Creato da ibiscos0 il 04/10/2009

SCUOLA E SCUOLE

idee per una scuola possibile

 

 

ELOGIO DELLA FOLLIA

Post n°21 pubblicato il 17 Febbraio 2010 da ibiscos0

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Scrivo solo quando ho da dire qualcosa.

In questi giorni ho letto due articoli interessanti  che mi hanno colpito.

 Il primo riferiva di un progetto di recupero di un vecchio manicomio, abbandonato dopo che la legge Bisaglia permise l’apertura di tutti gli ospedali psichiatrici e allo stesso modo favorì  la chiusura delle scuole speciali per gli handicappati e il loro inserimento  nelle scuole di tutti.

Sono passati 42 anni e, nonostante drammatiche involuzioni e tentativi di nostalgici ritorni al passato, quello spirito di integrazione fra “diversi come noi” non si è ancora spento.

Nell’enorme complesso abbandonato sorgeranno hotel, case, un centro culturale, un centro benessere, uno sport center…

Ma fortunatamente, con intelligente sensibilità saranno salvi i resti del muro-diario scritto da un ricoverato con la fibbia della divisa. Si tratta del graffito N.O.F.A. (le iniziali dell’autore) fatto di testi, disegni, incisioni, fantasie sulla vita, testamento di una segregazione, disperata impronta di una persona che aveva bisogno di comunicare con un altrove. Il manicomio, infatti, negava molte cose a cominciare dalla corrispondenza: chi entrava chiudeva la porta sull’esterno, perdeva  ogni contatto con il “fuori”.

 La salvezza di questi trenta metri di muro-diario sottraggono al vento e ai fantasmi  l’urlo prepotente di un’anima segregata.

 

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Naturalmente ho pensato ad Alda Merini:

Vivo ancora nella casa da dove sono partita per il manicomio. Ancora non riesco a lasciarla. Ancora dopo anni di solitudine, ogni sera, metto una barricata contro la porta perché ho paura che vengano a prendermi e che mi portino via..” (da Diario di una diversa, Rizzoli, Milano, 1997).

Il testimone

Io sono il tuo testimone

Sono cieco come Omero

Ma ho mille occhi come Argo

Anche se mi siedo su di un piedistallo

E sono nudo di silenziosa virtù

Ti ascolto e so che tu fremi

Perché sai che io ho veduto

E tu hai avuto la tentazione

Di togliermi l’unico occhio che avevo

E lo hai quasi fatto

Poi hai sentito il bisogno di colpirmi alle gambe

E non ho più ballato

Mi hai messo le scarpe ai piedi

Quando fuggivo nuda tra i prati

Hai anche piantonato la mia povera mente

Ma rimango comunque il tuo testimone

Hai afflitto i miei amori con mille soste

Mi hai tagliato le foglie

E persino il ventre fonte di ogni desiderio e piacere

Mi hai fatto deridere da uno storpio

Cantare da una musa stonata

Affliggere da misere presenze di mercato

Ma io rimango il tuo testimone

Sono un testimone alto alato

Che vola oltre la tua possibilità di mescita

E di fatto tu mesci vino amaro

Ma sono sempre il tuo testimone

Tu sei il male in persona

Ma chissà perché

Sei anche il mio privato endecasillabo

Io sono il tuo testimone

E tu sei il mio cuore.

Dicembre 1991

 

Alcuni giorni più tardi, un  secondo articolo mi ha ricondotto per incredibile associazione al primo, parlava della casa dei maestri in bilico, il manicomio dei professori, il luogo di cura del male oscuro degli insegnanti.  E’ a La Verrière, un ex sanatorio a quaranta chilometri da Parigi, ora modernissimo ospedale psichiatrico, la casa in cui si cura la sindrome del “burn-out” dei docenti. Bruciati, inceneriti, spazzati via dal vento della depressione, da un senso di disadattamento, da una dolorosa incapacità a reggere l’urto con la classe e con il proprio lavoro.

Perso il ruolo sociale, vittime del bullismo dei ragazzi e dell’ostilità delle famiglie, alcuni docenti non riescono più a trovare un senso in quello che fanno, nessuno li garantisce, ogni autorevolezza sembra perduta per sempre. Parlano e nessuno li ascolta, e a poco a poco la voce si affievolisce, hanno l’impressione di predicare sempre più flebili nel  deserto. Così la fiducia in se stessi si sbriciola: non danno in escandescenze, non esplodono con rabbia, solo si smorzano, inceneriscono silenziosamente, soli, con un gessetto in mano di fronte ad un mare sempre più burrascoso. Ed infine uno schianto, senza far rumore.

A La Verrière.

 

Chi sono?

 

Son forse un poeta?

No, certo.

Non scrive che una parola, ben strana,

la penna dell’anima mia:

“follia”.

Son dunque un pittore?

Neanche.

Non ha che un colore

La tavolozza dell’anima mia:

“malinconia”.

Un musico, allora?

Nemmeno.

Non c’è che una nota

Nella tastiera dell’anima mia:

“nostalgia”.

Son dunque…che cosa?

Io metto una lente

Davanti al mio cuore

Per farlo vedere alla gente.

Chi sono?

 

 

Il saltimbanco dell’anima mia.

 

Da Poesie 1904-1914, Aldo Palazzeschi, in “poeti italiani del Novecento, a cura di P. V. Mengaldo A. Mondadori, 1978

 

 


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        Giardino del manicomio, Vincent van Gogh

 

 

 

 
 
 

24 Gennaio 1920 - 22 gennaio 1990

Post n°20 pubblicato il 24 Gennaio 2010 da ibiscos0

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Amedeo Modigliani, Jeanne Hebuterne

90 anni fa, il 24 gennaio 1920, all'Hopital de la Charité di Parigi, se ne andava Modì, livornese, sfinito dall'alcol e dalla tubercolosi. Pittore bohémien, 35 anni vissuti a dipingere vorticosamente ritratti esasperati, dai colli infiniti e dagli occhi senza pupille, alla ricerca dell'anima.


20 anni fa, il 22 gennaio 1990, a Roma moriva Giorgio Caproni, livornese, maestro e poeta in lotta con l'oltre: sfida la morte, la anticipa, la prende alle spalle, di sorpresa, la corteggia e la provoca, trascina l'aldilà nell'aldiqua, gioca sui contrari, li accoppia e li scavalca.

 

A entrambi, che apprezzo, vorrei rendere omaggio: al primo, con uno dei molti ritratti della compagna, Janie, al secondo con questo

 

Biglietto

lasciato prima di non andar via

 

 

Se non dovessi tornare,

sappiate che non sono mai

partito.


Il mio viaggiare

é stato tutto un restare

qua, dove non fui mai.

 

Giorgio Caproni, da Il franco cacciatore, TEA 1996

 
 
 

Elasticità futurista

Post n°19 pubblicato il 18 Gennaio 2010 da ibiscos0

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Ancora sull'Italiano!

Post n°18 pubblicato il 18 Gennaio 2010 da ibiscos0

L'Accademia della Crusca, l'antico istituto che si occupa di studi e ricerche sulla lingua italiana, riceve quotidianamente una quantità considerevole di quesiti circa i dubbi ortografici, grammaticali e lessicali che tormentano molti studiosi, insegnanti e docenti universitari di fronte a usi non del tutto ortodossi della lingua che compaiono in contesti colti, sui quotidiani o ascoltati alla tv e alla radio. Com'è il plurale di  "euro"?  "latte" ha il plurale?  E' corretto il verbo "attenzionare"? "Sogniando" o "sognando"

Il servizio di pronto soccorso dell'Accademia, una casella di posta elettronica a disposizione sul sito dell'accademia, denuncia ora un progressivo aumento delle richieste sorprendentemente da parte di professionisti, famiglie, curiosi, a dimostrazione che la lingua per qualcuno è un tormentone o che comunque un terreno minato.

La lingua italiana è certamente bistrattata e le cause di tale maltrattamento non sono direttamente linguistiche, bensì culturali. Concordiamo senz'altro sul fatto che la lingua è in continuo mutamento ed evoluzione, è materia viva  e l'uso comune finisce col modificare la grammatica. Tant'è che ormai si accetta "gli" al posto di "loro", "lui" e "lei" come soggetti. Ma, preoccupa la tendenza ad abbandonare l'uso corretto della nostra lingua.

Domande:

(a) si tratta di ragionare sulla differenza tra oggettive infrazioni alla lingua o violazioni della sensibilità stilistica soggettiva? 

(b) chi "legifera" sulla lingua: il linguista o il parlante?

 

Oltranza oltraggio

 

Salti saltabecchi friggendo puro-pura

nel vuoto spinto outré

ti fai più in là

intangibile - tutto sommato -

tutto sommato

tutto

sei più in là

ti vedo nel fondo della mia serachiusascura

ti identifico tra i non i sic i sigh

ti disentifico

solo no solo sì solo

piena di punte immite frigida

ti fai più in là

e sprofondi e strafai in te sempre più in te

fotti il campo

decedi verso

nel tuo sprofondi

brilli feroce inconsutile nonnulla

l'esplodente l'eclatante e non si sente

nulla non si sente

no sei saltata più in là

ricca saltabeccante là

 

L'oltraggio

 

Andrea Zanzotto, da La beltà, Mondadori Milano 1968

 
 
 

Di chi la colpa?

Post n°17 pubblicato il 02 Gennaio 2010 da ibiscos0
 

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Su una pagina interna del quotidiano "la Repubblica" dei primi di

dicembre è apparsa una serie di articoli sullo stato di salute della

lingua italiana, sul grado di conoscenza delle regole della nostra

lingua possedute dagli studenti di oggi.

Gli articoli prendevano spunto dal "grido di dolore" di molti

rettori di università italiane, presidi che giustificavano l'istituzione

di corsi di recupero di Italiano per le matricole documentando

gli errori più frequenti nei test di ingresso alle facoltà.

 

Questi alcuni degli strafalcioni riportati:

 

Consecutio - Se io sarebbe più abile, tu mi affiderai una squadra

L'apostrofo - Non so qual'è la prima qualità di un'uomo

Il congiuntivo - Se tu saresti più alto, potessi giocare a pallacanestro 

 

Se tutto questo accade, di chi la colpa?

 

Rispondono:

Tullio De Mauro: "I guasti iniziano nella scuola dell'obbligo.

Il buonismo e le promozioni di massa hanno fatto danni,

 non si sbarra il passo a chi non è all'altezza.

Il disprezzo della lingua italiana risiede anche

in certi romanzi di nuovi autori, pieni di parolacce

e di inutili scorciatoie".

Gian Luigi Beccaria: "Credo che il predominio dell'inglese

stia nuocendo all'uso dell'italiano....la colpa è di un

intero percorso scolastico che non sempre funziona.

Inoltre l'uso esclusivo di telefoni cellulari e computer

come strumenti di comunicazione non aiuta la nostra lingua:

l'italiano sta regredendo a dialetto".

Giovanni Tesio (critico letterario e docente all'Università

del Piemonte Orientale): " Ma non dipende solo dalla scuola:

la colpa è anche delle famiglie e dei modelli culturali.

La prevalenza dell'immagine porta a una disattenzione verso

i testi, e comunque è vero che mancano le basi. Me ne accorgo

correggendo tesi di laurea, non solo scritte male, ma anche

piene di strafalcioni. Perché per decenni si è demonizzata

la grammatica, come se tutto dovesse essere facile e

divertente. Ebbene, a scuola non tutto può né deve

esserlo.Un'altra fesseria è credere che la grammatica

s'impari leggendo, quello è un universo che non

accetta usi strumentali. E non è affatto vero

che val più la pratica della grammatica. Altrimenti

non sarebbe possibile che 45 laureati su cento

ignorino il passato remoto del verbo cuocere".

 

Se tutto questo accade, le colpe stanno proprio

nelle cause individuate dai personaggi intervistati?


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