ebbasta

rugbItalia


Il rugby è, forse, lo sport che più di ogni altro ha nel suo DNA una bellezza che altri non hanno, peccato che RugbItalia sia riuscita a trasformarlo in una telefiaba o telenovela di pessimo gusto. Da oltre vent’anni, non riuscendo ad accettare che in uno sport si possa essere inferiori agli altri, continuiamo a menarla sull’epico ed ogni nostra partita viene presentata come una sfida fra Davide e Golia. Armiamoci e andiamo. Ovviamente prendiamo solo sberle che, in un qualunque sport, considerata la continuità, ci farebbero riconoscere che siamo dei brocchi, punto. Invece no, ogni legnata sarebbe un nuovo passo avanti. Evidentemente, di legnata in legnata, almeno a me non è chiaro quali sarebbero i passi avanti perché o le prendi nei denti o dietro il collo o nei coglioni, le legnate restano legnate. Quando invece, accade che vinciamo, non succede solo perché la statistica premia anche i brocchi ma ecco che parte la processione con la madonna in spalla e si apre la liturgica gara a chi è più bravo a raccontare l’impresa impossibile. Litanie di poemi che – ricorrendo alle allegorie più ridicole come quelle di aluni telecronisti e che farebbero ridere persino Omero – parleranno di quel manipolo di eroi che ha difeso strenuamente la propria meta lanciando all’assalto di quella nemica un solo uomo, quel novello Filippide che, giunse in meta spinto dal fiato dei compagni di coorte al grido di siam pronti alla morte l’Italia chiamò. Imprese che nella nostra mediocrità, più culturale che sportiva, diventano il bonus con il quale cancelliamo d’emblée tutte le figure di merda che da ben oltre vent’anni collezioniamo senza vergogna. Non vergogna perché si perde ma, vergogna perché non c’è l’umiltà di accettare di essere brocchi e ripartiamo di nuovo, punto e a capo. La cosa ancor più patetica, nel punto e a capo, sono quei maghi del rugby che abbiamo portato alla culla del bambino che stiamo traumatizzando perché deve diventare un campione e deve entrare in quell’élite del rugby nella quale il povero piccolo non riesce proprio ad entrare. Noi però non l’accettiamo ed ecco il coatch sudafricano, il neozelandese, il francese, l’irlandese che pagati lautamente con zecchini pubblici vengono a prenderci anche loro per il culo e noi annuiamo pendendo dalle loro labbra.
Come se non bastasse ci diamo da fare a cercare nonni adottivi improbabili pur di naturalizzare nel tricolore un po’ di altrettanta mediocrità straniera che non troverebbe spazio nelle indigene rappresentative. Questo significa che vincere ci interessa più di quel crescere che andiamo blableggiando.
Prepariamoci, ordunque, alla prossima epica partita alla pietosa ricerca di qualche dollaro d’onore in quest’odissea di perdenti che non accettano che noi col rugby non abbiamo nulla a che spartire. Il rugby resta il rugby, sia nello sport che nella sua cultura. Facciamocene una ragione, noi siamo scarsi, sia in questo sport che nella nostra cultura, malgrado siam pronti alla morte.
ebbastaultima modifica: 2019-03-16T11:26:30+01:00da arienpassant

5 pensieri riguardo “ebbasta”

  1. la cosa difficile è stata rielaborare l’affresco per piazzarci l’ovale. Un lavoraccio. Però, che soddisfazione: Michelangelo&Arien! Una soddisfazione anche per te, puoi sempre dire che un amico tuo ha collaborato con Michelangelo, tzè.

  2. michelanpassant..hoplà …scusa una domanda sull’affresco hai per caso disegnato le linee dei quarti di campo:)? potevi chiedere una consulenza a Dalizzy [ah ah ]

  3. se gli avessi chiesto la consulenza sarebbero state linee ondulate [ah ah] alla Dalìzzly. michelanpassant è very very geniale.

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