Tempi moderni

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Certo che, rispetto a questi, quelli sì ch’erano tempi moderni. Questi sono sempre di più e a turno tempi duri per qualcuno o per qualcosa.
In ordine di tempo gli ultimi a passarsela male sono i cecchini. Eh sì, non ci sono più i cecchini di una volta. Quelli che nei film, prendevano una stanza ai piani più alti di un albergo. Oltre che professionisti, vestivano in modo elegante ed impeccabile. Aprivano la loro valigetta e con calma olimpica e padronanza montavano il loro fucile, il mirino di precisione e l’apposito silenziatore. Non guardavano mai l’orologio. Non gli serviva, perché ce l’avevano in testa. Aprivano la finestra, chiudevano la tenda e posizionavano l’arma sul treppiede lasciando che solo una parte della canna ed il mirino sbucassero fuori dalla tenda chiusa. Facevano qualche test per la messa a fuoco riferita all’obiettivo ed erano pronti ad eseguire il lavoro. Gli bastava un colpo. Uno solo.
Bang.
Rismontavano tutto, richiudevano la valigetta. Si sfilavano i guanti ed andavano via mentre fuori le sirene della polizia risuonavano ovunque. La città veniva blindata e c’erano poliziotti dappertutto. Una decina di essi fecero anche irruzione nella nostra sala, mentre guardavamo il film. Era passato meno di un minuto dallo sparo. Qualche spettatore indicò ai poliziotti che quello che aveva sparato stava dietro una tenda in alto. I poliziotti capirono che il cecchino stava in galleria. Vi si catapultarono e ammanettarono quattro o cinque persone che portarono alla Centrale. Io restai al mio posto per continuare a guardare il film. Avevo pagato e ne avevo diritto.

Oggi non sono cambiati solo i tempi, ma anche i cecchini che, malgrado i progressi tecnologici, non sono più professionali, precisi e, soprattutto, eleganti come quelli di una volta. Che poi, per colpire un bersaglio grosso come quello, non è che servisse proprio un tiratore scelto.
Mah, diciamo che quest’attentato, anche se deprecabile, poteva essere l’ultima spiaggia per un paese che, tirando fuori un po’ d’orgoglio, si ravvedesse e provvedesse a tirare fuori due candidati alle presidenziali per i quali valesse almeno la pena andare alle urne. Invece… che tristezza. Comunque, sono cazzi loro. Certo, un po’ mi dispiace perché, oltre ai loro ultimi due presidenti, continuano a prendere sberle e non solo dalla Cina. Se pensiamo che l’ultimo campione olimpico dei 100 metri è stato un italiano… dài, significa davvero che è un paese in via d’estinzione.

day hospital

Avendoci pensato tutta la notte senza venirne a capo, stamattina ho chiamato Jack chiedendogli se potevamo mangiare qualcosa assieme. Mi sono rivolto a lui perché è l’amico giusto. Da un lato, non ti chiede “perché?” e dall’altro, essendo assistente medico al reparto di neuropsichiatria, ha una cultura adeguata. In effetti, lui si chiama Giacomo, ma si fa chiamare Jack perché dice di essere nato in Arizona da madre messicana. Ora, poiché in quel reparto sono abbastanza di casa e conosco un po’ tutti, un infermiere di nome Vladimir mi disse che quelle che racconta Jack sono balle. Nessuna Arizona e madre messicana, lui è nato a Napoli ma appartiene a quell’etnia del “tu vuò fa l’americano”.
“Tu, invece, perché ti chiami Vladimir?”, gli chiesi.
“Perché mia madre russa”, mi rispose.
“Ah! Sei di madre russa”, gli dissi.
“No, mia madre è napoletana, ma russa”, mi rispose.
Capii che, come le formiche, mi stavo infilando in un qualcosa di simile al nastro di Moebius e lasciai perdere. Del resto, sul cartellino appeso in petto a Vadimir, c’era scritto “Vincenzo”.

Intorno all’una, seduti ad un tavolo in uno dei bar vicini all’ospedale, Jack ha preso una mozzarella di bufala con contorno di pomodori e rucola. Io, al contrario, ho preso pomodori e rucola e, per contorno, una mozzarella di bufala.
“Eheh, andiamo sempre d’accordo su tutto, tranne che sul cibo. Allora, che ti succede?”, mi chiede.
“Mi hanno detto che sono pervasivo…”, inizio a dirgli.
“Cazzo! E tu come hai reagito?”
“Sai, nella vita me ne hanno dette tante, stavolta però, quel “pervasivo”, era qualcosa d’inaspettato e mi ha disorientato al punto da non sapere cosa rispondere. Ti confesso che non ci ho dormito perché non so se fosse un complimento o una roba negativa. Non ti nascondo che ho cercato sui dizionari in rete, ma non ci ho capito molto”
“Beh, mi servirebbe sapere il contesto perché “pervasivo” può anche avere a che fare con problematiche dello sviluppo. Ti ha definito solo “pervasivo” o anche altro?”
“Per la precisione mi ha detto “pervasivo e penetrante”. Secondo te?”
“Uhm, un bell’ossimoro. Come dirti “ce l’hai piccolo ma penetrante”… pensa se te l’avesse detto una donna…”
“Era una donna”, gli dico con un filo di voce.
“Ah… allora lasciala perdere, taglia corto… il mondo è pieno di donne… ce n’è per tutte le taglie… oops, scusami… non volevo alludere…”
“Ma alludere a cosa? Guarda che io…”
“Sì sì, certo… intanto se te l’ha detto… toccare per credere… dai Vangeli versetti venti virgola diciannove trentuno… San Tommaso…”
“Ma che cazzo dici? Ma quale toccare per credere…”
“Scusami, ma ora devo tornare in reparto…”, mi dice alzandosi e facendo segno all’orologio.
“Ok, vai”
“Spero di esserti stato utile”
“Ohhh sì, certo. Sei stato molto pervasivo”
“Ahah, guarda che io sto a posto, quello è un problema tuo ma, non agitarti, a quanto pare non è un grosso problema”, mi dice ridendo.
“Ma vaffanculo!”

e guardo il mondo da un oblò

lavatrice

C‘erano una volta
una gatta ed un lupo, entrambi pezzati
“ma tu non sei un cane, vero?”
“no, sono un lupo”
“i lupi non mangiano i gatti, vero?”
“no”, e per farla sentire più tranquilla
“e i gatti, li mangiano i lupi?”
“nooo”
“meno male.”
Una gatta ed un lupo e quei quattro colori
diversi dai miei
una gatta ed un lupo che ruotano il naso
inseguendo la roba che gira, rigira, si ferma
scarica l’acqua poi la ricarica e riprende a girarla.
Una gatta ed un lupo e quei quattro colori
il nero, il blu, una macchia di rosa
qualcosa di giallo.
Il lupo a sognare e la gatta a dormire.