ape

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Arrivò alla porta per andar via, si girò:
“Comunque, mia nonna mi ha detto che i rimedi naturali, oltre che con i morsi di zanzara, funzionano pure con la malinconia e la tristezza”, e andò via.
Apparecchiai la tavola, mi preparai un’insalata di pomodorini tagliati a metà, due cipolline tenere tagliate a cerchietti, il cuore di un cetriolo, un piede di sedano, un filo d’olio e qualche goccia d’aceto. Una spruzzata di sale e girai per bene. Ci aggiunsi qualche filetto d’acciuga sott’olio. Una fetta di pane d’Altamura per accompagnare, mezzo bicchiere di vino rosso e quello fu il mio pranzo.
Nel pomeriggio mi recai a casa di compare Angelo. Ci sedemmo in cucina e programmammo le successive premiture per completare il raccolto delle mie olive. Poi comare Rosaria ci servì il caffè e si sedette con noi. Lo fece anche Catalda.

“E dimmi”, rivolgendomi a Catalda, “mi ricordo quando andavi a ricamare… ora che fai?”
“A ricamare? Andavo a taglio e cucito. Facevo la sartina e la faccio ancora. E’ l’unica cosa che so fare bene”, mi rispose.
“Proprio l’unica non direi”, pensai.
“Ormai, dopo diec’anni è sarta finita…”, aggiunse Rosaria.
“Sarta finita? Cioè, fammi capire, taglio e cucito?”, le chiesi.
“Eccerto”
“Cioè sei capace di fare un abito completo compreso il modello?”
“Eccerto, se non sapessi fare il modello come faccio a fare l’abito?”
“Anche pantaloni, giacche, camicie”, insistetti.
“Da donna, solo da donna”, rispose.
“Certo da donna“, dissi mostrando un particolare interesse che Rosaria colse.
“Ma perché vi serve qualche abito per signora? Guardate che dovete solo chiedere, marchese”, mi disse Rosaria.
“No, non è questo. Voi lo sapete che vado e vengo da Parigi perché se qua ho interessi immobiliari, là ho altri interessi. L’olio per esempio è un altro mio interesse. Parigi, lo sapete, è la città della moda ed io già da tempo sto pensando di aprire anche una sartoria da donna. Qualcosa che inventi uno stile nuovo, però, soprattutto per le signorine. Qualcosa di eccentrico, che faccia scalpore tipo trasformare il maschile in femminile…”, dissi.
“Eh marchese, su moda e vestire siete capitato male. Noi non ci capiamo niente”, disse Angelo.
“Voi no, ma Catalda sì e credo che possa aiutarmi. Tu…”, rivolgendomi a lei, “la prossima volta che vado a Parigi, ci verresti con me? Sempre col vostro permesso “, le chiesi.
“A Parigi? E me lo chiedete pure? A piedi ci vengo”, rispose.
“Voi sareste d’accordo?”, chiesi ad Angelo e Rosaria.
“Marchese, a Parigi per quanto tempo e per fare che?”, chiese Rosaria.
“Vi spiego, per mettere su un attività è importante capire come funziona la moda là, cosa piace alla gente, come si vestono e volendo creare nuovi modelli, quali sono le cose che si possono fare in modo che vengano accettate e quali sono quelle che non si possono fare. Poi è necessario capire se un nuovo modello può essere tecnicamente realizzato perché, ad esempio, quel tessuto che uno ha pensato, in Francia nemmeno esiste. Ora io ci posso mettere i soldi, le amicizie, ma mi serve la persona che ne capisce di taglio e cucito, di modelli, di cotoni, elastici o bottoni. E’ come se io volessi aprire un frantoio a Parigi, mica vado là da solo. Mi serve uno esperto come Angelo. Per quanto tempo? Considerato che tra andare e tornare se ne vanno 10 giorni, altri 20 per capire sul posto, assieme ad una persona esperta come lei, cosa serve per realizzare e far funzionare un tale progetto in un posto che non è questo ma quello, ovviamente tutto a mie spese. Tu te la sentiresti?”, chiesi a Catalda.
“Mamma lo sa, tre anni fa, quando la mia maestra fu ricoverata, la sartoria la mandavo avanti io ed eravamo sei sarte. Guarì dopo otto mesi e la sartoria la mandai avanti senza perdere una sola cliente anzi, solo io, ne feci arrivare tante nuove. Ti ricordi mamma quando la maestra guarì? Ti ricordi il regalo che mi fece? Facevo tutto io, sceglievo le stoffe, le compravo, facevo i modelli, insegnavo alle più giovani. Bottoni, cinture, aghi, cotoni, fili, merletti, tutto io. Anche la cura per le macchine da cucire. Guardavo le prove e i difetti. La sera, le altre se ne andavano e io restavo per preparare il lavoro del giorno dopo e scrivevo tutto nel quaderno giornaliero. Tutte le domeniche, unico giorno di festa, andavo a trovare la maestra e le davo i quaderni della settimana in modo che lei fosse sempre informata di tutto. Se me la sento? Se c’è una cosa dove non mi fa impressione niente e nessuno è nel mio mestiere. Il francese però non lo so”, disse con una semplicità disarmante. Solo sicurezza di sé.
“E’ vero. Me li ricordo quegli otto mesi, passarono come se nulla fosse successo. E mi ricordo pure il regalo che ti fece, ma una cosa è qua e una cosa è Parigi”, disse la comare.
“Perché mammà, un dottore o un muratore a Parigi non sanno fare le stesse cose che fanno qua? Papà non saprebbe fare più l’olio a Parigi? E tu non sapresti più fare la spesa a Parigi? Magari dovresti chiedere dove sta il macellaio e magari dovresti capire solo che là il maiale lo tagliano in modo diverso”
Ero sorpreso dalla sartina. Non era solo completa come sarta, ma lo era anche come dirigente, nel senso di gestire da sola una sartoria. Proprio quello che mi serviva perché, come avevo imparato a pensare, se è vero che il successo sta nel prodotto, per realizzarlo serve che anche la filiera sia di successo e per questo, come per l’olio, servono anche le persone giuste al posto giusto, la qualità del singolo componente, la qualità di tutto il processo di lavorazione. Non avevo ancora parlato con nessun’altra sarta, Catalda era la prima, ma sentivo che sarebbe stata la mia scelta. Mi mancavano solo due cose; la prima mostrarle alcuni disegni ed avere il suo parere; la seconda, la sua risposta alla domanda che non le avevo ancora fatto perché, soprattutto nel lavoro, mi sono sempre chiesto qual è la differenza fra le cose facili e quelle difficili.
“Marchese, toglietemi una curiosità, ma se vi serve una sarta a Parigi, perché non la cercate là?”, mi chiese compare Angelo.
“La domanda sarebbe giusta, compare, se aveste compreso che io non sto cercando solo una sarta. Se io ne capissi di sartoria, nemmeno staremmo qua a parlarne perché a capo della sartoria ci starei io. Io sto cercando una che ne capisce di sartoria, ma non dovrà fare solo la sarta, ma deve mandare avanti la bottega e farlo lei da sola. Ora mi dirai che pure questa figura me la posso cercare a Parigi, ma se tu dovessi cercarti uno che ti sostituisce a capo del frantoio, la prima cosa che ti cerchi non è che sia una tua persona di fiducia? Una persona sulla quale ci metteresti la mano sul fuoco?”
“E tenite ragione marchese, ma come fate a dire che su Catalda ci potete mettere la mano sul fuoco addò è vero che la conoscete da quanno era piccirella, ma sulla bravura e sulla fiducia mica questo può bastare.”
“Cumpare, se davvero è brava per come serve a me, lo devo ancora capire, infatti su questo non ho ancora deciso. La fiducia, invece, voi me lo insegnate perché tenete i capelli bianchi, è sempre una lotteria, come il matrimonio. Devi andare a sentimento. Se io vengo sempre da voi, per il mio olio, è perché vi conosco da anni, mi siedo al vostro tavolo, mangio con voi, vi rispetto e voi mi rispettate. Potrei dire che siamo diventati amici, ma non conta perché amici o no, c’è una cosa che per me è più importante di qualunque amicizia, io mi fido di voi e voi di me. Io ci metto la mano sul fuoco che dalle mie olive voi non vi rubate neanche un secchio – poi magari ve ne rubate due – ma io non ci credo”, dissi ridendo, “quindi, come su di voi, la mano sul fuoco ce la metto anche su Catalda”, dissi e accesi una sigaretta.
“E io vi ringrazio, marchese”, rispose Angelo.
Guardai Catalda e le feci la domanda che non le avevo ancora fatto, ma che poteva darmi un altro indizio sulla sua capacità di essere un capo.
“Poi c’è da dire che aprire e far funzionare bene una sartoria non è che sia una cosa facile, vero?”
“Perché marchese, voi pensate che esistono le cose difficili?”, mi chiese lei.
“Come sarebbe, vuoi dirmi che le cose difficili non esistono?”
“No, non esistono. Magari servono i soldi per aprire e far funzionare una sartoria o qualunque attività, ma se i soldi non ci stanno e finché non ci saranno, aprire una sartoria non è difficile, ma impossibile. Quindi, semmai, esistono solo le cose facili e le cose momentaneamente impossibili.”
“Quindi mi stai dicendo che, ad esempio, trovare una sarta brava, capace e competente non è difficile, ma è facile”
“Se la cercate fra le sarte sarà facile, se vi mettete a cercarla fra le lavandaie o fra le cuoche o fra le ricamatrici sarà difficile solo perché siete fesso a cercare le cose nel posto sbagliato e perdete pure tempo”
“Quindi esistono solo le cose facili”
“None, esistono solo le cose facili e i fessi, e i fessi sono di due tipi; primo, quelli che fanno diventare difficili le cose facili; secondo, quelli che si rivolgono alle persone sbagliate. Marchese, quello che ho capito io già ai tempi della scuola è che se mi volevo far aiutare nel compito di matematica dal professore di religione o di disegno, stavo fresca. Al mio paese si è sempre detto “hai messo la carta di musica in mano al barbiere” proprio per dire che ognuno deve fare il proprio mestiere. Questo non toglie che poi ci sono sarte meno brave e sarte chiù brave comm’a mia”, disse con un sorriso bello come lei e si alzò, “faccio un bel caffè, lo prendete?”
“Brava, a un bel caffè non si dice mai di no”, le risposi e aggiunsi “quindi per te nulla è difficile”
“Niente è difficile”
“Quindi sai fare tutto?”
“Ma che avete capito? Sto dicendo che quello che so fare, per me non è difficile perché lo so fare. Quello che non so fare, lo faccio fare a chi lo sa fare e state sicuro che anche per lui non sarà difficile, proprio perché lo sa fare. Avete capito?”, rispose.
“Sei stata chiarissima”, le dissi.
“Menu male, e adesso lo faccio un bel caffè?”
“Lo sai fare?”, dissi ridendo.
“Mannaggia marchese, non vi rispondo perché vi porto rispetto”, disse ridendo ed alzandosi a fare il caffè.

Avevo fatto bingo, per la prima volta qualcuno la pensava esattamente come me sulla leggenda metropolitana sulle cose difficili. Nessun bambino sa bere dal bicchiere, finché non impara a farlo. Quando apro un orologio e guardo tutti quegli ingranaggi, mi viene in mente la parola “ape” e penso al tempo che ho impiegato per riuscire a scriverla. Più di un anno, fra imparare a tenere correttamente in mano la penna, imparare a scrivere le singole lettere, farle stare sul rigo nell’ordine giusto ed unirle. Era difficile solo perché non sapendolo fare dovevo prima imparare. Né più, né meno della prima volta dell’orologiaio. Né più, né meno del primo bacio, malgrado gli esercizi sul dorso della mano.

apeultima modifica: 2021-07-22T15:41:17+02:00da arienpassant

14 pensieri riguardo “ape”

  1. Semplificando fino all’osso si dice: a ciascuno il suo, ed è una verità ovvia, ma che tuttavia sfugge a tanti. Catalda, con la sua saggezza da sartina, lo spiega benissimo ed è paradossale, ma solo all’apparenza, che lo faccia all’indirizzo del marchese. Tuttavia, è così che va. A volte mi sono sbalordita di quante persone che io consideravo sempliciotte (e le definivo così, pur consapevole che l’aggettivo ha connotazione negativa) avessero invece da insegnarmi qualcosa, a me! che avevo terminato il liceo, che già facevo l’università e che avevo letto un discreto numero di libri. Solo col tempo ho capito di quanta arroganza ero capace; ma ho imparato la lezione, e ora è proprio dalle persone semplici, non sempliciotte, che attingo. Ops, dimenticavo: bellissimo questo racconto.

  2. Sempre a proposito di sartine…impossibile spiegare il perché, ma un po’ di tempo fa avevo preso la pessima abitudine di dire, in segno di spregio, “quella sartina”, “quel modo di pensare da sartina” ecc. Fortunatamente realizzai in tempo che prima o poi sarebbe potuto accadere che avrei detto una sciocchezza del genere al cospetto di una sarta, e non ne feci più uso 🙂

  3. Io ho avuto ed ho sempre difficoltà a trovare qualcuno che condivida che le cose difficili non esistono, ma comprendo che ciascuno cerchi di difendere a denti stretti il proprio orticello.
    In fondo lo faccio tante volte anch’io con alcune mie opinioni 🙂

  4. Credo che “quella sartina” non sia urticante quanto possa esserlo “quel modo di pensare da sartina”, Catalda ti azzannerebbe alla giugulare :))

  5. Tu, quando vuoi difendere le tue opinioni, sei sfiancante, però hai i mezzi per argomentare e diciamo che, in fondo, ma proprio in fondo, ti si può perdonare qualcosa :)) comunque, c’è chi lascia perdere (io) e c’è chi invece insiste a oltranza; ne parlavo nel pomeriggio con la mia amica che è la classica gutta cavat lapidem… gliel’ho ricordato, e lei? si è compiaciuta 🙂

  6. “Tu, quando vuoi difendere le tue opinioni, sei sfiancante”

    Non è vero e ti spiego perché. Proverò ad essere sintetico e non logorroico, anche se temo di non riuscirci…

    (Lo so, in questo preciso istante ti sei già pentita di averlo scritto e stai già facendo il gesto di chi, pentita di aver commentato, sbatte da sola la testa contro il muro e sta facendo anche il gesto della siringa che si inietta nella vena dovendosi sorbire di nuovo la mia sfiancante logorrea)

    … perché non è vero, ma è verissimo.
    :)))

  7. Compiaciuta?
    Succede anche alla goccia quando finalmente buca la pietra, ma non sa come e quanto abbia rotto il cazzo :)))

  8. “Lo so, in questo preciso istante ti sei già pentita di averlo scritto…”, ormai mi leggi pure nel pensiero 🙂 tuttavia ci speravo nella filippica, ma giusto per dirti che non ti smentisci mai :)))

  9. Resterà da capire se l’hai fatto per gentilezza/affetto oppure perché eri tanto stanco d’aver messo l’eloquenza in standby 🙂

  10. So di essere “sfiancante” quando cerco di difendere le mie opinioni. In questo caso sarei stato sfiancante pur di non ammettere che lo sono? Quindi, la prima che hai detto gentilezza/affetto, ma anche rispetto :))

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