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I prigionieri dichiarati abili al lavoro venivano condotti negli edifici dei bagni, dove dovevano, anzitutto, consegnare biancheria ed abiti civili, nonché tutti i monili di cui erano in possesso; venivano privati, inoltre, dei documenti d'identità eventualmente posseduti. Uomini e donne potevano conservare solo un fazzoletto di stoffa; agli uomini era concesso conservare la cintura dei pantaloni. Rivestiti dell'abbigliamento da campo, i prigionieri venivano poi registrati: veniva compilato un modulo con i dati personali (Häftlings-Personabogen) e con l'indirizzo dei familiari più prossimi. I detenuti ricevevano, poi, un numero progressivo che, per tutta la durata del soggiorno all'interno del campo di concentramento, ne avrebbe sostituito il nome. Il numero era tatuato sul braccio sinistro del prigioniero, dapprima attraverso uno speciale timbro di metallo, sul quale venivano fissate cifre interscambiabili, fatte di aghi della lunghezza di circa 1 centimetro e successivamente attraverso il ricorso a singoli aghi, utilizzati per eseguire punture sull'avambraccio. Sul triangolo che identificava la categoria, era anche dipinto o impresso con inchiostro l'iniziale tedesca della nazionalità del detenuto, a meno che questi non fosse cittadino tedesco o apolide. La registrazione proseguiva poi con tre foto, che ritraevano il detenuto di fronte, di profilo destro e di profilo sinistro. Dal 1943, a causa delle difficoltà nel reperire materiale fotografico, le foto furono generalmente limitate ai soli detenuti tedeschi. I detenuti ritenuti "abili al lavoro" dovevano lavorare fino allo stremo per numerose ditte tedesche, tra cui la I.G. Farben, produttrice del gas che serviva a sterminarli, la Metal Union e la Siemens. Nel campo non c'erano servizi igenici, nessuna assistenza medica, fame ed epidemie erano all'ordine del giorno. |
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