di Manrico e prese per il corridoio. Mélanie lo seguì. La porta si richiuse.
Manrico raccolse le sue idee.
Rientrando in soggiorno Mélanie nemmeno lo guardò. Lui si alzò e gli si fece vicino, come se nulla fosse. La abbracciò da dietro e le tuffò la testa nei lunghi capelli. Mélanie fece per staccarsi, divincolandosi. Lui la tenne stretta, ancora più forte.
- Lasciami, ti prego, lasciami! -
- Non ti lascio. Perchè dovrei? Cosa ti ho fatto? -
- Non cosa mi hai fatto tu. Cosa mi ha fatto lui.. –
- Niente che abbia importanza. Niente. Non è stato niente. -
- Ma come posso io baciarti, ora? Non posso, non posso… -
- Ti bacerò io. Ti bacerò tutta. Per tutta la notte, per tutto domani, per tutto il tempo che ci resta. -
- Mi sento una puttana. – e gli si strinse contro, mentre due lacrime le scendevano sulle guance, fino alla bocca, lavando le sue labbra dalla sporcizia che si sentiva dentro. Manrico le baciò le lacrime e se ne bagnò, e le baciò la bocca, con la delicatezza con cui si aspira il profumo di una rosa, e con le labbra si sfiora a sentirne i fragili petali, mentre le palpebre si chiudono, per isolarsi dal mondo esterno e sentire la natura fluire  dentro, fino nell’anima, nascosta da qualche parte, a volte sperduta, a volte spaventata, a volte fragile, a volte coraggiosa, sull’orlo di una crisi, ma sempre in attesa di una visione, che ci parli del nascere, dell’esserci e del morire.
Della vita, insomma.

azzurronero


 
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