“Da qualche tempo la Cancel culture circola come un fantasma per l’Occidente. Ed è naturale che molti mi chiedano un’opinione, un giudizio, memori che la mia prima cancellatura di libri risale all’ormai remoto 1964. Non vorrei spendere troppe parole sull’argomento, se non altro perché, cancellando enciclopedie e romanzi, io volevo togliere di mezzo non la storia nella sua complessa, contraddittoria totalità – come pretendono gli iconoclasti più conseguenti – quanto il politically correct che sta alla base della Cancel. Mentre, a mio parere, l’arte vive soprattutto di infrazioni e scorrettezze”.
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“Non voglio dire che l’arte possa eliminare dal sola le guerre, ci mancherebbe, ma osservare che da almeno settant’anni, cioè da quando l’America ha vinto la pace con le arti dopo aver vinto la guerra con le armi, anche nel democratico Occidente è diventato un reato di lesa maestà riflettere educatamente sui limiti inevitabili di Andy Warhol e dei suoi eredi, oltre che sulla loro energia. E gli stessi artisti, un po’ dappertutto nel mondo, evitano accuratamente di mordersi tra loro, rifuggendo da quelle polemiche salutari che un tempo permisero a Tristan Tzara di accantonare il prodigioso Picasso, e a Breton di offuscare lo stesso Tzara”.
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“Alla fine rimane l’insondabile paradosso: come sia possibile che l’arte, regina di ogni dissenso, e dunque delle stesse libertà democratiche, si sia trasformata in settant’anni nel presidio più efficace di tutti i conformismi, con il risultato che passiamo dai musei di Tokyo a quelli di new York, o dalle gallerie di Shanghai a quelle di Milano, come se non ci spostassimo di un millimetro, sempre fermi allo stesso palo”.
Emilio Isgrò
Pochi altri hanno saputo spiegare in modo altrettanto efficace l’assurdità insita nel furore di voler cancellare quello che siamo stati, quando invece, lasciando le eventuali nefandezze a futura memoria, e stigmatizzandole ove necessario, la loro salvaguardia avrebbe valenza di monito.
Conosco bene Emilio Isgrò, non solo perché è un mio conterraneo, ma anche perché per forza di cose se scegli studi artistici, incroci vuoi o non vuoi le realtà artistiche che sono lo zoccolo dell’arte contemporanea.
Come scrissi in un commento precedente, sono per formazione un purista delle forma, per sensibilità vengo attratto da chi elebora le forma del visibile processando in esse un contenuto.
La sperimentazione a portato Isgrò ha sterilizzare la forma e concentrarsi sull’estetica della storia artistica e non, utilizzando la materia come concetto dell’idea. E trovo straodinaria la sua decisione di dedicarsi alla letteratura e alla poesia… Perché l’arte concettuale, comunque, l’arte espressa al di là della forma, richiede un’attenta analisi da parte dell’artista, affinchè giunga così, come la vede e non come pensiamo di capirla noi.
Il suo impegno per rappresentare il concetto di arte, come contraddizione sociale e non come concetto subordinante alla regole delle società, è meritevole.
Buona giornata.
Riducendo tutto all’osso, concludiamo pure che “less is more”. Quasi sempre, of course 🙂