A come Altrove

VICINO

A dirla tutta, come mi succede per tante cose, ho sempre difficoltà a dividere col coltello il bello dal più bello perché, in termini di bellezza, di sapore o d’altro, nulla è più bello e nulla è più buono. Non esiste l’assoluto ma, per fortuna, esiste il mi piace ed il suo contrario e, questo, varrebbe anche per i sostantivi, i verbi, gli aggettivi, gli avverbi e così via se essi avessero un solo senso o una sola direzione.
Ad esempio, leggendo quest’affermazione: lontano è una parola che pacifica, che libera: se posso pensar lontano, non sono prigioniero, poiché sono fatto in modo strano, ma questo è un problema mio, la bellezza, come accade a tutti, mi colpisce ma, prima di accettarla come tale, essendo anche uno che non si fida, devo prima metterla in discussione.
Così, anche quell’affermazione l’ho passata ai raggi X della mia mente malata e quel pacifica è stato il primo verbo che non ha superato l’esame perché lontano, semmai, rassicura.
Lontano è il fossato che circonda il castello, è una porta blindata, ma è anche avere qualcuno vicino su cui poter contare, raccontare, confidare. Ancor di più, non ha superato l’esame quel se posso pensar lontano, non sono prigioniero.
Prima di tutto, non mi è chiaro se quel non sono prigioniero si riferisca alla persona o al pensiero perché sono cose ben diverse.
Il bello del pensiero è proprio la sua libertà, nasce libero e morirà libero anche se sei detenuto o, da libero, ti venisse impedito di esprimerlo ma, anche se accadesse, nessuna censura potrebbe impedirti di pensare, fantasticare e sognare.
Ora, se proprio dovessi trovare un nesso tra lontano e non essere prigioniero considererei lontano come una fuga dal vicino ovvero quando lontano è voglia di distanza, ma questo equivarrebbe a sottomettere un aggettivo ad un solo significato valido per tutte le situazioni. Non è così però, perché  sia lontano che vicino, possono raccontare entrambi qualcosa di dolce o amaro. Vivere lontano da chi ami, ad esempio, non è piacevole così come vivere vicino a chi detesti non lo è altrettanto e, in entrambi i due casi, sia lontano che vicino saranno la tua prigione.
No, io potrei amare o odiare entrambi a seconda di quello che, di volta in volta, raccontano. Per questo, se proprio dovessi sbilanciarmi, io sarei con Sara.

Lontano non è altrove, avverbio che piace invece molto a Sara: altrove, evidentemente, può essere vicino, vicinissimo: semplicemente non è qui.

Io non farei il furbo, perché se altrove, evidentemente, può essere vicino, vicinissimo: semplicemente non è qui, vuol dire che altrove, evidentemente, può essere lontano, lontanissimo: semplicemente non è qui.

“Quindi, mi stai dicendo che, come fanno molti scrittori, soprattutto quelli bravi, drogano le parole, magari facendole fare dei lunghi giri, per costringerle a dire quello che vogliono loro?”, mi chiede.

“Proprio così, Clara mia”, le rispondo.

“Clara mia? Non avevi detto che stavi con Sara?”, mi chiede sorpresa.

“Ho detto che stavo con lei nel senso che, fra lontano e vicino, condividevo il suo preferire altrove. Non ho detto che preferisco lei a te anzi, per restare in tema, per me Sara è lontano, tu sei vicino”, le chiarisco.

“È la prima volta che mi dici questo ma, non prendertela, non voglio chiederti di ciò. M’incuriosisce sapere, invece, perché, a differenza di lui che mi considera lontano, tu mi consideri vicino. Mi disorienti”, mi dice aggiungendoci un sorriso spaesato.

“Proprio perché, leggendo lui, ho contato quante volte ha scritto Clara: diciannove volte…”

“Ahahah, davvero le hai contate? Tu sei matto!” e, mettendo le mani a mascherina, si copre le labbra continuando a ridere nascondendomi tutta la bellezza del suo sorriso. Mi devo accontentare di quello dei suoi occhi che non è tutto, ma nemmeno poco.

“Beh, diciannove volte, sono tante. Un po’ come la differenza fra una bugia e una verità, perché se vuoi spiegarmi che Clara è lontano perché sta a settanta chilometri da te, capisco ed è anche un motivo per considerarla una verità. Però, senza che io te lo dica, tu stesso, consapevole che possa apparire come una bugia, mi aggiungi altri 18 motivi con Clara e lontano, allora lascia perdere, smetto anche di leggere. Altro che lontano, tu Clara ce l’hai dentro. Diciannove volte è un’ossessione”, le dico.

“Ahahahah, tu sei davvero matto! Ma non è che sei invidioso di lui?”, e ride ancora. Stavolta senza coprirsi la bocca.

In queste occasioni mi torna sempre in mente una cosa che mi diceva mio padre: “Più saprai far ridere una donna, più s’avvicinerà alle tue lenzuola”.

“Non lo so, ma potrebbe starci che sia invidioso di lui. Di sicuro se, come dice lui: Clara non legge per posa, ma per sete: Clara è abbastanza lontano per capire che l’ignoranza è una voragine infinita, un pozzo senza fondo… allora è più probabile che sono invidioso non di lui, ma di lei”, le dico.

“Quindi, almeno su questo, concordi che, come dice lui: Clara è abbastanza lontano”, mi dice.

“No, perché capire che l’ignoranza è un pozzo senza fine, non significa essere abbastanza lontano, ma significa essere abbastanza avanti. Per questo apprezzo l’uso che fa una mia amica degli aggettivi. Lei non sottomette due aggettivi a tutti gli usi ma, beata lei, trova sempre quelli giusti. Per questo però ci vuole talento”, le rispondo.

“Vabbè – dice tornando seria – scusami, ma ora devo andare. Il dovere mi chiama, mi dice guardando l’orologio.

Dire che le mie lenzuola erano lontano già sarebbe illudersi, in realtà erano proprio altrove dai suoi pensieri.
L’accompagno alla porta. Ci salutiamo. Esce.
“Ah, scusa”, dice tornando indietro solo per darmi un bacio sulla guancia e aggiungere “grazie.”

Mio padre diceva che… lasciamo perdere, tanto non ci prendeva sempre.

geniale!

DEP

Ahahah, devo ammetterlo, la sintesi perfetta su tutta questa faccenda l’ha trovata la De Pascale con un’immagine e, soprattutto, una parola: quel “Dilettanti…” che non esclude nessuno.
A Napoli ci sarebbero servite otto parole per dire la stessa cosa:
“Quanno se mett’ ’a fessa mmano ‘e criature”.