think different

napoleone

Molto spesso l’anticonformismo viene confuso con il pensare differente. A mio avviso, invece, le due cose differiscono perché l’anticonformista nella maggioranza dei casi è qualcuno che viaggia con un pensiero proprio ovvero con un pensiero precostituito che esprime sia nelle opinioni che negli atteggiamenti. Il pensiero differente, invece, non ha a che fare col pregiudizio ma, come l’elettrone nella fisica quantistica, è un pensiero che non esiste finché non si palesa. In realtà l’elettrone esiste, ma non si sa come e dove si paleserà. Il pensiero differente, invece nasce occasionalmente e solo di fronte a determinate affermazioni. Per fare un esempio, una sera a cena con amici, T. affermò:
“Come disse Napoleone, io preferisco un generale fortunato ad uno bravo”.
“Io non so se Napoleone abbia detto una cosa del genere e se davvero l’avesse detta, non so se non fosse solo una battuta; potrebbe anche essere solo un’affermazione estrapolata da un discorso più ampio e, forse, voleva intendere altro”, gli risposi.
“Cioè?”, replicò T.
“Voglio dire che se Napoleone l’avesse detto in modo convinto, avrebbe dimostrato che anche un personaggio autorevolissimo nel suo campo, può dire cazzate. Fermo restando il diritto di esprimere le proprie opinioni”, risposi.
“Eccolo l’arrogante capace di discutere chiunque!”, disse T.
“In realtà non ho discusso Napoleone, ma ho solo sottolineato una cazzata a prescindere da chi l’abbia affermata. Quindi dove sarebbe l’arroganza?”, gli chiesi.
“Ok, allora convincimi del perché quell’affermazione sarebbe una cazzata”, disse T.
“Quando hai detto che parti per tornare a Toronto?”, gli chiesi.
“Settimana prossima, mercoledì.”, mi rispose.
“Bene, se potessi scegliere personalmente il pilota del tuo aereo, sceglieresti uno bravo o uno fortunato? Oppure, se dovessi essere sottoposto ad un’operazione chirurgica, sceglieresti un chirurgo bravo o uno fortunato? E potrei continuare all’infinito. Io da uno fortunato, al massimo, mi farei comperare il biglietto del superenalotto.”
“Immagino che bravi e fortunati, non me la passi come risposta, vero?”
“Eh, no. Tempo scaduto”, gli risposi sorridendo.
***
Ora è chiaro che prima di quell’affermazione napoleonica, il pensiero differente non esisteva, quindi non c’era nessun pregiudizio che avesse condizionato la mia riflessione. Quell’affermazione rimaneva una cazzata a prescindere da chi l’avesse fatta ed io mi ero soffermato in modo critico solo su di essa e non su chi l’avesse espressa. Pensare differente, quindi è non dare nulla per scontato. Einstein ha letto le leggi di Newton non discutendo l’autore, ma solo non dandole per scontate, eppure esse non erano opinioni ma equazioni apparentemente inattaccabili. Allo stesso modo, i fisici quantistici, non hanno considerato oro colato quello che aveva dimostrato Einstein ed anche qua ci troviamo di fronte non ad opinioni ma ad equazioni altrettanto inattaccabili.
Alla fine, il motivo per il quale il pensiero differente non esiste è lo stesso per il quale anche la poesia non esiste. Tutt’e due si palesano solo quando si verificheranno due circostanze concomitanti. Nella poesia dev’esserci un motivo scatenante e contemporaneamente la sensibilità o lo stato d’animo che la coglie. Nel pensiero differente serve la concomitanza di una cazzata e l’intelligenza o la logica nel coglierla. Dovrebbe essere inutile aggiungere perché la poesia accade più raramente del pensiero differente.
think differentultima modifica: 2020-11-18T17:58:57+01:00da arienpassant

10 pensieri riguardo “think different”

  1. Bello, polemico, strutturato. L’unica nota dolente è grammaticale: non si dice e non si scrive “settimana prossima”, ma “la settimana prossima”. Glielo dici tu al signor T. che next week va bene solo per gli inglesi? 🙂

  2. Non glielo dirò a T., perché non ricordo di preciso se lui disse proprio così, ma prendo nota perché “settimana prossima” fa parte del mio gergo 🙂

  3. Interruppe un attimo il suo pianto, asciugò le lacrime, e mi chiese:
    “In generale, come ti poni tu quando leggi?”, ed aspettando la mia risposta riprese a piangere affettando la cipolla. Aveva la capacità di commuovermi e coinvolgermi ogni volta che lo faceva. Mi avvicinai, le misi un braccio sulle spalle, appoggiai la mia guancia alla sua ed all’orecchio, un po’ stringendola, le dissi:
    “Dai, smettila, vedrai che tutto si sistema. Guardami”, lei si girò ed ancora con le lacrime che le scorrevano sulle gote, si sciolse in un sorriso mentre io, con gli occhi lucidi, aggiunsi: “te lo prometto”.
    Lei, sempre sorridendo, chiuse gli occhi e scodinzolò con la testa come per dire “niente da fare, è proprio matto.”
    “Rispondo alla tua domanda” – dissi sedendomi a distanza di sicurezza dalla cipolla ormai arrivata, nella commozione generale, ai suoi ultimi millimetri di vita – “quando leggo per curiosità, per interesse o per studio non lo faccio mai in modo pregiudizievole perché, in tutti e tre i casi, quello che leggo entrerà nella mia cultura in modo positivo e, quindi, costruttivo insegnandomi qualcosa oppure in modo negativo, ma culturalmente, sempre positivo, perché mi aiuterà a selezionare il meglio dal peggio.”
    Lei mischiò il trito di cipolla a quello di carota e sedano, lo versò nell’olio caldo e la padella sfrigolò con il piacere di un orgasmo che lei accentuò girando l’intruglio con il cucchiaio di legno. Abbassò la fiamma e coprì, lasciando che il tutto si godesse l’intimità del dopo. Tagliando i pomodorini si girò verso di me e mi disse:
    “Ma tu ti arrabbi se qualcuno ti corregge o ti fa notare un errore di forma o grammaticale?”
    “No, arrabbiarmi mai. Posso provare fastidio quando lo si fa in modo saccente e spocchioso che però è compensato dal lato positivo, l’altra faccia della medaglia, che mi aiuta a tirare una riga sul limite culturale di chi non ha l’eleganza e la delicatezza di correggere evitando la spocchia e la saccenza.”
    Sollevò il coperchio e versò il trito di carne. Girò appena un po’ prima di aggiungere i pomodorini in quell’orgasmo che ora stava solo nella delicatezza dei colori e dell’odore. Aggiunse il sale e rimescolando:
    “Quindi non ti arrabbi quando lo faccio io.”
    “Al contrario, ci resterei male se scoprissi che per eleganza o delicatezza, non l’hai fatto. Sarebbe come accorgerti che ho imboccato un divieto d’accesso e per non mortificarmi non me lo fai notare.”
    Mi alzai, la presi per la vita…
    “Mi sento sollevata… non ti arrabbieresti neanche se lo facessi in pubblico?”
    La sedetti sul tavolo:
    “Certo che no, e se gli altri pensassero che “sei saccente e spocchiosa, ti direi che sono problemi loro e di sicuro non tuoi. Ora resta seduta qua. Alle pennette penso io”, le dissi prendendo un’oliva ed imboccandogliela:
    “Mi raccomando, l’osso si sputa?”
    Lei masticando e facendo gli occhi grandi, fece di no con la testa.
    “Brava, l’osso s’ingoia.”

  4. hahahah sotto certi aspetti sei inarrivabile, mio caro giocoliere delle parole 😉 e ora accantonando ogni sentimentalismo, ciò che tu definisci “osso” sarebbe ciò che i comuni mortali definiscono “nocciolo” e che certe persone con spiccata tendenza alla boria definirebbero “epicarpo”? 🙂 Dimenticavo: il finale, benché divertente, non ti sembra un tantino (orrore grammaticale!) sadico?

  5. Mannaggia, il noccioloooo! Sì, sarebbe proprio quello. Non la buccia :))
    Sì, un tantino sadico, ma mi sono sempre chiesto cosa si fa dei noccioli delle olive dopo averli discretamente sputati nel pugno? Non sapendolo, sempre discretamente, io li metto in tasca.

  6. Né mercato, né fiera e nemmeno osteria. A cena con persone. Non li mettevo, però, nella mia tasca, non sono così maleducato, ma in quella del mio vicino che, fra l’altro, mi stava pure antipatico.

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